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Edoardo Margheriti: sotto il segno di Anthony M. Dawson
Cinema italiano tra passato, presente, futuro. Rubrica a cura di Giovanni Berardi
Published
10 anni agoon
Parlare del cinema popolare italiano, del cosiddetto cinema di genere, significa menzionare in prima analisi Quentin Tarantino. Significa segnalare la mostruosa conoscenza ed il grande amore di questo geniale regista americano verso questa dimensione e questa coscienza del cinema italiano. Mentre per qualcuno queste rivalutazioni sono e rimangono soltanto sparate alla Tarantino, noi comunque continuiamo a rendere merito alla saggezza ed all’oculatezza del geniale regista statunitense per queste effettive coscienze e conoscenze. Dice infatti Edoardo Margheriti, regista, sceneggiatore, produttore e figlio del regista Antonio Margheriti, uno degli autori italiani, tra l’altro, tra i più amati da Tarantino: “si, Tarantino assolutamente continua a stravedere per un film di mio padre, che è Apocalipse domani, un titolo in fondo che papà non ha mai troppo amato, preferendone di gran lunga altri. Comunque è vero, noi dobbiamo assolutamente riconoscere a Quentin Tarantino la riscoperta di questo nostro cinema di genere, perché sinceramente, altrimenti non vedo come il valore dei nostri grandi artigiani, genialoidi professionisti come sono stati Mario Bava, Antonio Margheriti, Riccardo Freda, Marino Girolami, Lucio Fulci, Massimo Dallamano, Duccio Tessari, Fernando Di Leo, Stelvio Massi e come continuano ad essere ancora oggi Umberto Lenzi, Alberto De Martino e Romolo Guerrieri sarebbe mai potuto venire alla luce della storia culturale del cinema. Oggi, infatti, tutti quei critici italiani, che negli anni hanno letteralmente schifato le opere di questi registi, a cui aggiungerei nella lista dei falcidiati anche i registi della generazione immediatamente successiva, nomi come Dario Argento, Ruggero Deodato, Sergio Martino, Enzo G. Castellari, Aldo Lado, Mario Caiano fanno a gara nell’attribuirsi meriti di riconoscimenti critici che all’epoca non avevano mai espresso. Viene insomma proprio voglia di tirare fuori le copie dei vecchi giornali, con le loro recensioni firmate, e fargli notare ciò. E’ vero che negli anni un critico può ricredersi, ne ha tutti i diritti, questo è sacrosanto per carità, ma è un processo che deve avvenire alla luce di un riconoscimento più personale, decisamente, e non spinto effettivamente e principalmente da mere occasioni solamente opportunistiche e forse anche modaiole di conseguenza”.
Edoardo Margheriti riconosce anche, e questo è indubbio e fuori da ogni discussione ad una analisi più sincera, che numerosi di quei film realizzati, e qualche titolo anche dalle firme più prestigiose, erano operazioni infatti raffazzonate, anche cialtronesche, concluse in fretta, ma questo perché certi titoli rientravano, in qualche misura, nella logica e nella grammatica di certe situazioni e dinamiche produttive di quel momento storico, anche, in fondo, di certi contrasti e di certi ricatti industriali. In realtà poi era la mancanza quasi sempre di budget importanti per le loro lavorazioni a fare si che a questi registi non si è mai potuta attribuire, sino in fondo, la qualifica di autori. Loro molto spesso venivano interpellati dai produttori, spesso anche gente che sino al giorno prima aveva avuto solo esperienze professionali con le maioliche, con gli allevamenti di bestiame, le industrie tessili o quelle delle rubinetterie e degli utensili industriali, a cui avanzavano, letteralmente, qualche spicciolo di moneta per poter provare finalmente l’esercizio di un loro vecchio sogno, di una loro voglia verso un business più allegro, ed affidavano loro, ai tipici registi di genere che abbiamo in un gran numero elencato sopra, il compito di poter tradurre quegli spiccioli in una storia cinematografica, magari densa di pistole e di cavalli, di audacia e di motori, di musica e canzoni o di invadenti retoriche umoristiche o pruriginose. E nascevano così, quasi dal nulla in fondo, i mille e più progetti cinematografici che invadevano meravigliosamente il mercato. E risultava sempre, comunque e molto spesso questo, un grande e ricco mercato, e tutto basato solamente sulle arti improvvise o, talune volte, anche improvvisate, di questi geniali lavoratori della pellicola e della più sfrenata fantasia.
