“Rio 2: Missione Amazzonia” ci ha piacevolmente sorpreso: un prodotto vivace, ben fatto, pieno di colore e di movimento che risultano poi enfatizzati dai ritmi della samba, della bossa nova, di tutti quei generi musicali che – mescolati magari con altro – assicurano al lungometraggio un timbro irresistibilmente carioca
Tra gli eventi più attesi del Future Film Festival 2014, svoltosi la settimana scorsa a Bologna, vi era senz’altro l’anteprima di Rio 2: Missione Amazzonia, film d’animazione che invaderà a breve le sale italiane. Una premiere importante, quindi, ma a renderla tale è stata anche la presenza del brasiliano Carlos Saldanha, brillante cineasta che presso gli studios americani ha ottenuto una lunga serie di successi, tra i quali spicca la saga de L’era glaciale nella cui creazione e sviluppo ha svolto un ruolo di primo piano. Gli animali, preistorici o meno, sembrano rientrare tra le sue principali fonti di ispirazione, in ogni caso averlo a Bologna è stato particolarmente proficuo, visto che Saldanha non si è limitato a “fare presenza”; si è prodigato, al contrario, in una stupefacente lezione di cinema, da cui si è potuto apprendere parecchio; e non solo sulla sua ispirazione artistica, ma anche riguardo alle soluzioni tecniche adottate da lui e da quello staff, decisamente nutrito, che lo assiste in ogni fase della lavorazione. Di questo “evento nell’evento” parleremo in separata sede. Per ora limitiamoci a dire due parole sul film.
In primo luogo occorre confessare una cosa: il primissimo Rio a suo tempo non lo avevamo visto, un po’ per circostanze fortuite, un po’ per quel senso di saturazione che l’animazione statunitense occasionalmente può dare, specie quando comincia a battere troppo sulle avventure dei soliti animaletti antropomorfi. Al sequel ci si è pertanto accostati senza particolari aspettative. Ed è anche per questo, forse, che Rio 2: Missione Amazzonia ci ha piacevolmente sorpreso: un prodotto vivace, ben fatto, pieno di colore e di movimento che risultano poi enfatizzati dai ritmi della samba, della bossa nova, di tutti quei generi musicali che – mescolati magari con altro – assicurano al lungometraggio un timbro irresistibilmente carioca. Di fondo vi è una favoletta ecologica anche piuttosto semplice. La prevedibilità dell’intreccio non pregiudica però il fatto che la narrazione si sviluppi con un certo brio, rivelandosi strada facendo divertente è graziosa. Ne è protagonista la famigliola di Blu e Linda, coppia di pappagallini – per la precisione sono Ara Macao Blu, una specie a rischio di estinzione – già cari al pubblico del primo Rio. La loro vita cinematografica si arricchisce, in questo secondo capitolo, di una nuova sfida: li vediamo muoversi da Rio de Janeiro alla volta dell’Amazzonia, col duplice scopo di ritrovare le proprie origini e aiutare una coppia di umani, loro amici, a fermare il disboscamento selvaggio della foresta pluviale. Tra pericoli, piccole baruffe famigliari, affetti ritrovati, vecchi e nuovi nemici da affrontare, il viaggio di Blu e Linda si rivelerà quanto mai avventuroso. Non tutte le situazioni possono apparire altrettanto originali e riuscite. Ma, a partire dalle “Capoeira Turtles” con le loro movenze stralunate per arrivare poi al grande Cacatua bianco dall’eloquenza shakespeariana, un “villain” a modo suo memorabile e buffo, il film d’animazione diretto da Carlos Saldanha sa essere divertente e intratteneere piacevolmente il pubblico, catturato sia dai siparietti musicali che dalle altre gag, in cui affiora peraltro un non disprezzabile sentimento di vicinanza all’ambiente naturale.
Stefano Coccia
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