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“Giappone Underground. Il Cinema sperimentale degli anni ’60 e ’70” di Beniamino Biondi

Il cinema da leggere. Recensioni di libri di cinema. Rubrica a cura di Gianluigi Perrone

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Giappone Underground. Il Cinema sperimentale degli anni ’60 e ’70

Beniamino Biondi

Il Foglio Letterario

Pagine 134

 

Il lavoro che il critico Beniamino Biondi, tra le altre annoverabile tra le file di questo portale, è mirabile. Un’analisi sul cinema giapponese che, nell’impossibilità di essere completa, colma, sia nei temi che nell’approccio, quelle lacune che altrimenti sarebbero dimenticate dalla saggistica contemporanea. Di lui ricordiamo Cronache di una farfalla in lutto. Scritti sul nuovo cinema giapponese, e Sangue Nudo, il cinema terminale di Hisayasu Sato, ma anche Giganti e Giocattoli. Il Cinema di Yasuzo Masumura, e Giappone Underground. Il Cinema sperimentale degli anni ’60 e ’70. Ci piacerebbe sicuramente dedicare ad ognuno di questi scritti un capitolo di questa rubrica, ma ovviamente riempirebbe uno spazio eccessivamente lungo, quindi la scelta sarà dettata dal gusto personale di chi scrive, ovvero su un’era d’oro del cinema nipponico.

Giappone Underground tratta, rispetto agli altri tomi di Biondi, un tema molto toccato, non solo in Italia, ma in generale dalla saggistica mondiale che ha riconosciuto negli anni ’60 e ’70 un periodo prolifico e sconvolgente per la produzione cinematografica giapponese. Dopo un decennio, i ’50, di demotivazione e castrazione censoria, dovuta anche all’avvento della televisione, il Giappone fioriva in una maniera personalissima e inaspettata, un fenomeno che in tutta onestà sarebbe bello riscontrare oggi in una ipotetica rinascita del cinema italiano, se non vi fossero dinamiche che lo rendono impossibile. Quello che avvenne ha dell’emblematico. I giovani registi decisero di dare massimo sfogo all’espressione della propria arte, generando non tanto una quantità notevole di capolavori, ma creando una scena a dir poco allucinante, a rifletterci oggi. Una generazione che guardava all’Occidente e soprattutto alla Francia e all’Italia, una nouvelle vague di artisti che avevo visto accadere l’inimmaginabile (la generazione degli anni ’30) e non poteva essere contenuta. Un bagaglio preziosissimo che la tradizione culturale del Giappone ha immagazzinato e metabolizzato in maniera incomprensibile, e spesso a noi estranea o arrivata in maniera totalmente scorretta.

Diversi i nomi e gli stili presentati nell’opera che può permettere a un ricercatore curioso di scoprire un universo incredibile. Yukio Mishima, Toshio Matsumoto, Shuji Terajama e Koji Wakamatsu, che ci fa piacere ricordare a circa un anno dalla sua scomparsa, come uno dei più grandi talenti della scena ero-guro e non. Difficile entrare nello specifico qui, quindi basti dire che Biondi tenta di dare una panoramica generale, soffermandosi sui punti salienti, evitando la sensazione di infarinatura generale. Un’opera che fa venire fame di cinema, che una volta riposta fa venir voglia di addentrarsi in questo caleidoscopico viaggio attraverso il folle cinema giapponese che fu.

Gianluigi Perrone

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