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Lovers Film Festival

‘À toute vitesse’: il ritmo del dolore

Le vite di quattro ragazzi in una periferia fatta di invisibilità e dolore

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a toute vitesse

À toute vitesse di Gaël Morel è stato presentato al Lovers Film Festival, nella sezione Lovers Celebration. Il film datato 1996 racconta la storia esistenziale di quattro giovani che conducono la loro vita al limite, sempre a metà strada tra eccesso e ragione. Ad emergere è anche la tematica omosessuale, che si sviluppa a partire dal rapporto tra due dei quattro protagonisti, ancora in una fase – quest’ultimo – di scoperta dell’altro da sé, di sé e di ciò che si sente di essere davvero.

Il tema dell’emarginazione

À toute vitesse è un film che esplora il mondo interiore dei suoi quattro giovani protagonisti, in relazione ai rapporti che costruiscono, esclusivamente tra di loro. Lo sguardo sull’altro è possibile, certo, ma solo se l’altro rientra nel microcosmo narrativo creato alla regia. Si definisce quindi uno spazio filmico chiuso in se stesso, espressione tangibile di quell’emarginazione che Morel ha reso elemento strutturale della sua opera. Un’esclusione che assume diverse forme e si esprime in diversi modi, ma che è sempre accomunata da un’importante dose di sofferenza e di umiliazione subita.

È un’emarginazione che viene da lontano, dai primi anni di un’infanzia difficile, di ristrettezze sofferte, attraversate, esplorate. Di una giovinezza all’insegna del bisogno e della precarietà, che non può in alcun modo contribuire in forma positiva alla formazione di una personalità solida e coerente, ma solo dare origine a crateri di vuoto, spaziali ed emotivi. La cinepresa di Morel riprende la loro vita attraverso il filtro dello sguardo, in primis dei protagonisti, ma anche dello sguardo giudicante che questi hanno sentito per tutta la loro vita su di sé. Non solo lo sguardo, vi è anche il peso delle parole/espressioni – degrado, case popolari, realtà socio-culturali depresse – che ingabbiano, circoscrivono e definiscono sensazioni, fatti e difficoltà, a spaventare i giovani. Questi non fanno altro che rifugiarsi sempre di più in loro stessi, barricati nelle paure e in sicurezze fittizie.

Di questa emarginazione ricostruita ad hoc tra sensazioni, sguardi e parole, ne ha parlato lo stesso Morel presente in sala. Si tratta di qualcosa che ha sentito in primis anche lui:

Ho fatto questo film quando avevo ventidue anni, è un film che ha energia e volontà di andare contro quello che era il cinema all’epoca, borghese e pieno di stereotipi. Io vengo da un contesto più operaio

Giudizio e pregiudizio

Morel in À toute vitesse rende particolarmente eloquente il tema del giudizio, che diviene in molte scene auto-giudizio, esercitato dagli stessi quattro protagonisti su di loro. Se è vero che il tema dell’emarginazione è inevitabilmente collegato a quello del giudizio, perché uno è la diretta conseguenza dell’altro, è anche vero che – d’altra parte – non può esserci libertà di pensiero in uno spazio chiuso e soffocante, come quello di cui sopra.

Il giudizio emerge nel film nei rari momenti in cui i giovani protagonisti hanno qualche contatto con l’esterno – con quel mondo dunque che va oltre i palazzoni – ed è quasi sempre uno scontro, più che un incontro, disastroso. Se uno dei ragazzi, Quentin (Pascal Cervo), sembra essere l’unico ad “avercela fatta”, poiché ha scritto un romanzo che è stato pubblicato e accolto positivamente, non si tratta di una vera e propria vittoria. Specie per il resto del gruppo, che in qualche modo risente negativamente di questa luce.

La funzione della scrittura

Quentin scrive per ritrovare un vissuto altro da sé, una persona e quindi per conoscere l’oggetto/soggetto di cui parla entrando in contatto con esso e con se stesso, mentre i suoi compagni sono pericolosamente alla deriva, e lui non può di certo salvarli. Morel crea un microcosmo piccolo, chiuso e ripetitivo, e al suo interno inserisce la stessa miccia che potrebbe farlo esplodere, ovvero il personaggio di Quentin. Fare saltare quelle dinamiche, con il suo agire diversamente dal gruppo, permette la riflessione critica da parte dello spettatore su un mondo che può sentire lontano o vicino, a seconda delle proprie esperienze. E ancora interrogarsi a proposito di cosa è bene e cosa è male, in un mondo – quello dei protagonisti – dove è tutto sempre bianco o nero, privo di sfumature.

Tutto ciò che emerge, però, è il quadro di un’enorme fragilità personale, di giovani di appena vent’anni che in un mondo in cui sono inciampati più volte rispetto ad altri, devono trovare a tutti i costi qualcuno che sia una figura di guida. Qualcuno che “li aiuti a resistere”, che insegni loro a vedere oltre. Senza cadere nella dipendenza affettiva, altra trappola di un mondo già pieno di buche.

La rappresentazione della velocità

À toute vitesse è un film veloce, o meglio un film che fa un uso interessante della rappresentazione della velocità. Quest’elemento è evocato fin dal titolo e sembra essere la definizione più coerente della vita che conducono i giovani: a tutta velocità, verso una meta non definita, e forse nemmeno definibile davvero, nella grande confusione che regna.

Eppure il film prosegue, nella sua struttura narrativa, più che per movimenti rapidi, per battute d’arresto, ripensamenti, riflessioni. Che non sono altro che le paure che agitano i protagonisti. La velocità intesa da Morel non è quindi strumento positivo di crescita, ma al suo contrario di autodistruzione. I protagonisti sfrecciano in auto, in moto, nella corsa sulle proprie gambe, sfidando il pericolo, perché non sono mai entrati in contatto con se stessi: non si sentono.

Velocità è anche sinonimo di fuga, arte in cui i protagonisti – terrorizzati dalla paura di non poter appartenere a una realtà che vorrebbero tanto sentire propria – esercitano di continuo. Fuga dalle relazioni, dalle responsabilità, pure dalle nuove possibilità. É una velocità che ripete gli schemi del dolore, non innovazione. E che chiude il film, con l’immagine della morte, unico vero modo per fuggire, “a tutta velocità”, da un contesto già estinto.

À toute vitesse

  • Anno: 1996
  • Durata: 86'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Francia
  • Regia: Gaël Morel