In questa intervista esclusiva, Vincenzo Bugno, direttore del Bolzano Film Festival, ci guiderà a partire dal 4 aprile attraverso il festival. Con un focus su temi di confine, identità culturale ed innovazione, Bugno condivide le sue visioni per questa 38ª edizione, evidenziando l’importanza di coinvolgere un giovane pubblico e di celebrare opere significative, come quelle di Alba Rohrwacher ed Alexander Kluge.
Il festival si aprirà con Little Trouble Girls di Urška Djukić, un racconto di formazione intimo e complesso. Cosa l’ha resa, a suo avviso, la scelta perfetta per inaugurare questa 38ª edizione?
Si tratta di un film che conosco da vario tempo anche come progetto, che ha avuto una gestazione abbastanza lunga, però è normale. È un’opera prima, e questo mi interessa molto. Fa parte del concorso dove ci sono molte opere prime. Nel concorso ci sono produzioni e coproduzioni dei paesi dell’arco alpino: Austria, Svizzera, Germania, Italia. Mi interessava anche aggiungere la Slovenia, perché è anch’esso un paese dell’arco alpino.
È una coproduzione italo-slovena, si svolge tra la Slovenia ed il Friuli. È una storia di confine, un tema fondamentale del festival a vari livelli: artistico, politico e politico-culturale. Da questo punto di vista, è sicuramente un film perfetto per l’inaugurazione. Può essere definito anche come un film di formazione o un coming of age avanzato. Ha anche una leggerezza che lo rende indicato per aprire un festival.

Il festival è in costante espansione. Ci sono sezioni nuove o trasformazioni particolari rispetto all’edizione precedente che ha voluto mettere in risalto? E quali sono i tre temi principali che rappresentano a suo avviso questa 38ª edizione, rispetto anche a quelle passate?
Ho iniziato qui a Bolzano nel 2023, quindi ho già due edizioni alle spalle. Sono state due edizioni di transizione, che hanno rappresentato l’infanzia di questa nuova fase del festival. Quest’anno non direi che siamo arrivati all’età adulta; anzi, forse non vogliamo neanche arrivarci. Sarebbe più interessante rimanere in questo stato di “teenagers”, perché ci permette di essere più audaci nelle scelte, anche rischiando e commettendo errori. L’identità del festival si sta consolidando e quest’anno è decisamente coerente con le scelte del programma.
A parte il tema del confine, fondamentale da ogni punto di vista, credo sia importante riuscire a fare un festival che sia da una parte assolutamente internazionale e dall’altra locale. Su questi due poli lavoriamo sulla programmazione e sui contenuti del festival. Il concorso è composto da produzioni e coproduzioni, permettendo di inserire film di provenienza internazionale. Abbiamo coproduzioni tedesche-capoverdiane, svizzere-capoverdiane, tedesco-vietnamite, praticamente di tutto. Mi interessa anche molto capire il concetto di nazionalità e qual è l’identità culturale di un film, perché è in costante evoluzione, per cui ci interessa molto parlare di minoranze, di lingue, di minoranze etniche, di migrazione e di emigrazioni. Tra i film italiani in concorso, abbiamo un film d’animazione parlato completamente in sardo, e un altro film italiano parlato in Tagalog, lingua filippina, perché tutti i personaggi sono filippini che vivono in Italia. Questi contenuti sono importanti per capire l’identità del festival.

Quest’anno il focus geografico è sul Taiwan, mentre lo scorso anno sul Brasile. Qual è stata la motivazione dietro questa selezione e quali aspetti del cinema taiwanese vi interessa mettere in luce?
È importante ripercorrere l’evoluzione del focus geografico in questi tre anni. Siamo partiti nel 2023 con un focus sul cinema galiziano contemporaneo, una regione spagnola dove si parlano più lingue. L’anno successivo, abbiamo trattato il Brasile, focalizzandoci sul cinema indigeno-brasiliano, che affronta minoranze, conflitti e lingue minoritarie.
Quest’anno, il Taiwan, perché credo che in questi tempi rappresenta il confine assoluto. È un’isola-stato con una storia complessa, evolutasi da una dittatura nazionalista ad una democrazia liberale che affronta positivamente le minoranze etniche. La popolazione taiwanese si compone di discendenti di varie immigrazioni dalla mainland Cina in diversi decenni, a seguire della guerra civile cinese. Però in Taiwan ci sono anche delle popolazioni indigene che parlano delle lingue che non sono di provenienza cinese, ma di provenienza dell’area del Pacifico. La politica culturale taiwanese e molte opere cinematografiche ruotano attorno al tema dell’identità in continuo movimento, specialmente negli ultimi anni, con una significativa migrazione dai paesi del sud-est asiatico. Taiwan è perfetta per i contenuti dell’identità del festival, soprattutto in un periodo in cui è a rischio, sperando che non diventi la nuova Ucraina a causa di minacce dalla Repubblica Popolare Cinese.
Sul fronte cinematografico, ci sono citazioni del nuovo cinema taiwanese, un fenomeno di successo negli ultimi venti anni. Basti pensare a registi come Hu Xiaoxian, Edward Yang e Tsai Ming-liang, quest’ultimo probabilmente il regista taiwanese più conosciuto. Nel nostro programma ci sono film di Tsai Ming-liang e opere contemporanee che raccontano l’evoluzione del cinema taiwanese. Avremo anche ospiti provenienti dal Taiwan, grazie al co-curatore della rassegna, Stefano Centini, un produttore italo-taiwanese attivo nel panorama delle coproduzioni internazionali.

