Taxidrivers Magazine
Romantico avventuriero
If they move. Kill ‘em”. Il western da riscoprire. Rubrica a cura di Eugenio David Ercolani
Published
11 anni agoon
Il noto pistolero Jimmy Ringo (Gregory Peck) è perennemente rincorso dalla reputazione-maledizione di essere la pistola più veloce del West. Tutti vogliono conoscerlo, stringergli la mano, ma i più lo vogliono sfidare, per fama e gloria, per farsi un nome di corsa. Infatti, un giovane in cerca di guai, Eddie (Richard Jaekel), una sera, in un saloon semi-vuoto, lo provoca volutamente e Ringo, nonostante inizialmente cerchi di ignorarlo, volendo solo farsi i fatti suoi, non ha altra scelta che ucciderlo. Al pistolero viene ordinato dallo sceriffo locale di lasciare immediatamente la zona, perché il defunto ha tre fratelli che certamente cercheranno di vendicarsi. Ringo obbedisce e raggiunge la vicina cittadina di Cayenne, dove occupa un angolo del saloon che, come tutti i locali aperti di giorno, è completamente vuoto. Cerca di non dare nell’occhio, ordina da bere e rimane nel punto in cui i raggi del sole, che filtrano dalla vetrina, non riescono a raggiungerlo. Il barista, Mac (Karl Malden), lo riconosce immediatamente e avvisa lo sceriffo Mark Strett (Millard Mitchell, che ruba la scena a tutti), un vecchio amico, nonché complice di malefatte passate. Strett conosce la moglie di Ringo, Peggy (Helen Westcott), che vive poco lontano dalla piccola cittadina. Lei ha cambiato vita e anche cognome, nel tentativo di distruggere qualsiasi ponte che la leghi a Ringo. Nel mentre, il nostro protagonista, che ha chiesto a Strett di avvisare l’ex-moglie, se la deve vedere con vari personaggi che, avendolo notato, vogliono la sua testa. Tra questi: Hunt Bromley (Skip Homeier), un giovane aspirante pistolero che, come tanti altri incrociati da Ringo, spera di farsi un nome sfidandolo; Jerry Marlowe (Cliff Clark), pensionato che crede, erroneamente, che sia stato Ringo, anni prima, a uccidere suo figlio. Ogni ora che passa la situazione si fa sempre più tesa, con lo sceriffo che tenta di placare gli animi della popolazione locale che si affolla davanti alla vetrina del saloon da una parte, e l’ansia di Ringo che cresce, non sapendo se la madre di suo figlio, che lo crede morto, accetterà di incontrarlo, dall’altra.
Il finale sarà tra i più cinici e tragici che il West abbia visto.
Mezzogiorno di fuoco (1951) di Fred Zinnemann è considerato universalmente, oltre che un capolavoro, anche il western di rottura per antonomasia. Un western in cui il dialogo prende il sopravvento sull’azione, e il protagonista non è più tinto di un eroismo senza macchia, ma ammette di avere paura. Il primo film in cui, sul piano iconografico, l’epopea non è più messa in scena “a pennellate larghe”, non è più fatta di “quadri” e di un’epicità melodrammatica. Zinnemann mette in scena un film dal look crudo, con un bianco e nero quasi documentaristico e una colonna sonora minimale, del tutto anomala per l’epoca. Se sul piano tecnico (colonna sonora in primis), Romantico avventuriero è senz’altro inferiore al film del regista austriaco, sul piano contenutistico le cose cambiano. The Gunfighter, così suona il preferibile titolo originale di Romantico avventuriero, esce nelle sale ben due anni prima e, con un bianco e nero non dissimile, racconta di un figura ancor meno eroica di quella di Gary Cooper. Qui il protagonista non è un uomo che deve affrontare il suo destino, abbandonato a se stesso, spinto solo dal senso di responsabilità, nonostante la paura e il desiderio di lasciar perdere. Qui abbiamo un fuorilegge, con un codice morale, sì, ma pur sempre un assassino. Per di più con il volto di un sex symbol come Gregory Peck. Qui, davvero, per la prima volta troviamo non solo un anti-eroe, ma anche un anti-western. Gran parte degli ottantacinque minuti che compongono il film si svolge in interni e senza azione, senza tramonti, senza estrazioni di pistola, senza duelli e scazzottate di nessun genere. Basti questa affermazione detta, a testa bassa, da Ringo per rendersi conto di come il mito del pistolero viene smontato dalla penna dello sceneggiatore Nunnally Johnson: “That’s a fine life, ain’t it? Just trying to stay alive. Not really living. Not enjoying anything. Not getting anywhere. Just trying to keep from getting killed… Just waiting to get knocked off by some tough kid, like the kind of kid I was.” L’intera spinta narrativa è data dalla voglia che Ringo ha di cambiare, senza che ciò gli venga permesso. Per quanto tu voglia cambiare, e per quanto tu lo possa fare, è tutto inutile davanti alla percezione che gli altri hanno di te. Non si può cambiare veramente se gli altri non sono disposti a cambiare la loro visione di te. Alcuni negli anni ci hanno letto una metafora del rapporto tra pubblico e artista. Il film, comunque, è attuale oggi come allora, e la sua tematica moderna come non mai perché, prima di tutto, parla di una società, la nostra, che ama giocare con la percezione. Rendere gli assassini eroi e viceversa. Odiare e amare contemporaneamente. L’amore per l’odio che le masse hanno e avranno sempre. Un capolavoro tutto da scoprire.
Eugenio Ercolani
La prossima puntata: Sfida nella citta morta