Scritto e diretto da Kiyoshi Kurosawa, Cloud entra a piccoli passi nella vita al computer di Ryōsuke, un sagace rivenditore online, il cui losco giro d’affari anestetizzerà il dolore del suo contrappasso. Dai rischi del web allo svuotamento dell’anima, camminiamo tra le trappole del cinema post-moderno.
Dal redditizio giro d’affari del bagardinaggio, Yhosii sembra non aver mai raggiunto una così solida stabilità economica. Dalla stima e l’affetto dei suoi cari alla caduta vorticosa verso il baratro. Cloud ci porta a scoprire come un losco affare celi trappole pericolose, tanto che il protagonista diventa sempre più preda di inquietanti avvenimenti.
Cloud: l’ambizione dannata di Ryosuke
Il film thriller di Kurosawa segue senza introduzioni romanzate la vita di Ryōsuke Yoshii (Masaki Suda), un bagarino online che, sotto il falso nome di Ratel (serpente a sonagli), compra oggetti dal modico prezzo e li rivende a cifre altissime per un guadagno che infiamma presto la sua sete di ambizione. Yoshii diventa tanto bravo con le vendite online da rinunciare al lavoro in fabbrica per cui sembra ricevere solo lodi e promozioni. Rinuncia al suo modesto appartamento per una grande casa con la sua fidanzata, Akiko (Kotone Furukawa). La sua attività gli permette di rinunciare ogni altra proposta, come quella del suo ex compagno di collage Muraoka (Masataka Kubota). Quando però l’ultimo prodotto in vendita è una borsa contraffatta l’ingranaggio di questa macchina si inceppa e i fili dei personaggi si aggrovigliano fino a lasciare il protagonista solo e senza via d’uscita. Quelli che sembrano stimarlo diventano ombre nere dietro i vetri della sua casa, con una svolta del film verso toni cupi e inquietanti.

La nuvola: metafora di un oscuro presagio
Non è la prima volta in cui il cinema si interroga su quale contrappasso attenda il girone dei ‘nuovi ricchi’. I nuovi ricchi conseguono l’accumulo di denaro tramite mezzi illegali, strategie furtive e loschi raggiri. In Parasite (2019, Bong Joon-ho) la famiglia esce dall’emarginazione economica in cui lo scantinato la relega per insediarsi da parassiti tra le aree minimal-chic della casa dei Park. Tramite bugie e raggiri si arricchiscono con una terribile condanna finale. I protagonisti di Don’t worry, darling (2022, Olivia Wilde) si inscrivono ad un programma speciale per una vita che li salvi dalle misere condizioni in cui vivono, scoprendo con un finale distopico cosa il programma riservi agli iscritti.
Cloud fa questo: al pari delle nuvole che il titolo evoca, ci da l’impressione di poter fluttuare, elevandoci finalmente dalla posizione subalterna in cui destino ci relega, ma anche contenendo il segno di una tempesta in arrivo. Le nuvole antropologiche del cinema post-moderno sono tutte le creature a cui l’amoralità dell’azione riserva un finale senza riparo alcuno.
L’assenza di empatia nella società delle reti
Quando si parla di tecnologia non si ha mai il coraggio di sapere fino a che punto essa ci possa portare. Il protagonista di questa storia trova nel web una miniera preziosa per la sua vita. I soldi che guadagna gli consentono di lasciare il lavoro in fabbrica e di comprare un nuovo appartamento in montagna con la sua fidanzata. Sembra una felice parabola di formazione, se solo non avessimo visto il film. Difatti, fin dal suo inizio in medias res, capiamo che il giro online di compravendita non è un mondo facile né pulito. Ma Ryōsuke ha sempre la stessa espressione e con cinica fermezza imbroglia gli esercenti.
Fino all’ infernale epilogo, il protagonista vive tutto senza sentire: il successo senza l’entusiasmo, la punizione senza il pentimento, il pericolo senza la paura, la perdita senza la nostalgia. Sembra che qualsiasi cosa accada scivoli sull’impermeabilità emotiva di Ryōsuke, la cui “faccia da vittima”, come viene definito dal suo ex capo, lo rende antipatico a molti. La società delle reti, a cui dà voce Cloud, genera mostri oppure database in forma umana? Senza capacità di sentire, ci addentriamo nel male odierno con un allucinato spaesamento.
Tra dati e paure: la filmografia di Kiyoshi Kurosawa
Quelli che Cloud condensa non sono temi nuovi ai fan del noto regista Kiyoshi Kurosawa. Regista cult della cultura giapponese contemporanea, maestro del cinema ciber-noir e scrittore brillante dalla penna cinica e originale, è da sempre avulso a realizzazioni semplicistiche dell’uomo moderno. Nelle metropoli fantasma aleggia l’apatia della nuova era e l’autore così penetra nei meandri bui del mondo tecnologico. Il regista fa inoltre dei suoi personaggi dei fantocci itineranti, vuoti di sentimentalismo, ma colmi di paure e nevrosi inespressa. Così riesce nella scrittura dei suoi film, mai prevedibili, occhio di bue sul mondo iper-connesso dei media: Cloud, Pulse (2001), Retribution (2006), Hitchcock/Truffaut(2015, Kent Jones), Wife of a spy (2020), Tokyo sonata (2008), Creepy (2016), To the ends of the earth (2019), Journey to the shore (2015).

Il film, da Venezia all’Asian Film Festival
Presentato all’81ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, fuori concorso, il film è stato distribuito nelle sale giapponesi dal 27 giugno 2024 e arriva nei cinema italiani il 17 aprile 2025, distribuito da Minerva Pictures. All’Asian Film Festival, per la Giornata del cinema giapponese, viene proiettato l’ultimo capolavoro del maestro Kurosawa, che ci consente di riscoprire un’illustre filmografia di autore e addentrarci nelle trappole del mondo postmoderno.
Sembra che l’attesa di questo film non sia stata vana, perché Kurosawa riesce, con il suo mix di generi e tema focali della cultura contemporanea a darci uno specchio in cui rifletterci. In Cloud la suspense a filo tesissimo, il genere neo-noir, ma anche western cibernetico si condensano per un intrattenimento garantito. Inoltre l’insensatezza e a volte goffaggine del male colato a gocce in ciascuno dei personaggi presenti è la risposta alla nostra domanda iniziale. Davanti ad una realtà anestetizzata dall’iper-medialità ogni categoria morale rischia di franare.
Editing Giulia Radice.