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Anno: 2013
Durata: 88′
Genere: Documentario, Animazione
Nazionalità: Francia
Regia: Michel Gondry
L’incontro tra l’arte fantasiosa di Michel Gondry e il pensiero filosofico del linguista e scrittore prolifico Noam Chomsky si traduce in 90 minuti di animazione retrò e acida. L’intervistatore dall’inglese con uno spiccato accento francese, che si inceppa dinanzi al fondatore della grammatica generativo-trasformazionale e ogni tanto ha bisogno di fermarsi e chiarire le sue intenzioni comunicative ai suoi spettatori, parte armato di una Bolex 16 mm, un registratore e una lista di domande – a volte simpaticamente mal formulate.
Dopo Eternal Sunshine of the Spotless Mind, il capolavoro sull’amore alla cui morsa non si può e non si vuole sfuggire, il visionario L’arte del sogno e il documentario di stampo famigliare The Thorn in the Heart – solo per citare i soliti noti – Gondry si lascia ispirare dalle tesi sul linguaggio del monumentale Chomsky per incalzare lo studioso con quesiti personali e filosofici.
L’immaginazione cerca ispirazione nella scienza ed espressione nel disegno animato. Le difficoltà dello stesso Gondry di fronte allo stimato Chomsky e le interruzioni letteralmente didascaliche inserite laddove l’astrazione del pensiero rischiava di prendere il largo rendono il progetto documentaristico iniziato nel 2010 masticabile – purtroppo non sempre senza sforzo – anche da chi è digiuno di nozioni filosofiche o semiotiche. Gondry giustifica il suo insolito approccio al genere con la volontà di rendere chiaro e inequivocabile l’affascinante discorso imbastito da Chomsky. L’animazione, la quale per la maggior parte del tempo sostituisce la consueta immagine dell’intervistato, è una guida divertente alla lettura della parola, da cui si finisce per essere influenzati e ammaliati. Per evitare la manipolazione del linguaggio cinematografico Gondry ricorre alla manipolazione del linguaggio visivo. L’articolazione di alcune sequenze disegnate è talmente sovrastante ogni possibile singola figurazione da diventare un reticolo claustrofobico per il pensiero. In altri casi, invece, il supporto illustrato assume una bellezza poetica. Succede, ad esempio, quando si cerca di afferrare la relazione tra forma e sostanza ricorrendo al paradosso o alla favola raccontata ai bambini. Un asino trasformato in pietra è ancora percepito come tale nonostante la trasformazione della forma, essendo la sostanza rimasta invariata. Il bambino acquisisce la struttura sintattica del linguaggio mediante un innato dispositivo di acquisizione in grado di sviluppare gli stimoli dati dall’adulto e creare sintassi. La lingua è viva, la mente va oltre la rigidità della struttura per generare senso e sintassi. Con il gioco di parole del titolo, ovvero lo spostamento di una parola all’interno della frase, Chomsky vuole dimostrare che le informazioni linguistiche ricevute dai bambini sono insufficienti a spiegare come arrivino a possederne la grammatica.
Spaziando dai ricordi di bambino all’istruzione, dall’educazione alla famiglia, dalla religione agli studi sul linguaggio, alla felicità, l’illustre intervistato si lascia esplorare da Gondry ma diventa schivo quando il regista cerca di carpire l’uomo dietro lo studioso. Non c’è paradosso, regola o ricordo per raccontare la felicità secondo Chomsky.
Francesca Vantaggiato