“Quando si parla di Paolo Virzì, si cerca sempre di definirlo come colui che, più di altri, ha raccolto l’immensa eredità della commedia all’italiana. Il problema sorge quando, dovendo…….”
Quando si parla di Paolo Virzì, si cerca sempre di definirlo come colui che, più di altri, ha raccolto l’immensa eredità della commedia all’italiana. Il problema sorge quando, dovendo indicare esattamente a quale regista affiliarlo (Risi, Monicelli, Scola), l’empasse appare insuperabile. Forse, stavolta, con La prima cosa bella, possiamo disimpegnarci agevolmente da questo lezioso imbarazzo, individuando nello Scola di C’eravamo tanto amati, il tanto agognato padre artistico.
Futili accademismi a parte, l’ultima pellicola del regista livornese segna una non trascurabile inversione di rotta, con riferimento al consistente rallentamento del ritmo narrativo, di solito frenetico in tutti i suoi film e, soprattutto, rispetto all’innesto di una ventata di gradito ottimismo che, anch’essa notevolmente in contrasto con le precedenti produzioni, estorce fragorosi applausi a fine proiezione.
Siamo a Livorno (serviva dirlo?), agli inizi degli anni settanta, Anna Nigiotti (Micaela Ramazzotti) è una giovane donna sposata con due figli che, in seguito ai ripetuti litigi con un marito semplice e all’antica, scappa da casa, dando inizio ad una vita avventurosa e, per l’epoca, certamente censurabile. Anna, nonostante tutti i passi falsi in cui inciampa, non smette di amare smisuratamente i propri figli che, loro malgrado, l’accompagnano in questa scapestrata vita.
Divenuti adulti, Bruno (Valerio Mastrandrea) e Valeria (Claudia Pandolfi) si ritrovano, dopo molti anni, al capezzale della madre (Stefania Sandrelli), oramai anziana e malata terminale di cancro. A questo punto, la piccola epopea familiare trova l’occasione per essere ripercorsa ed elaborata, attraverso un aggrovigliarsi di flash-back e considerazioni attuali, in una staffetta d’interpretazioni davvero notevole tra Micaela Ramazzotti e Stefania Sandrelli. Il personaggio della madre tratteggiato da Virzì ricorda non poco quello interpretato dalla stessa Stefania Sandrelli nel celebre film di Scola, e davvero encomiabile risulta la bravura della giovane Ramazzotti nel riprodurre tic e movenze dell’illustre collega.
Assistiamo ad uno strazio di cuori coinvolgente, commovente, sullo sfondo di un periodo politico incandescente, che solo a tratti emerge, in riferimento alla differenza di classe oppure quando, di sfuggita, vediamo campeggiare un manifesto su un muro inneggiante alla libertà del Cile.
Ma è l’amore che aleggia in tutto il film, l’amore eccessivo di una madre che, come rileva lo scorbutico e anaffettivo Bruno, è così grande che non lo si può evitare.
È su questo piano che Virzì ci spiazza, senza cedere ad alcuna evocazione nostalgica del passato, bensì proiettandosi nel presente con una speranza nuova e sincera. Ce n’era proprio bisogno.
Luca Biscontini
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