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‘The Last of Us 2’ : il dramma genitoriale

Nella seconda stagione Joel e Ellie devono affrontare infetti e traumi interiori.

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Dopo quasi due anni torna su Sky Atlantic la seconda stagione tratta dal videogioco omonimo, The Last of Us 2. Creato da Craig Mazin e Neil Druckmann, il dramma post-apocalittico è prodotto da Sony Pictures Television e da Naughty Dog, la stessa casa di produzione che ha sviluppato il gioco d’origine. Tornano nei loro ruoli i protagonisti Pedro Pascal e Bella Ramsey, affiancati da Gabriel Luna, Isabela Merced e Catherine O’Hara.

Il TRAILER – The Last of Us 2

Sinossi – The Last of Us 2

Cinque anni dopo gli eventi della prima stagione, Joel (Pedro Pascal) ed Ellie (Bella Ramsey) vivono a Jackson ma il loro rapporto è incrinato, condizionato da bugie e dall’eccessivo protezionismo dell’uomo. Joel continua a tenere nascosta l’uccisione delle Luci mentre la vita del piccolo villaggio prosegue con Ellie che va incontro al primo amore. Il pericolo però è sempre in agguato, e non solo da parte degli infetti.

La vita del videogioco e quella della serie – The Last of Us 2

Nella prima stagione, l’elemento caratterizzante era costituito dalla protezione di Ellie, la cura verso un mondo infettato di cui solo lei rappresentava la salvezza. Quindi, tra narrazione regolare e pause temporali, assistevamo all’attaccamento e al viaggio sanguinario che capovolgeva la situazione, creando un legame genitoriale che toglieva Ellie dal suo destino. A due anni di distanza, non si può di certo incolpare The Last of Us 2 e i creatori Druckmann e Mazin di non aver seguito il gioco. Nella seconda stagione siamo trasportati bruscamente aldilà del tempo (espediente già visto nella prima stagione) con Joel e Ellie cresciuti di cinque anni e in un nuovo mondo, nella città-stato del fratello di lui. Ciò pone un’iniziale riflessione sul tempo tra due realtà finzionali, quella di un gioco e quella seriale che è difatti, come avviene nel cinema, l’estensione di una verità della vita qui più accentuata dalla scomposizione episodica.

Perché dai primi minuti di The Last of Us 2, ossia dalla dissolvenza che interrompe la prima stagione e ci fa immergere nella seconda, ci si imbatte in una velocità di racconto diametralmente diversa dalla lentezza della prima stagione. È come se la serie HBO voglia scoperchiare subito il suo minestrone nella propria ansia irrefrenabile di non scontentare i sempre solerti fans del videogioco d’origine. Così siamo dentro al nuovo mondo di Jackson dove si sono rifugiati i nuovi protagonisti con una tendenza didascalica che il primo episodio assume con una certa naturalezza. Non è casuale che la seconda scena, prima di presentarci il nuovo contesto in cui agirà la serie, è costituita dall’inserimento di un nuovo personaggio, Abby, e la sua sete di vendetta per il massacro compiuto da Joel con le Luci.

Una seconda stagione piena di conflitti interiori

Una classica tecnica che la serialità americana usa per aprire un iniziale evento cardine, sospenderlo, per poi metterlo al centro della narrazione. Continuando nella sua didascalia, il primo episodio si occupa del nuovo mondo emotivo di Joel ed Ellie, interessato all’ordinarietà della nuova vita piena di conflitti emotivi tra i due interpreti, e usando il lasso temporale come freno di un rapporto. In questo si denota la differenza tra il videogioco e la sua trasposizione. Se il primo è per sua natura un meccanismo videoludico orientato dal giocatore, e che quindi può permettere passaggi coerenti o meno, il secondo, quello seriale, ha bisogno di una specifica struttura diegetica che il ritorno di The Last of Us non ha completamente, obbligato a lasciarsi condurre dalle dinamiche del gioco.

Il coming of age di Ellie e la crisi del padre

In The Last of Us 2 si avverte una regressione da parte di Joel e un’emancipazione interiore e di trasformazione di Ellie. Pedro Pascal, proprio ai fini del rispetto della storyline del gioco, è l’ombra dell’eroe contorto della prima stagione. La sua complessità, nel suo nuovo corso, è orientata verso la sindrome di un padre che ha bisogno dell’affetto di una figlia acquisita che sta crescendo e della quale Joel non capisce più le dinamiche. Si contorce per questa lontananza, diventando lo spettro dell’amore respinto a cui la serie tende fin da subito. Ed Ellie, che presumibilmente non è a conoscenza delle bugie di Joel a fin di bene, si comporta come qualsiasi teenager desiderosa di spazio, respingendo il padre per ottenere il proprio spazio. In tal senso emblematica è la scena ripresa completamente dal videogioco: Ellie e Dina, vittime di lesbofobia, vengono difese violentemente da Joel.

Distacco ed emancipazione

In quel gesto di protezione c’è il senso di colpa per il distacco della figlia, e nella reazione di Ellie la pretesa di poter crescere senza la presenza asfissiante del padre. Ma se The Last of Us 2  sembra direzionarsi verso un conflitto genitoriale abbastanza plateale, più che nella prima stagione la serie HBO si sofferma sul coming of age di Ellie, un’emancipazione che riguarda in minor misura l’azione contro gli infetti, e concentrandosi in toto sul romanzo di formazione sentimentale dell’alterego della Ramsey. Chiaramente la serie non può esimersi dal proporci la solita coazione a ripetere verso il pericolo di Ellie e i rocamboleschi duelli per la sopravvivenza. Ciò però che si nota dal primo episodio è una predilezione verso il teen-drama introspettivo della protagonista. Ellie, nella seconda stagione, appare inserita nella crescita definitiva e nel passaggio da oggetto misterioso ad adolescente.

The Last of Us 2  ha un evidente freno a mano tirato nel suo primo episodio, condizionata da un’esigenza didascalica e da un approfondimento interiore sui due protagonisti. È ancora una serie notevole, e la sua più grande sfida è riuscire a ripetersi anche con un salto temporale così obbligato.

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