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‘Una Figlia’ conversazione con Ivano De Matteo

Con ‘Una figlia’ il regista continua a indagare l’incomunicabilità all’interno di un gruppo famigliare

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Al cinema con 01 Distribution Una figlia è la nuova fatica di Ivano De Matteo. Del film Una figlia ne abbiamo parlato con il regista Ivano De Matteo in occasione dell’uscita nelle sale dal 24 aprile.

Ivano De Matteo e il suo Una figlia

Mia e Una Figlia potrebbero essere una sorta di dittico sul tema della genitorialità. Rispetto al primo Una figlia ripropone il rapporto tra un padre e una figlia, ma lo fa scegliendo un punto di vista diverso che però non impedisce alla storia di concludersi come spesso avviene nel tuo cinema ovvero con lo sgretolamento del nucleo famigliare.

Mia è stato un film molto sentito perché all’epoca anche noi avevamo una figlia di quindici anni. In quel caso siamo partiti da una storia vera che ci avevano raccontato i nostri amici. Insomma girare quel film è stato come entrare in un mondo parallelo. Per Una figlia invece abbiamo deciso di proseguire sulla scia di quanto avevamo raccontato ne I nostri ragazzi chiedendoci come avremmo reagito se un figlio da vittima diventa carnefice. A ispirarci era stata la vicenda del delitto di Novi Ligure e in particolare le parole del padre di Erica disposto a restare accanto alla figlia perché era l’unico famigliare rimasto ancora in vita. Un ulteriore spunto c’è stato fornito dal libro Qualunque cosa accada di Ciro Noja che abbiamo adattato al discorso che avevamo in mente.

Nel libro la dimensione thriller è stata molto spuntata a favore di uno sguardo prevalentemente sociale.

Proprio così. La protagonista del libro è una ragazza molto violenta e per questo indifendibile. La scommessa mia e di Valentina Ferzan che ha firmato insieme a me la sceneggiatura era quella di far dimenticare il crimine di cui si era macchiata spingendo il pubblico a empatizzare con lei. Volevamo che lo spettatore l’accompagnasse nelle sue vicende giudiziarie e in particolare nelle tappe del suo viaggio carcerario per ricostruire il quale ci siamo affidati a esperti del settore considerato che si tratta di un iter differente da quello degli adulti. In questo senso Una Figlia potrebbe risultare molto utile anche ai più giovani perché mostra cosa può accadere a una ragazza come tante che da un momento all’altro si trova catapultata in una condizione che azzera la sua vita precedente.

Il rapporto padre-figlia

Mentre l’empatia nei confronti di Sofia è destinata a crescere nel corso del film così non accade al padre la cui ostilità verso la figlia sconfessa i presupposti caratteriali del personaggio. Dal punto di vista emotivo la condizione psicologica di padre e figlia non coincidono mai. È come se tra loro due ci fosse una sfasatura temporale che li porta a sentire sempre in modo diverso l’uno dall’altra.

Infatti è vero. Probabilmente i fatti che accadono nel film li porteranno a non incontrarsi mai più. Poi tutto può succedere, sta di fatto che la scelta di ricominciare a vivere da parte di Sofia non prevede la presenza del padre. In qualche modo è Pietro a uscire sconfitto da questa vicenda.

Per come il tema principale viene declinato Una Figlia correva il rischio di scadere nel voyeurismo e nello psicologismo. Al contrario la narrazione se ne mantiene lontana evitando di ritornare sulle ragioni che hanno spinto la ragazza al delitto. In qualche modo si capiscono, ma voi comunque evitate di spiegarle.

Nel libro c’è una teoria del delitto. Lì si tratta di un omicidio preterintenzionale mentre nel film è la conseguenza di un impeto emotivo derivato dall’odio represso della figlia nei confronti di Chiara, la  nuova compagna del padre. Se avesse avuto in mano un bicchiere d’acqua glielo avrebbe tirato in faccia mentre fatalità vuole che impugni qualcosa capace di cambiare la vita dei personaggi. Nel film c’è un’infarinatura di ciò che può aver causato quella reazione però non si va oltre.

