#1 Happy Family USA (2025) è una serie Amazon Prime Video in 8 episodi creata da Ramy Youssef e Pam Brady, prodotta da Amazon MGM Studios e A24 Production.
“Representation warning. Do not use this animated show as cultural representation for any of the following communities: Muslims, Arabs, People from New Jersey“
Cosa succederebbe se la prima Presidente donna marrone musulmana sedesse alla scrivania dello Studio Ovale? E se quella donna fosse lesbica? E se fosse primogenita degli Hussein, una famiglia arabo-americana immigrata che abita nello Stato del New Jersey spiata dal Bureau federale d’investigazione degli Stati Uniti? È ovviamente molto improbabile che la presidenza si avveri, persino in uno show di fantasia come #1 Happy Family USA, dove arabi di ligia fede islamica – affatto sospetti – si vedono affiliati per antonomasia al loro gemello Osama Bin Laden, attimi dopo il disastro del “9/11”.
10 settembre 2001. Un padre di famiglia con un carretto di hot dog, una madre che indaga il mistero dietro la morte – omicidio – della Lady D, una figlia gay che aspira a essere Presidente (di classe), e un figlio in crisi d’amore e amico di penna di George Double-u Bush. Hussein (Ramy Youssef), Sharia/Sharon (Salma Hindy), Mona (Alia Shawkat) e Rumi Hussein (doppiato anch’egli da Youssef). I quattro vivono in una piccola casa a due piani, insieme all’anziana madre (Randa Jarrar), patita di show televisivi, e all’anziano padre (Azhar Usman), fumatore di strette vedute, di Sharia.
Da un giorno all’altro, le vite di tutti loro cambieranno. Anzi, vivere diventerà difficile, se non impossibile. I vicini di casa e l’FBI sono dietro la porta a origliare, mentre interi fascicoli sugli Hussein vengono riempiti di sospetti, indizi, piste, a mano a mano che trascorrono le ore, i minuti dall’11 settembre…

Fotogramma di ‘#1 Happy Family USA’. Baba, ovvero Hussein Hussein nel suo codice di vestiario casalingo, regge tra le mani i costumi “tipici” dell’Amreeka
La satira non così tanto satira di #1 Happy Family USA
#1 Happy Family USA, non dovrebbe essere difficile immaginarlo, è una famiglia che con gli attentati al Pentagono e alle Torri Gemelle non c’entra niente. Ha solo avuto l’ironica sfortuna di pregare Allah, di indossare l’hijab e di avere la barba lunga negli Stati Uniti d’America all’alba del 12 settembre 2001.
Da quel momento, ogni situazione in cui si troveranno coinvolti diverrà buona per gli altri a essere fraintesa: le regole del quieto vivere della famiglia Hussein verranno rivoluzionate per far nuova fede a una condotta che renda fiera, e non sospettosa, la patria “Amreeka” (America). I goffi, ridicoli, estremi, tentativi del padre Hussein di “americanizzarsi” e idolatrare l’Aquila statunitense, sono l’esempio da seguire se si vuole sopravvivere nel Paese della democrazia. In qualsiasi momento storico. L’ingresso negli studi di Fox News rappresenta, infine, l’apice di questa folle impresa che Hussein vuole compiere. Che lo porta, nel bene o nel male, ad andare contro i propri principi religiosi, di uomo, di padre. “I terroristi sono brutte persone“, è proprio quello che all’America serviva sentirsi dire da un musulmano.

Fotogramma di ‘#1 Happy Family USA’. Hussein e due ospiti di Fox News presso il carretto di hot dog di Hussein. Quest’ultimo è vestito da “statunitense”, mentre gli altri due personaggi sono due stereotipi viventi che l’America vorrebbe vedere realizzarsi
Tra realtà e fantasia
#1 Happy Family USA è il quadro satirico, perfetto, che non ci aspettavamo di vedere nel 2025. Un esempio di umorismo, uno spaccato su un Paese post 11 settembre che ha dimenticato il proprio senso etico e morale – e forse in parte non l’ha ancora recuperato. La serie di Youssef e Brady, a più riprese, ci ricorda che è uscita nel 2025, e non nel 2001, nonostante il sentore nostalgico dei primissimi anni 2000 che si avverte in certi episodi: il mixtape su CD creato da Rumi scaricando musica illegalmente da Internet, o la doppia ricompensa per il voto alla candidatura di Mona che consisterebbe in un Game Boy Advance e un Discman della Sony.
Il racconto, caustico in certi punti e più bonario in altri, non colpisce né offende le parti tirate in ballo. Tutti qui stanno ballando il valzer dell’autoironia, senza denuncia e senza moralismi. Lo stile di disegno è a mo’ di illustrazioni egiziane (essendo gli Hussein immigrati d’Egitto), con occhi grandi e affusolati, contorni grossolani, come quelli che si trovano dipinti sulle pareti dei templi antichi. E spesso e volentieri anche la musica (a volte la serie sembra trasformarsi in musical, ma solo per brevi momenti introduttivi o conclusivi di puntata), spudoratamente arabeggiante, evidenzia in modo ancora più didascalico le azioni dei protagonisti.
La dissacrante satira e presa di coscienza dei personaggi, privati della loro dignità e diritto di esistenza; il ricovero di un Paese ferito che cerca nell’occhio vigile di un Grande Fratello del nuovo Millennio un capro espiatorio o una cospirazione plausibile – “See something, say something“. L’umorismo, prima ancora che la situation comedy, fa riflettere sui layers, strati, sui quali la narrazione è montata. Ed essi sono tanti. E sono, in parte tutti, reali.
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