Dopo il prestigioso passaggio, in concorso, all’81ª Mostra del Cinema di Venezia, Queer sbarca nelle sale italiane il 17 aprile, distribuito da Lucky Red.
La nuova fatica firmata da Luca Guadagnino prende ispirazione dall’omonimo e chiacchierato romanzo di William S. Burroughs e vede protagonista una coppia di attori straordinari. L’ex 007 Daniel Craig e l’astro nascente Drew Starkey si mettono a nudo, letteralmente, anima e corpo, per dare vita a un’opera complessa, piena di sfumature e di strati di lettura, potente e ambiziosa.
Queer è un film di Fremantle, prodotto da The Apartment e da Fremantle North America, in collaborazione con Cinecittà S.p.A e Frame by Frame. Valerio Mieli e lo stesso Guadagnino ne sono i produttori.
Queer | La trama
William Lee (Craig) passa le sue giornate tra il locale Ship Ahoy, dove tenta di abbordare giovani sexy e disponibili, e la camera d’albergo. Completo di lino chiaro, panama sulla testa, sigaretta in una mano e drink nell’altra, l’uomo sembra insoddisfatto e sofferente, almeno sino a quando il suo sguardo non si posa sull’affascinante Eugene Allerton (Starkey). Impegnato in una conversazione con una donna, il ragazzo ricambia le attenzioni di Lee ma ci mette un po’ a lasciarsi andare.
Tra i due nasce un’amicizia che pian piano diventa altro. La curiosità si trasforma in attrazione, anche se non è mai troppo chiaro quanto Eugene ne provi nei confronti dell’uomo che lo ha abbordato e per cui è ormai un’ossessione. Dal Messico alla giungla, Lee ed Eugene partono in un viaggio alla ricerca di qualcosa. O forse semplicemente di loro stessi.
Voglio smettere.

Guadagnino l’ambizioso
Sviluppato in tre capitoli più un epilogo, Queer dimostra, in maniera inequivocabile ed efficace, che tipo di regista/autore sia Luca Guadagnino. Dotato di una sensibilità particolare, così come di un’ambizione trascinante, il cineasta adatta, per il grande schermo, forse uno dei romanzi più difficili di tutti i tempi. E lo fa a modo suo: senza paura, escamotage o ghirigori.

Il suo sguardo è sempre sin troppo diretto, ma è attraverso quello che lo spettatore osserva la storia e, inevitabilmente, ne resta invischiato. Discorso analogo vale per il fascino espresso dai protagonisti, magnetici e ammalianti oltre ogni dire. Se Craig dà la prova della vita, in una versione alquanto inedita e potente, Starkey buca lo schermo. Per chi se lo domandasse, lo abbiamo già visto (e odiato) nella serie Netflix Outer Banks (2020), giunta alla quarta stagione.
Tante interpretazioni, ma poca chiarezza
Tra Call me by your name (2017) e Suspiria (2018), Queer mescola un po’ di quello e un po’ dell’altro, ma gli manca una vera e propria amalgama sino alla fine. I primi due capitoli, ambientati in un Messico torrido e accecante, appaiono i più riusciti, essendo canonici nel racconto e nella resa. La storia d’amore al centro della pellicola si rivela un pretesto per poi andare a sondare la mente umana e la sua radicata complessità. Accettazione e solitudine, sesso e telepatia, dipendenza e attrazione, rum e cola. Il doppio ricorre e caratterizza la narrazione, tanto che viene da pensare che il protagonista ne abbia davvero uno.
Cos’hai da perdere? L’indipendenza.

Le interpretazioni, al termine degli oltre 130 minuti, possono essere quasi infinite e cambiare nel corso di una riflessione condivisa. Complici sicuramente un terzo capitolo che sa troppo di David Lynch e di un epilogo dai salti temporali indecifrabili. Però cattura l’attenzione la cura ai dettagli, impressionante e suggestiva, dai giochi di luce e colori alle simbologie disseminate qua e là.
*Sono Sabrina, se volete leggere altri miei articoli cliccate qui.
Editing Giulia Radice.