Le soluzioni di Ivano De Matteo per il suo Una figlia

La prima parte del film, quella che precede l’omicidio, è messa in scena con soluzioni formali che in qualche maniera lo preannunciano. Talune volte i presagi si manifestano attraverso particolari apparentemente insignificanti, come succede con la scena di raccordo in cui la voce dell’arrotino offre tra i suoi servigi quella di affilare coltelli da cucina. Più evidente risulta invece la prima sequenza in cui il padre parla con la figlia. Il gioco di specchi che sdoppia la figura di Pietro nascondendo allo vista quella di Sofia ci dice di un universo che si sta sfaldando, ma anche di come Pietro viva in un mondo tutto suo che non gli permette di accorgersi di quello che sta accadendo alla figlia.

A volte mi piace giocare con le immagini come accade nella scena dell’arrotino. E poi in quella in cui decido di sdoppiare il personaggio di Stefano Accorsi per sottolineare le sue due nature.

Lo scollamento esiste per davvero perché Pietro è diviso tra l’amore per la nuova compagna e quello nei confronti della figlia. Mostrarlo sdoppiato nella scena delegata a introdurre il personaggio la dice lunga sull’inconciliabilità delle due posizioni. Sempre in questa prima parte lo vediamo spesso ripreso dietro muri e pareti, osservato dietro reti perimetrali e ancora riflesso allo specchio. A conferma di come Pietro sia prigioniero della sua idea di mondo.

Tutto questo mi serviva per testimoniare come Pietro tenti fino all’ultimo di mantenersi tranquillo, anche se sente che sta per succedere qualcosa. Mi fa piacere che tu abbia colto queste soluzioni formali perché era il mio modo di segnalare la frattura psicologica che cova dentro il personaggio.

La seconda parte

Non è un caso che nella seconda parte, quando gli accadimenti si fanno più scoperti e le personalità vengono alla luce, la forma diventa più trasparente e lineare. Ciò nonostante rimane la domanda sul perché il resto del contesto non abbia saputo leggere fino in fondo il disagio di Sofia. È una domanda che ci si fa spesso in casi come questi e che purtroppo è destinata a rimanere senza spiegazione.

In Mia abbiamo messo molto della nostra esperienza di genitori, nella consapevolezza che anche quando riesci a intercettare il dolore di un figlio speri sempre che non sia così radicato. È qualcosa che bisogna provare per poterlo comprendere e spesso questo accade quando è troppo tardi per evitare il danno. Anche le reazioni sono il più delle volte imprevedibili. Su quelle di Pietro abbiamo lavorato molto. Se ci fai caso all’inizio si rifiuta di pensare che la figlia possa essere colpevole. Sulle prime pensa che sia stata rapita da chi gli ha ucciso la moglie. Anche quando viene arrestata continua a pensarla così, salvo poi distaccarsi da lei dopo la sua confessione di colpevolezza.

In effetti si tratta di un processo psicologico molto complesso che Una Figlia esplora nei suoi recessi più profondi. Come quello che riguarda il riavvicinamento di Pietro a Sofia, con il primo spinto a farlo dal bisogno di compensare la perdita del figlio che la moglie aveva in grembo con la bambina che la ragazza mette al mondo nel corso della detenzione. 

La rivelazione a cui ti riferisci non è così netta ma il dubbio c’è. Nel film io e Valentina lo istilliamo nel corso dei cento minuti attraverso piccole inquadrature che hanno il compito di dare al pubblico il numero più alto di informazioni.

