In uno stereotipato sud Italia, ancora piegato dall’onore e dalla figura autoritaria dell’uomo-padrone, Assunta [Francesca Mitolo], una donna comune, si appresta a vivere una comune giornata.
Il mercato dove quotidianamente si reca, la aspetta per dare la spinta d’avvio alla sua routine quotidiana.
Ma questa volta, tra le bancarelle di frutta e verdura, la donna incontra un uomo, Vincenzo [lo stesso Giancarlo Scrofani, alias Janka, promotore e cuore pulsante di tutto il progetto filmico].
L’uomo [che vorrebbe vantare dal suo una “U” maiuscola] invita la sconosciuta a bere qualcosa a casa sua, covando intenzioni tutt’altro che positive. Una volta condotta la preda dentro la sua tana, i veri piani dell’uomo si fanno palesi: Vincenzo si dimostra immediatamente violento e deciso, rapisce Assunta e la incatena.
Come una animale in gabbia, la donna inizia, pian piano, ad assuefarsi alla sua prigionia, fino ad innamorarsi, assecondando il classico della Sindrome di Stoccolma, del suo carnefice.
Ma, si sa, in amor vince chi fugge… e Vincenzo, una volta saggiata e riassaggiata la sua preda, inizia a non provar più il senso di tutta la vicenda, fino a decidere di scomparire, dopo aver liberato la donna.
Assunta è finalmente libera di ritornare alla sua vita, ai suoi affetti, alla sua quotidianità, se non fosse per un piccolo ma importantissimo dettaglio: il rapitore ne ha ormai compromesso l’onore e, di conseguenza, dovrà “riparare” al danno procurato.
Come un segugio Assunta si dirige a Milano, dove si dice che Vincenzo sia fuggito, per cercare vendetta, chiedendo il supporto di suo cugino Cochette [Carmelo Magione], di professione drag queen.
Se si dovesse etichettare con un genere un progetto come il Gun’s Girl di Janka si dovrebbe di certo scavare nei terreni del comico e del grottesco, ma il reperimento di una precisa tag sarebbe comunque sterile.
L’idea, a detta dello stesso regista, prende corpo dalla visione de La ragazza con la pistola di Mario Monicelli, la commedia a tinte drama con Carlo Giuffré che fornì a Monica Vitti un personaggio sui generis per sottolineare il proprio talento interpretativo.
Proprio ispirato dal personaggio della donna [con la pistola], Janka decide di rimettere in circolo il viaggio di mutazione raccontato nel 1968, tentando di mettere in atto un meccanismo di attualizzazione.
Una strada per certi versi facilitata da ormai consueti tampinamenti grindhouse e 70ies alla “Tarantino docet”, per altri davvero rischiosa.
Le cose che non funzionano, però, sono quelle che saltano immediatamente all’occhio: a cominciare dalle interpretazioni e dalla messa in scena troppo immatura e sopra le righe, fino alla degenerazione della storia [che mantiene saldi alcuni punti dell’originale] in un ambito kitsch che più che il sapore di una cosa “a sé” rimesta quello inconfondibile del cattivo gusto, come se il progetto che, idealmente avrebbe potuto offrire al regista un interessante carta da giocare, fosse stato mal tradotto nella pratica.