Dice Edoardo Margheriti: “io dico sempre una cosa, comunque. Se non ci fossero stati quei film, anche i peggiori, film che costavano relativamente poco ma che incassavano tantissimo, non ci sarebbero poi state alcune opere dei vari Fellini, Pasolini, Visconti, Antonioni, Bertolucci, Bellocchio. Guarda, non ci sarebbe stato, in definitiva proprio il cinema italiano”. In fondo, in sede di discussione, viene da chiedersi, cosa l’industria del cinema pretendeva dall’arte artigiana di Mario Bava, di Antonio Margheriti, di Riccardo Freda? Dice Edoardo Margheriti: “semplicemente una possibilità: dovevano soddisfare i gusti del pubblico. Poi all’epoca si pensa fossero i gusti più vieti e più triti, mentre invece si trattava ancora dei gusti più onesti e più semplici. Erano i gusti legati perlopiù allo spavento, all’immaginazione, alla fantasticheria, al divertimento più solare e genuino, quasi spavaldo, all’emozione anche più dura e decantata”. Insomma, aggiungiamo noi, Mario Bava, Antonio Margheriti, Riccardo Freda, e poi quelli della generazione successiva, dovevano sempre rispondere, ed hanno sempre risposto con alterna qualità e fortuna (ma così è fatta proprio la vita vera) ai gusti assoluti del pubblico. Mario Bava, Antonio Margheriti, Riccardo Freda dovevano e sapevano in questo senso, come pochi, muovere la macchina da presa davvero dentro qualunque situazione, ora umorale, ora spaventata, ridanciana, lacrimevole, ora candida, ora spavalda.
Dice Edoardo Margheriti: “si, però, in fondo è un film che mi piace. Non è stata certo una esperienza solo per riempire di qualche riga in più il mio curriculum. E’ un film che ho fatto anche, all’inizio, per la volontà, la voglia, l’amore intenso per un progetto, di un produttore a me carissimo, Giangi Foschini. Poi c’è una esperienza a cui Edoardo tiene moltissimo, il documentario che ha dedicato al padre Antonio nel decennale della sua scomparsa: The Outsiders. Il cinema di Antonio Margheriti, 2013, entrato in lavorazione sempre con la produzione di Giangi Foschini. E’ un film dove Edoardo ha voluto raccontare proprio la maestria, l’impegno, il rigore, l’attenzione che Antonio (Anthony M. Dawson per la sua filmografia) ha sempre profuso nelle sue pellicole. Con l’ascolto poi di tanti collaboratori, di tanti colleghi, di tanti discepoli, l’impianto narrativo diventerà un documento ineccepibile e preciso.
Dice Edoardo Margheriti: “il documento potrebbe essere in una occasione lacunoso, voglio dire che manca, anche se lo abbiamo cercato con tutti i mezzi a nostra disposizione, l’intervista a Quentin Tarantino. Ma proprio in quel periodo lui era impegnatissimo al montaggio del suo Django e noi avevamo fretta nel far cadere il documentario proprio in occasione del decennale della scomparsa di papà. Aspettare Quentin sarebbe stato slittare almeno di un anno la conclusione del film. Però non è detto che in un prossimo futuro non possa completare anche quel motivo, perché nella carriera di Anthony M. Dawson, il talento di Quentin Tarantino è diventato un aspetto importante e decisivo”. Certo. Il riferimento, e quindi la conseguente attenzione, al geniale Quentin Tarantino in The Outsiders. Il cinema di Antonio Margheriti secondo noi deve essere una meta ed una conseguenza irrinunciabile. Perché cosa altro è se non una dichiaratissima attestazione di stima e di lode verso Antonio Margheriti il fatto che Quentin ha utilizzato, quasi interamente, la sequenza del film Là dove non batte il sole, il momento in cui Samuel L. Jackson, (il killer predicatore amato in Pulp fiction, 1994, Quentin Tarantino) nell’intento di ammazzare un uomo gli dedica prima alcuni passi della Bibbia, sequenza vista ed apprezzata fortemente già dalle platee del tempo, 1975, nel film di Anthony M. Dawson?
Giovanni Berardi