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‘OPUS – Venera la tua stella’: un delirio pop tra idolatria e spettacolo

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La più grande star del pop, Alfred Moretti, torna dopo 30 anni di silenzio, e l’attesa è già ebbra di un’enfasi seducente, mentre il gruppo di giornalisti, cui partecipa Ariel, varca i recinti della remota proprietà della celebrità, il misterioso incantatore Moretti, interpretato da un possente John Malkovich.

In occasione del Bifest, abbiamo intervistato Mark Anthony Green, regista di Opus.

La prima cosa che vorrei chiederti, considerando il tuo lungo percorso come editorialista per GQ, durante il quale hai avuto l’opportunità di intervistare alcune tra le figure più influenti del mondo della musica e dello spettacolo, è: cosa ti ha spinto a esplorare in profondità il complesso fenomeno della celebrità? È stato un evento specifico, o piuttosto una serie di riflessioni maturate nel tempo a farti dire: ecco, questo è il tema perfetto per il mio film?

Il film esplora in modo profondo il tema del tribalismo e dell’idolatria; raccontarlo attraverso le eccentricità di una pop star mi sembrava il modo più coinvolgente per affrontare questi temi. L’uso dell’ironia, insieme a elementi estetici, quali danze, rituali e costumi, rende il messaggio più facile da comprendere e anche più piacevole da fruire.

Il mio obiettivo è sempre stato quello di creare una connessione autentica con gli spettatori, offrendo loro un’esperienza che non solo stimolasse la riflessione, ma che riuscisse anche a coinvolgerli emotivamente con un divertito sarcasmo.

La cultura pop, con la sua capacità di attrarre e unire, era il vettore perfetto; avrebbe reso la visione un’esperienza unica.

Il film sembra prendere la forma di un esorcismo, un rito tanto ironico quanto concreto, volto a purificare un mondo sempre più sopraffatto dal declino che esso stesso ha generato. Potrebbe essere interpretato come un ultimo atto di resistenza spirituale, un tentativo di riportare equilibrio prima che il caos dissolva definitivamente l’ordine, lasciando spazio a un’irreversibile frammentazione dell’essere?

Non è nel mio stile vincolare la visione del film a un’unica interpretazione, né tantomeno dichiarare “voglio che tu prenda questo dal mio lavoro”. Se, dopo averlo visto, giungessi a un’interpretazione totalmente diversa, la sosterrei pienamente.

Credo che questa fase del processo rappresenti quasi una mia responsabilità: ascoltare con la stessa attenzione che ricevo, di aprirmi a una pluralità di voci.

Se questa è la tua interpretazione, la trovo davvero molto bella.

Le folle sembrano oggi essere diventate protagoniste indiscusse della nostra società. Come interpreti la visione secondo cui il popolo non agisce mai veramente in maniera spontanea, ma rappresenta piuttosto una “riserva” da cui si può attingere sia il meglio che il peggio, a seconda delle forze che ne influenzano l’andamento? E quale impatto ha questo cambiamento nel modo in cui l’individuo e la collettività si relazionano nell’era contemporanea?

Ritengo che la poca spontaneità delle nostre azioni meriti una riflessione più approfondita.

La vita è davvero difficile, e sono consapevole di quanto possa essere complesso affrontarla. Ognuno di noi è influenzato dagli altri e, in qualche misura, si lascia plasmare da ciò che lo circonda, che non è necessariamente un male.

Con Opus, il mio obiettivo è innanzitutto condividere le nostre esperienze personali. Abbiamo visto John Malkovich cantare queste canzoni, abbiamo vissuto le stesse emozioni, provato le stesse paure, nello stesso momento.

Il mio obiettivo successivo è che, attraverso il confronto, si possa iniziare a dialogare tra noi. Tu possiedi una teoria sul film, un’altra persona ne possiede un’altra, e mi auguro che possiamo confrontarci su queste visioni, arricchendoci reciprocamente.

 

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