La scena del delitto

La scena del delitto è costruita attraverso campi e controcampi volti ad accentuare la contrapposizione tra Sofia e Chiara e ancora, con inquadrature che si mantengono ad altezza spalle per non far capire cosa ha provocato l’improvviso collasso della donna. Non è un caso che l’unico momento in cui vediamo le due attrici nella stessa inquadratura è quando Thony sta per accasciarsi al suolo. Come a dire che l’unica maniera per risolvere il conflitto è quella di far venire meno uno dei contendenti. 

Sono rimasto su una e sull’altra e poi ho montato tutto insieme evitando di stringere sul coltello. Nelle scene in campo largo, quelle prima del confronto, vediamo Sofia usarne diversi tipi per tagliare il pane e poi il salame per poi dimenticarci che possa averne uno in mano perché la mdp non inquadra più le sue mani.

Girata in quel modo la scena traduce in immagini l’indicibile che si nasconde dietro a storie come quella di Sofia. A questo concorre anche la scelta di un’attrice come Ginevra Francesconi la cui figura piccola e minuta rende ancora più inaspettata l’aggressività della sua reazione. 

Quello di Sofia era un ruolo difficile per il quale non sarebbe stato possibile scegliere un’attrice come Greta Gasbarri, che prima di Mia non aveva fatto nulla. Ginevra Francesconi la conoscevo per fama ma non avevo visto nulla di lei. La prima cosa che gli ho chiesto era di lavorare su emozioni come aggressività e dolore poi durante il provino vero e proprio mi sono accorto della capacità che aveva di spaziare dalla bontà alla cattiveria in maniera naturale. Il corpo minuto e il volto da adulta regala al suo personaggio un’indecifrabilità di fondo che non permette di prevedere le azioni di Sofia.

Il personaggio di Sofia

Peraltro il suo personaggio prevedeva questa ambivalenza perché per diventare donna Sofia deve prima tornare a essere bambina.

Come accadde per Mastandrea ne Gli Equilibristi anche qui non c’è stato bisogno di make up perché al volto di Ginevra basta un filo di trucco per trasformarla in un’altra persona. A un certo punt mi serviva che tornasse bambina per mostrare come il carcere e la maternità la trasformano in una persona adulta.

Il cambiamento di Sofia è segnalato attraverso una serie di scene in cui la nudità di corpo ispezionato dalla forze dell’ordine diventa il simbolo di una spoliazione morale destinato a essere viatico di crescita e trasformazione.

Sono partito dalla realtà per mettere in scena la “riparazione” metaforica di Sofia che parte proprio dall’ispezione di quel corpo nudo da parte degli agenti di polizia. È da lì che lo spettatore deve cominciare a dimenticarsi ciò che ha fatto per concentrarsi sulla sofferenza e sulla sua crescita come donna e poi come madre.

Gli altri personaggi di Una figlia di Ivano De Matteo

Thony aveva un compito delicato, quello di riuscire a farci innamorare del suo personaggio in poche battute. La sua è una Chiara materna, positiva e accogliente e questo rende ancora più ingiusto il suo destino.

Sono d’accordo sul fatto che il ruolo non fosse facile anche perché doveva essere incisivo avendo a disposizione poche pose. Volevo che desse vita a una donna buona che però non si accorge che la bontà offerta a Sofia non è corrisposta.

Nel ruolo di Pietro Stefano Accorsi ha dovuto lavorare di sottrazione per eliminare la naturale empatia che emana la sua persona. Il suo infatti è un personaggio bloccato nella sua capacità d’amare.

Con Alessandro Gassman ne I nostri ragazzi e con Edoardo Leo in Mia avevo già lavorato in questo modo nella convinzione che se un interprete è bravo riesce a fare tutto: anche ad andare contro l’immaginario che il pubblico ha di lui. Dopo di che a me serviva un interprete che facesse trasparire come un uomo buono possa cambiare di fronte alla tragedia che lo colpisce. Stefano è uno di quegli attori che riesce a farti leggere sul viso il tempo che passa senza bisogno di ricorrere a trucchi di scena. Sono davvero soddisfatto del suo lavoro.

Qui per un’altra conversazione col regista

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