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Mosaico d’Europa Film Fest: “The Selfish Giant” di Clio Barnard

Come essere egoisti e come essere solidali, nella Gran Bretagna di oggi: si potrebbe riassumere così l’orizzonte etico di “The Selfish Giant,” il primo film del “Concorso Europeo” col quale ci siamo confrontati al Mosaico d’Europa Film Fest

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Come essere egoisti e come essere solidali, nella Gran Bretagna di oggi. Tutto ciò mentre il contesto sociale nel quale si è immersi spinge verso l’abbrutimento e verso un rapporto di conflittualità, o quantomeno di diffidenza, nei confronti di istituzioni che intervengono solo al momento di punire ma che non hanno, per il resto, alcun piano in grado di aiutare chi si trova in difficoltà. Si potrebbe riassumere così l’orizzonte etico di The Selfish Giant, il primo film del “Concorso Europeo” col quale ci siamo confrontati a Ravenna, dopo aver approcciato il Mosaico d’Europa Film Fest attraverso un “Evento Speciale” (The Missing Picture di Rithy Panh) e con la retrospettiva dedicata a Francesco Rosi.

Nel frattempo, in realtà, erano stati proiettati altri due film del concorso, che però ci risultavano già noti grazie a precedenti esperienze festivaliere: il sorprendente Class Enemy dello sloveno Rok Biček, passato a Venezia nella Settimana della Critica, e il “berlinese” Krugovi – Circles di Srdan Golubović, lungometraggio più pretenzioso e a nostro avviso non altrettanto riuscito proveniente dalla Serbia. Messa così da parte la parentesi balcanica, la vera novità è stata rappresentata per noi da quest’opera cinematografica, spigolosa e tagliente, che la promettentissima Clio Barnard ha voluto ambientare in un angolo particolarmente depresso e privo di opportunità della sua Inghilterra. Scorrendo la filmografia della Barnard compaiono alcuni cortometraggi e documentari, il che ci aiuta forse a spiegare quella forza rivelatrice nel riprendere il reale, nel fotografare determinati luoghi importanti per la storia, così da assicurare al suo esordio nel lungo un impatto emotivo a tratti devastante.

Come il titolo lascia intendere, vi è un noto racconto di Oscar Wilde, Il gigante egoista, all’origine del soggetto. Ma l’atteggiamento espresso dalla regista e sceneggiare nello sviluppare lo spunto iniziale è stato quanto mai libero. Si può anzi affermare che la versione moderma della fiaba si trasformi strada facendo in un controcanto, quasi nella stessa misura lucido e amaro, del cinema di Ken Loach. Furti di rame compiuti per disperazione. Corse clandestine di cavalli. Istituti scolastici dove regna il bullismo. Famiglie proletarie assediate da tante, troppe difficoltà. Questa è la cornice in cui si snodano le esistenze di due tredicenni problematici, delle loro madri in perenne affanno, dei loro amici, dei loro vicini di casa. Tutte vite per cui una svolta tragica può essere sempre dietro l’angolo…

Ed è così che Clio Barnard, forte del verismo assicurato dai suoi giovanissimi interpreti (e da un cast nel complesso stupefacente), sa venire al punto coniugando la spinta dell’indagine sociale con una coerenza di sguardo che raggiunge vette notevoli, in quella resa fotografica minuziosa di ciò che concerne i corpi inquieti e nervosi dei protagonisti, come anche gli spazi esterni circondati da grigiore, rottami e riflessi plumbei. Un esordio, insomma, che non poteva certo passare inosservato.

Stefano Coccia        

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