Anno: 2013
Durata: 105′
Genere: Storico/Politico
Nazionalità: Romania
Regia: Andrei Gruzsniczki
Quod erat demonstrandum: così i matematici concludono una dimostrazione, con un c.v.d., un come volevasi dimostrare. Subito dopo i titoli di testa, il regista ci mostra il protagonista, Sorin Parvu, un matematico alle prese con la lavagna, una dimostrazione e un tanto agognato quod erat demonstrandum. Siamo in Romania, sotto il governo di Ceausescu. Sorin ha trentacinque anni, insegna all’università e ha un
interesse illimitato nei confronti delle serie di Fourier, serie che hanno possibilità di applicazione pressoché infinite. Ma come si può sperare di dare spinta all’evoluzione tecnologica e comunicativa sotto un potere tanto accentrato? E, infatti, Sorin è un sorvegliato speciale: non riesce a finire il dottorato, non riesce a pubblicare nulla.
In realtà, dietro la vita tranquilla di Sorin, si nasconde un continuo traffico di pubblicazioni universitarie all’estero, dove Sorin ha potuto dimostrare le sue teorie. Pubblicazioni che, però, l’uomo tiene nascoste al governo. Sorin, in particolare, ha bisogno di pubblicare in Francia: e chiede aiuto ad Elena, una sua amica di gioventù e moglie di un rifugiato romeno in terra francese.
L’opera, sulle prime, non appare necessaria; tuttavia si comprende bene il fatto che un tale argomento debba essere ancora molto acceso e dibattuto in Romania. È indubbio, in ogni caso, l’elevato talento di Gruzsniczki, che realizza un’opera controllatissima: proprio come se, di sequenza in sequenza e di inquadratura in inquadratura, il regista non potesse perdere alcun passaggio, come se stesse affrescando la lavagna con una dimostrazione matematica – pena il fallimento della propria tesi. Gruzsniczki opta per il bianco, il nero e il grigio in tutte le sue sfumature; il bianco e nero è una scelta che dà un classico senso di passato ma che, allo stesso tempo, permette al regista di controllare ulteriormente l’opera con una supervisione costante sulla cromia (su due soli colori, i giochi cromatici sono rigidi). Inoltre – sembrerà forse esagerato tirar fuori un’idea simile – un bianco e nero di questa fattura ricorda molto il modo in cui il bianco del gesso sporca il nero della lavagna: e ci troviamo, ancora una volta, a sottolineare il valore di dimostrazione scientifica che questo film ha.
La dimostrazione scientifica passa anche per le inquadrature e la composizione della scena. La macchina da presa è quasi completamente statica, non esiste il concetto di campo-controcampo nei dialoghi; e, tuttavia, quando occorre muoverla, il regista realizza movimenti sempre controllati e mai gratuiti, affinché la forma abbia un suo corrispettivo nel contenuto e non sia mai mero orpello. Come ragionati sono i movimenti precisi degli attori e dettagliate sono le scenografie: quelle casalinghe sembrano caotiche ma sono cariche di un loro preciso senso nella disposizione degli oggetti. Le scenografie dei luoghi di lavoro, invece, appaiono geometricamente lineari, quasi un revival della Bauhaus. Tutto, così, assume un tono scientifico, anche se parliamo di arte: e la scientificità si traduce in una forma che ricorda i migliori film del passato – sovvengono il controllo dreyeriano e alcune atmosfere tarkovskiane. Forse, tanta scientificità, a partire dal titolo, rischia di affossare il film, che spesso diventa difficile da seguire e che emotivamente prende poco (solo dopo una prima ora introduttiva, inizia a spiccare il volo). Nel film non esiste il concetto di azione hollywoodiana, ma solo, matematicamente, teoremi. Dimostrazione che il cinema di Gruzsniczki è un cinema classico, che narra la Storia con il supporto solido di una forma ragionata proveniente dal passato.
Veronica Mondelli