Forte presenza femminile,quest’anno. E Vanessa Tonnini, direttrice artistica della rassegna, ricorda come la quota femminile nel cinema francese stia molto crescendo, negli ultimi anni. Così come in quello italiano, dove le donne, in particolare con le loro opere prime, sono spesso più libere e audaci rispetto a colleghi maschi.
Audacia, memento audere semper. È il caso del primo lungometraggio diAgathe Riedinger,Diamant Brut, in concorso ufficiale alla scorsa edizione del Festival di Cannes.
Accolto in sala con entusiasmo, alla presenza della regista, il film – girato in 4:3 per potenziare il fuoricampo – ha ottenuto due candidature al Premio César 2025, categorie ‘Meilleure Révélation Féminine’ (a Malou Khebizi) e ‘Meilleur Premier Film’. E riprende un personaggio già delineato dalla regista in un corto precedente, J’attends Jupiter. In attesa del miracolo.
Il miraggio dei reality show come riscatto sociale
I temi di Diamant Brut sono più che mai di attualità. Essere giovani e belli pare il leitmotiv della società moderna, basti pensare al recente body horror The Substance di Coralie Fargeat. Dove, per una coincidenza che pare quasi un’ironia della sorte, la brava-non più giovane Demi Moore si vede ‘soffiare’ il premio Oscar dalla ventiseienne Mikey Madison.
E poi ci sono il mondo spietato dei social network e dei reality, quel punto di partenza/arrivo cui molti talenti aspirano, fantomatico e fantasmagorico trampolino di lancio verso il successo. Anche qui il cinema non ha lesinato: ricordiamo, per tutti, Reality di Matteo Garronein concorso a Cannes nel 2012. E la storia di Luciano (Aniello Arena), pescivendolo napoletano, che, dotato di particolare vena comica, un giorno partecipa ai provini per entrare nella casa del Grande Fratello. Da quel momento vive l’attesa come un’ossessione, fino a che la paranoia e la follia prendono il sopravvento.
Il caso di Diamant Brut
Pur con età opposte, Luciano qui si chiama Liane (Malou Khebizi), una ragazza di 19 anni che vive con la madre e la sorella minore a Fréjus, nel sud della Francia, piano meno nobile della Costa Azzurra. Un luogo fatto di centri commerciali, vegetazione bruciata dal sole e stuprata dall’edilizia popolare, mentre un po’ più in su ci sono i palazzi, set di shooting fotografici, feste, soldi, dimore di principi borghesi. Un contesto disagiato, quello di un quartiere periferico in una città di provincia, con tanto di padre assente e madre divorziata-mantenuta poco empatica, nonché di amiche che faticano a comprendere. Lavoretti precari, stallo, frustrazione e voglia di emergere. Qualche cliché ma ci può stare.
Stupisce un po’ sentire Liane che canta il madrigale barocco Passacaglia della vita, attribuito a Stefano Landi, con il ripetuto “Bisogna morire”: difficile immaginare che il giovane personaggio possa aver ricevuto l’educazione per conoscerlo.
Consumata da aspirazioni di bellezza, successo e celebrità, Liane fa audizioni per un reality show chiamato ‘Miracle Island’, una sorta di ibrido tra L’isola dei famosi, Temptation Island e Too Hot To Handle. Vuole un posto da concorrente, costi quel che costi, e l’attesa di una risposta sarà terribile. Il suo riscatto sociale.
Tutto inizia, dopo un’immagine in apertura di una sorta di lap dance intorno ad un lampione di periferia, quando, in treno, Liane legge i commenti dei suoi fan alle foto che si scatta, pronta a rispondere con furore a un tizio che la apostrofa chiamandola “puttana”. La violenza becera dei social, il finto coraggio dei leoni da tastiera.
Diamant Brut: sentirsi amati come una regina, questo è il problema
Liane è una bambolina, una vera ‘queen’, una sorta di Barbie dal seno rifatto con tanto di capelli tinti, trucco osé, folte sopracciglia circonflesse, unghie e ciglia finte, extension eccessivamente lunghe, tacchi alti e gioielli appariscenti, brillantini. Gli ingredienti della finzione che, in qualche modo, protegge, ci sono tutti. Make-up, rossetto, smalto, lenti a contatto, reggiseni, corsetti, magliette, vestiti, shorts e scarpe su cui incolla le paillette rubate dai capi che prova nei negozi. L’unica cosa vera sono le impurità della pelle, che si gratta via ossessivamente sotto la doccia e il sangue delle piaghe ai piedi martoriati dai tacchi. È, infatti, una ballerina di gogo nel tempo libero, un’influencer sui social, provocante, visibile, libera, impavida. Si distingue e vuole distinguersi da tutti.
“La rarità non si negozia” – Liane
La regista e sceneggiatrice vede in Liane la rappresentante di tutte quelle ragazze che, nonostante la loro bellezza e fascino, non si sentono amate e provano il bisogno di ottenere un riconoscimento che, pur partendo dal lato esteriore del loro aspetto fisico, non ne violi l’integrità (Liane non si vuole concedere tanto per fare e spesso prega). Quell’insicurezza latente e spesso concertante di molte ragazzine di oggi, quel bisogno di un amore che può passare solo attraverso il fatto di essere desiderata.
La profondità di Diamant Brut
Forse proprio questo elemento di purezza di un diamante selvaggio e grezzo, che cerca di farsi ammirare e amare a distanza, dà profondità e significato al film. Un film in cui non ci sono molti uomini tranne quelli disposti a pagare per soddisfare aspettative. Se non Dino (Idir Azougli), coetaneo di Liane che, come lei, è alla ricerca di una riconoscibilità e di un’accettazione che prova a ottenere con le auto sportive.
Liane, alla fine, ricorda un po’ una specie di Cenerentola moderna. Con una madre-matrigna che è un soffio, un’ombra che si appoggia ai suoi sugar-daddy. Una fata cattiva, la direttrice del casting che l’ha notata su Instagram e che le promette fama e fortuna a patto di essere sexy e di impegnarsi in una relazione durante il programma. E mancati principi azzurri che la pagano per ballare di fronte a loro, e che la lasciano scappare, a mezzanotte. Anche Dino, innamorato di lei, pare un dimesso e opaco principe, che per lei comprerebbe una villa in collina in costruzione, bloccata per fallimento. E che, però, si procura per lei, sua eterna principessa, una sorta di carrozza (una Gallardo gialla). E poi ci sono tante scarpette che non sono di cristallo ma scarpe altissime, funamboliche e impietose, fatte di brillantini e paillettes.
Il successo a tutti i costi? Rimane la domanda fondamentale. Forse sì, perché la pazienza è davvero finita. Troppa la fatica. E perché, al di là del cattivo gusto di vestiti e trucco pesanti e di corpi modellati e rifatti, si avverte fragilità. Con un pensiero anche a Dio.
Oggi la società schiaccia tanti sotto il peso di un obbligo sociale alla bellezza e alla giovinezza. Resta però una speranza: il desiderio di preservare una forma di dignità e di purezza, con fede. E Liane insegna.