In Sala

Sapore di te

E così, questo film popolato di guitti e attori per caso, di parrucche sbagliate e riferimenti culturali che non diventano immaginario, si trascina moribondo, senza nemmeno l’abilità dei registi di miscelare le canzoni d’epoca. Il sapore del film è più rancido che salato

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Anno: 2013

Distribuzione: Medusa

Durata: 101′

Genere: Commedia

Nazionalità: Italia

Regia: Carlo Vanzina

Data di uscita: 9 Gennaio 2013

Ripartire da dove si era cominciato. Una necessità per i fratelli Vanzina, in un momento di ripensamento della loro carriera, sorpassati a destra da nuove generazioni di registi e comici. E allora Carlo ed Enrico tornano a Forte dei Marmi, 30 anni dopo il successo che lanciò definitivamente la loro carriera, ossia Sapore di mare, per raccontare l’estate degli anni’ 80, iniziando in un certo senso da dove finirono il precedente.

Il film infatti comincia nell’84, anno di uscita del precedente film e di termine dello stesso – che saltava dagli anni ’60 a oggi: personaggi assortiti tra amori ed equivoci. Politici traffichini, pieni di amanti e favori interessati, commercianti perbene ma che non disdegnano la raccomandazione, playboy di provincia incastrati dal matrimonio e belle ragazze devote alla famiglia, e poi gli adolescenti i cui primi amori e tira e molla sono in un certo senso il filo conduttore di un film – scritto dai due fratelli Vanzina – che cerca di riproporre una formula 50ennale (perché il primo Sapore di mare si ispirava ai film balneari degli anni ’60), adattandola alla nostalgia per gli anni ’80.

E ineffabilmente il film, scandito da una miriade di voci fuori campo che sottolineano ogni minimo passaggio del racconto, parte con gli Spandau Ballet e declama in modo perentorio ogni riferimento a quegli anni, come se lo spettatore non li capisse autonomamente. Il tutto in un calderone di corna e sentimentalismi di riporto, invecchiati male come il loro cinema, rimasti a schemi che persino il film natalizio targato Parenti-De Laurentiis ha ormai rifiutato.

Quello che però colpisce più di tutto è la sciatteria e il pressapochismo con cui i fratelli sembrano aver concepito, scritto e diretto il film: il ritmo della regia, dei personaggi, degli eventi è un ricordo lontano, la verve comica è affidata a quel paio di macchiette che si trovano nel film (Maurizio Mattioli e il pessimo Vincenzo Salemme su tutti), i giovani vagano privi di qualcuno che sappia e voglia dirigerli, figuriamoci se siano in grado di far palpitare qualcuno. Fa eccezione l’episodio di Giorgio Pasotti e Martina Stella, un po’ più maturo e meno accondiscendente, in cui s’intravede l’unico lampo di coraggio, prontamente zittito (previa voce over) dal sottofinale. E così, questo film popolato di guitti e attori per caso, di parrucche sbagliate e riferimenti culturali che non diventano immaginario, si trascina moribondo, senza nemmeno l’abilità dei registi di miscelare le canzoni d’epoca. Il sapore del film è più rancido che salato.

Emanuele Rauco

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