Passando alla sezione Lili – Little Lights, in un panorama cinematografico in cui il pubblico giovanile è sempre più orientato verso lo streaming, come riuscite a coinvolgere i ragazzi in un festival cinematografico?
Allora, credo che uno dei compiti del festival sia anche sviluppare delle audience strategies di vario tipo e di lavorare sul pubblico potenziale, ma anche ovviamente di cercare di affascinare i diversi strati di pubblico, di attirare questo pubblico, nuovamente verso il cinema come luogo dove vivere con altre persone delle esperienze, delle emozioni, dei momenti di intensità, diciamo artistici. Noi lavoriamo in collaborazione con le scuole di Bolzano e la risposta nei primi due anni è stata molto positiva. I bambini, i ragazzini, le ragazzine hanno reagito molto positivamente a questa offerta. Per cui sì, sicuramente si tratta di offrire dei film di notevole valore artistico, anche per il pubblico super giovane. Questi programmi sono stati effettuati finora in collaborazione con una sezione della Berlinale, che si chiama Generation.
Mi permetto di contraddire se parliamo appunto di pubblico giovanile che si orienta sempre di più verso lo streaming. Da una parte è vero, però credo che il panorama stia un po’ cambiando negli ultimissimi anni, infatti sicuramente al Bolzano Film Festival c’è una notevole crescita di pubblico, ma anche di pubblico molto giovanile. L’altro anno ci ha fatto sicuramente bene vedere che le proiezioni erano frequentate anche da un pubblico molto giovane, per cui sono abbastanza ottimista.

Alba Rohrwacher riceverà durante questa edizione il premio alla carriera. La sua filmografia è segnata da scelte artistiche intense e non convenzionali. Se dovesse associare lo spirito del BFFB ad uno dei suoi film, quale sarebbe e perché?
Presentiamo tre film, uno è Hors-saison , che è un film francese di Stéphane Brizé, che è stato alla Biennale del 2023. Poi presentiamo Mi fanno male i capelli, di Roberta Torre, e Hungry Hearts di Saverio Costanzo. Sono film diversissimi tra di loro, assolutamente. Da una parte, diciamo, un film di ambiente newyorkese, dell’altro un film francese molto intimista, una storia d’amore tra due persone che si ritrovano, e poi Mi fanno male i capelli, che è un film dedicato a Monica Vitti. Credo che tutte queste tre componenti, a livello narrativo, culturale e formale, si possano trovare all’interno del festival. Per cui nella molteplicità di questi tre film possiamo sicuramente trovare anche l’identità del festival.
Quest’anno l’omaggio è dedicato ad Alexander Ernst Kluge, figura iconica del cinema tedesco e tra gli intellettuali più versatili del suo tempo. Cosa significa per il festival rendergli omaggio?
È chiaro che il festival per tradizione si rivolge molto alla cultura d’oltre alpe, in questo caso alla cultura di lingua tedesca. Se parliamo di intellettuali di lingua tedesca contemporanea, è doveroso menzionare Alexander Kluge. È uno dei personaggi fondamentali della storia del cinema tedesco ed un intellettuale di enorme spessore, una delle voci più indipendenti e critiche del panorama intellettuale tedesco. È affascinante che a 94 anni continui a fare cinema, utilizzando l’intelligenza artificiale come sua cinepresa. Mi è sembrato doveroso dedicargli un omaggio con due film realizzati con intelligenza artificiale, mostrati precedentemente al Festival di Rotterdam. Ho parlato varie volte con Kluge, e la sua lucidità intellettuale è invidiabile, anche per le persone più giovani.

Bolzano è una città con un’identità culturale ibrida ed un pubblico curioso. Come si bilancia la necessità di innovazione con quella di mantenere un dialogo con la comunità locale?
Allora, sono veneziano, vivo a Berlino da molti anni, però conoscevo l’Alto Adige abbastanza bene. Poi, quando mi è capitata questa occasione, mi è sembrata un’opportunità affascinante. Io sono il direttore artistico di un festival di cinema, però credo sia importante quando si arriva, cominciare a entrare in contatto con tutto il territorio, questo vuol dire con tutte le istituzioni culturali della città, che sono numerose.
Se pensiamo al numero di abitanti di Bolzano, che si aggira intorno ai 100.000 abitanti, la vita culturale bolzanina e l’offerta culturale è molto significativa. Sicuramente non si trova spesso, anche in città di maggiori dimensioni, per cui il dialogo con il territorio, con le istituzioni è fondamentale e ovviamente anche il dialogo con i possibili strati di pubblico che si possono coinvolgere. La reputo una fortuna, una grandissima chance culturale. Bolzano è bilingue, dunque è fondamentale cercare di coinvolgere i cittadini con delle linguistiche differenti. Per questo, lavoriamo molto sui sottotitoli dei film cercando di non sottovalutare mai il pubblico.
Credo che l’offerta del festival sia stimolante e si indirizzi ai cittadini delle varie comunità linguistiche, anche ai nuovi altoatesini. Almeno per quanto riguarda Bolzano: il capoluogo non è fatto solamente di cittadini di lingua tedesca o di lingua italiana, ma anche di persone provenienti da altri paesi, per cui ci troviamo in un contesto assolutamente più che bilingue, sempre più multietnico, e con questo bisogna fare i conti.