Immagina di crescere su una barca a vela. Niente scuola tradizionale, niente quartiere, niente comodità moderne. Solo il mare, il vento, i tuoi fratelli e due genitori convinti che un modo di vivere diverso – più semplice, più consapevole – sia possibile. È proprio da qui che parte Home Is the Ocean, il documentario di Livia Vonaesch proiettato l’8 maggio al Riviera International Film Festival. La regista ci porta a bordo con la sua famiglia, ma quello che vediamo non è una storia patinata o idilliaca: è autentico, coinvolgente e pieno di domande. Home Is the Ocean è un viaggio dentro una scelta di vita radicale, fatta di ideali, sacrifici, entusiasmi e contraddizioni.
Home Is the Ocean: vivere sul mare, crescere in libertà
La storia è quella della famiglia Schwörer: madre, padre e sei figli che da più di vent’anni vivono in mare, su una barca lunga appena venti metri. Non è una vacanza infinita, ma una vera missione: navigano per il mondo facendo educazione ambientale nei villaggi più remoti e conducendo ricerche sull’oceano. Un’utopia che diventa quotidianità. Ma, come si può immaginare, non tutto fila sempre liscio. Il documentario ci accompagna a bordo nel corso di sette anni di vita vissuta: ci sono momenti dolcissimi, come i bambini che osservano i delfini o si arrampicano come piccoli pirati, ma anche discussioni, dubbi, e il peso delle responsabilità.
Cosa succede, ad esempio, quando i figli iniziano a chiedersi se quella libertà totale sia davvero ciò che vogliono anche loro? Quando il mare, da simbolo di bellezza, diventa un ostacolo? È qui che Home Is the Ocean diventa potente. Non dice cosa è giusto o sbagliato. Non giudica. Mostra e fa sentire. E soprattutto, lascia lo spazio per pensare. Tutto questo viene raccontato con immagini che spesso lasciano senza fiato. Onde che sembrano respiri, giochi di luce sull’acqua, bambini che si muovono con agilità tra le vele come se fosse il loro parco giochi. Ma anche momenti tesi, silenzi pesanti, una tempesta che obbliga la barca (e la famiglia) a fermarsi.
L’oceano come madre, rifugio e minaccia
Al centro dell’opera c’è l’oceano, non come semplice paesaggio naturale, ma come vero e proprio protagonista simbolico: madre, rifugio e minaccia. Livia Vonaesch sceglie una struttura contemplativa, fatta di gesti, silenzi e voci fuori campo, in cui il racconto personale si fonde con riflessioni universali sull’identità e sull’appartenenza. Così accompagna lo spettatore in un tempo sospeso, mentre il suono dell’acqua diventa una colonna sonora naturale, capace di sostituire la musica tradizionale e intensificare l’impatto emotivo.
Ciò che colpisce è anche la capacità di Vonaesch di restituire una pluralità di sguardi senza didascalismi. Le storie che emergono si legano al concetto di migrazione, sradicamento, ma anche resilienza. A emergere è anche il tema della responsabilità, verso l’ambiente, certo, ma anche verso gli altri e sé stessi. Quando una violenta tempesta costringe l’imbarcazione a fermarsi, l’oceano si rivela non più soltanto scenario, ma personaggio: sfida le certezze, obbliga a ripensare le proprie scelte e il senso del proprio viaggio.
Il film di Vonaesch si distingue per una costruzione visiva contemplativa. Le immagini del mare aperto, dei bambini che osservano i delfini o che si arrampicano con naturalezza sul sartiame, restituiscono un senso di meraviglia infantile che si mescola alla fatica fisica e alle tensioni emotive di vivere in spazi ristretti, sempre a contatto. Un equilibrio sottile, che si riflette nel ritmo stesso della narrazione: ora fluido e disteso, ora increspato da dubbi, discussioni, decisioni da prendere.
Home Is the Ocean è un documentario resta dentro perché parla della cosa più semplice e complessa allo stesso tempo: che cos’è casa? È un luogo fisico? È dove cresci i tuoi figli? Dove ti senti libero? O dove ti senti ascoltato?