Prodotto da Fedora Productions e distribuito da Miyu Distribution, “The Great History of Western Philosophy”, è il film d’esordio della regista Messicana Aria Covamonas, che debutta in Italia in occasione del 24Frame Future Fest, aggiudicandosi il primo premio tra i film in concorso.
La pellicola è un’opera dissacrante studiata nei minimi dettagli.
Un film capace fin da subito di destabilizzare, incuriosire lo spettatore, e lasciare il segno nei festival di settore.
The Great History of Western Philosophy, la trama
La trama si basa su una storia simbolica: un animatore cosmico, viene costretto dal Comitato Centrale Cinese a realizzare un film filosofico per compiacere il Presidente Mao Zedong. L’animatore però fallisce e il leader lo condanna alla fucilazione.
Da qui, entra in scena il Compagno Scimmia Sun Wukong (figura leggendaria dell’immaginario cinese che incarna la ribellione) determinato a non permettere che ciò accada.
Ha così inizio un caos creativo che coinvolge i massimi esponenti di tutti i sistemi.
Il film farà scontrare personaggi che spaziano da Socrate a Topolino, oscillando dalla cultura alta e quella di massa, dalla logica al rapporto con l’assurdo, dal pensiero critico a quello di propaganda.
Il tutto condito da un’ironia tagliente e uno sguardo sovversivo che costruisce una visione irriverente sui pilastri della cultura occidentale, in un clima volutamente confusionario che fa riflettere.

Topolino e Mao, tra Copyright e satire sul potere
In “The Great History of Western Philosophy” i personaggi sono spogliati dai loro ruoli di potere, ridicolizzati e rappresentati in una forma caricaturale e grottesca.
Il film infatti muove una severa critica sociale nei confronti dell’autoritarismo, ma più in generale nei riguardi della violenza e dell’imposizione cieca. Per questo la figura di Mao diventa il berasaglio di contestazione prediletto.
Ma non solo, anche il personaggio di Topolino, rappresentato in una forma decadente, lancia un’ accusa spietata al copyright. La regista sceglie la Disney come simbolo perfetto della monopolizzazione del potere, di una cultura che viene cristallizzata e privatizzata.
Per Covamonas, L’arte è davvero di tutti, e nessuno merita di possedere nulla per un tempo illimitato.
Il film contiene episodi legati al femminismo, al medico che venne censurato per aver denunciato la diffusione del COVID e tanti altri.
Denuncia e combatte tutti i sistemi di oppressione che favoriscono sempre solo una parte, creano divisione, padroni e sfruttatori.
Psicoanalisi e nonsense: Il sabotaggio del linguaggio narrativo e visivo
Uno degli aspetti principali e interessanti della pellicola, è l’approccio alla scrittura creativa, che presenta una serie di particolari.
Questa infatti, assume una funzione di linguaggio onirico, sostenuto da un ritmo frammentato sonoro e visivo incalzante, costruito con meticolosa intelligenza.
La Regista non ha lavorato con una sceneggiatura tradizionale, ma ricreando direttamente una sorta di “macchina visiva”, fatta di regole sonore, d’immagini in movimento, suono e colore. Ogni fotogramma lavora su un modulo con un ritmo di due secondi, restituendo un’ esperienza visiva e uditiva simile a quella del sogno: ricca di simboli, frammenti e atmosfere surreali.
Questa idea prende ispirazione dalla psicoanalisi lacaniana, secondo cui l’identità di un soggetto è modulato dalla lingua ma mai completamente definita da essa.
Così il linguaggio perde la sua funzione tradizionale e si mette a servizio del gioco, del ritmo, e diventa costruzione dell’identità.
Geniale anche l’idea di utilizzare il cinese doppiato (con sottotitoli inventati) per amplificare la performance dell’assurdo. Tutto questo ci ricorda le avanguardie storiche e la bellezza del cinema sperimentale, un mezzo d’espressione autentico e senza regole.
Nel racconto, la lingua diventa una forma d’arte astratta, così come la filosofia occidentale, che non può essere insegnata, ma si trasforma a sua volta in oggetto di scherno.
Un film estremamente attuale che ci invita a diffidare delle narrazioni imposte e delle verità assolute.
L’arte come strumento di rivolta e ricostruzione
L’opera di Covamonas trova forza proprio nel disordine, suggerendoci di essere soprattutto liberi d’interpretare e ricercare il nostro significato, la nostra individualità, rispetto a ciò che ci circonda. Perchè non esiste mai un unica storia, ma molteplici nuove visioni.
La bellezza di questo racconto risiede nell’eccesso, nell’importanza di fare domande senza per forza dover trovare delle risposte.
Per questo, Il lungometraggio prende spunto dalla corrente storica artistica del dadaismo, utilizzando uno stile d’animazione digitale in cutout, che ricrea l’esperienza visiva di un collage pittorico in movimento.
La stessa Regista a questo proposito ha infatti dichiarato: “Oggi abbiamo bisogno del dadaismo più di prima. Perchè il mondo sembra essere impazzito e la ragione sembra aver fallito”.
The Great History of Western Philosophy si conferma essere un film manifesto di speranza, che riaccende gli animi, sfida i limiti, e costruisce un esempio raro di cosa può accadere quando si osa davvero.