“Dietro un paesaggio c’è sempre un altro paesaggio, lo si percepisce dalla vaghezza e dalla indefinitezza dei fatti immaginativi”: questo splendido adagio leopardiano accompagna alcune sequenze del nuovo film di Davide Ferrario, “La luna su Torino”, e la sensazione immediata è quella di trovarsi davanti a un’opera ambiziosa
“Dietro un paesaggio c’è sempre un altro paesaggio, lo si percepisce dalla vaghezza e dalla indefinitezza dei fatti immaginativi”: questo splendido adagio leopardiano accompagna alcune sequenze del nuovo film di Davide Ferrario, La luna su Torino, e la sensazione immediata è quella di trovarsi davanti a un’opera ambiziosa, come del resto lo è tutto il cinema del regista piemontese. La macchina da presa indugia sinuosa su una città magica, come forse non l’avevamo mai vista, una Torino crocevia di umori e sensazioni, sita sul ‘quarantacinquesimo parallelo’, dove si srotola una fetta cospicua di mondo, e la piccola realtà provinciale lascia spazio a un respiro più ampio, globale. Al precariato economico, Ferrario predilige quello esistenziale che, sganciato da qualsiasi sociologismo, e quindi anche dalla contemporaneità, attanaglia l’uomo da sempre: come fare a smarcarsi da un fallimento che pare annunciato, da una litania che scandisce il tempo come un metronomo, dalla beghe di una quotidianità ripiegata su se stessa? Difficile sarebbe stato rispondere se ci si fosse posti nell’usuale prospettiva che affronta le questioni della postmodernità direttamente, l’unica maniera di provare a confrontarsi con un tema così vasto era ‘retrocedere’ a un piano etico-estetico, che nella fattispecie assume le ‘fattezze’ di una levità salvifica. Si badi bene che la leggerezza di cui qui si tratta richiede un enorme esercizio, cioè di riuscire a cambiarsi gli occhi, di vedere la bellezza laddove non avremmo mai creduto di trovarla. Insomma, bisogna prodursi in una torsione da circense, per librarsi in un volo – forse quello dell’angelo – e planare sulle cose, in maniera tale da ‘accarezzarle’……
Se le premesse e le conclusioni di questa operazione appaiono del tutto condivisibili, meno lo è lo svolgimento del film, che, a dirla sinceramente, sembra, anche se molto più raffinata, una di quelle commediole tanto di moda nel più recente cinema italiano. Capisco le difficoltà di un uomo intelligente come Ferrario: far passare questo bisogno di leggerezza tanto faticosamente conquistata non era semplice, sebbene il regista introduca e puntelli continuamente il film con delle frasi di Giacomo Leopardi, quasi a volerci ammonire a non fraintendere il senso della storia. Eppure i punti deboli non mancano: l’umorismo cercato e sempre mancato (si ride solo una volta), le prove attoriali dei protagonisti a malapena sufficienti, l’inconsistenza di una sceneggiatura che non sostiene i buoni intenti. Nonostante ciò, proprio per la profonda comprensione delle intenzioni del regista (e delle difficoltà oggettive incontrate), chi scrive non se la sente di obliterare questo film come un’opera non riuscita, e si riserva una seconda visione per trarre delle conclusioni definitive……..