Qualsiasi discorso sul sé, oggi più che mai, non può prescindere dai momenti storici vissuti. C’est pas moi (Leos Carax, 2024) è la testimonianza di questa impossibilità. Dalla settantasettesima edizione del Festival di Cannes, C’est pas moi è approdato a RENDEZ VOUS – Festival del nuovo cinema francese e, dal 15 aprile, sarà disponibile sulla piattaforma IWONDERFULL.
Leos Carax, dove sei?
È da questa semplice ma significativa domanda che il percorso di C’est pas moi ha inizio. Al Centre Pompidou, infatti, avrebbe dovuto tenersi una mostra dedicata al regista francese che ha risposto per immagini al quesito. Nonostante l’esposizione non si sia mai tenuta – o, almeno, non ancora – non si poteva pretendere nulla di più esaustivo da un cineasta che ha fatto dell’enigma una delle sue cifre distintive.
Il cortometraggio, che dura poco più di quaranta minuti, si articola a partire dalla voce del regista stesso che, in prima persona, risponde alla domanda posta senza effettivamente rispettarla. Se spesso si pretende dai personaggi pubblici un costante aggiornamento sulle loro attività, Leos Carax sceglie, con l’indecifrabilità che sembra dominare nella sua relazione con il pubblico, di parlare di tutto fuorché di ciò che gli è stato chiesto. Allo stesso tempo, però, la sua risposta potrebbe essere l’unica possibile. “Dove sei?”: dove si trovano molti altri, a metà fra un passato-presente e un presente già invaso dalle ombre di un futuro prossimo. Ma come dare rappresentazione all’inimmaginabile?
Found footage, film-saggio, video essay
C’est pas moi è un’opera critica e analitica sotto molteplici punti di vista. L’illustre precedente al quale non si può non pensare davanti a un lavoro del genere è Histoire(s) du Cinema di Jean-Luc Godard. I suoi montaggi, caratterizzati da una coesistenza spaziale e temporale delle immagini, tanto artistiche quanto storiche, sono intrisi della soggettività del loro demiurgo. In Godard, poi, il discorso sull’arte non può che confrontarsi con le ferite del Novecento: con le tecnologie di riproduzione, infatti, gli eventi storici hanno acquisito la medesima sostanza delle immagini cinematografiche. Grazie a questa possibilità, Godard ha costruito un atlante fatto di strati visivi che si sedimentano gli uni sugli altri. Come si configura l’operazione di Leos Carax a partire da una tale eredità?
Come in ogni saggio che si rispetti, la parola è rivelatrice. I caratteri in C’est pas moi si sovrappongono e mescolano secondo il ritmo dettato dal loro fautore. Non c’è una concatenazione tra causa ed effetto ma frammenti composti, a loro volta, da ulteriori frammenti, brandelli di ciò che resta. I discorsi sui personaggi pubblici possono essere soddisfacenti ed esaustivi solo se costruiti come una sceneggiatura e Leos Carax, poco incline all’accondiscendenza, li ribalta.

Gli atti di decontestualizzazione, di per sé ironici, consentono di risemantizzare ogni immagine collocata da Carax nel cortometraggio. Le foto da album di famiglia sono affiancate, senza soluzione di continuità, a quelle appartenenti al periodo del secolo scorso del quale è stato detto tanto e mostrato troppo. Nessuna storia personale esce indenne dal terrore che troppo spesso la Storia porta con sé e persino le immagini cinematografiche devono farci i conti.
A tal proposito, C’est pas moi non manca di riflettere sull’assunzione di responsabilità e sul riconoscimento delle colpe.
Il cinema ti perdona tutto,
afferma nel suo corposo monologo Carax. Ecco che in sovrimpressione, tra figure del mondo del cinema che riemergono come ricordi, compare Roman Polanski. I traumi subiti, nella propria esistenza e in quella collettiva, non possono giustificare le colpe di cui si è responsabili. C’est past moi non risparmia niente e nessuno, neanche quei potenti che oggi lavorano per la distruzione senza comprendere che l’annientamento dell’altro è annientamento del sé. Come si può creare in un mondo del genere?
Frammenti di Carax in C’est pas moi
Non esiste bellezza senza macchia,
dice nel suo flusso di coscienza Leos Carax. Le immagini del suo cinema, finora non menzionate, sono il materiale al quale il regista attinge maggiormente nel suo mirabolante montaggio. Da Boy Meets Girl (1984) ad Annette (2021), si assiste a un percorso artistico che trova continuità persino nella più profonda differenza. Nel volto e nei movimenti di Denis Lavant e nei suoi personaggi di confine questa traiettoria è chiara più che mai.

Non mancano, però, brevi scene girate appositamente per il cortometraggio. Carax passeggia con la sua creatura cinematografica, Monsieur Merde (Denis Lavant), portando il suo cinema in una realtà forse non esattamente documentaria. È ancora una volta un film, poi, a fare da ponte tra la produzione cinematografica di Carax e la sua vita. Pola X (1999) e le sue sequenze si configurano come un omaggio a coloro che non ci sono più. Guillaume Depardieu e Yekaterina Golubeva riemergono in immagini che rievocano il dolore dei loro personaggi e non solo. Il volto di Golubeva, defunta attrice russa e compagna del regista, riecheggia in quello del personaggio della pianista incarnata, appunto, da Nastya Golubeva Carax, loro figlia. Non a caso, il brano da lei interpretato è il toccante Concerto di Michel Legrand tratto da Josephine (Les Demoiselles de Rochefort, 1967) di Jacques Demy.
Immagini, dove siete?
Le immagini di C’est pas moi riescono a coniugare traumi del passato, preoccupazioni future e nostalgia. Esse sono protagoniste e oggetti dialoganti ma, proprio per questo, la loro sorte è una delle questioni più impellenti di quelle tirate in ballo da Carax. È ancora una volta la sua voce a denunciarne la condizione: gli occhi hanno bisogno di sbattere le palpebre per vedere, ma oggi è il flusso incessante delle immagini a non essere più in grado di farlo. Queste perdono pregnanza, non dialogano più: le immagini sono diventate invisibili.
Nel tono di Carax non c’è rassegnazione ma neanche sfacciata speranza. Il mondo visivo è ora a questo stadio, restituito esaustivamente dalla coniugazione di immagini analogiche e digitali, di quelle del cinema del regista e dei film che lo hanno ispirato.
L’ultima fatica di Leos Carax è, ancora una volta, un atto irriverente. Invece di parlare (solo) di lui, il cineasta parla di e a noi. Ci mostra dove il mondo si sta dirigendo, come gli individui stanno agendo e, come sintomo di questa preoccupante traiettoria, quanto le immagini siano in grado di reiterare l’esistente oppure, non senza difficoltà, risollevarlo verso la bellezza.