Premiato nei festival di tutto il mondo Puan – Il Professore di María Alché e Benjamín Naishtat conferma l’ottimo stato di salute del cinema argentino e ci dice che non è mai troppo tardi per dare senso alla vita.
Coprodotto da Kino Produzioni Puan – il Professore arriva nelle sale il 27 marzo distribuito da Exit Media.
Del film ne abbiamo parlato con i registi María Alché e Benjamín Naishtat.

María Alché e Benjamín Naishtat e il loro Puan – Il Professore
Puan – Il professore è un invito all’azione che riguarda tutti. Come in una favola morale scegliete una vicenda esemplare perché racconta come riesce a farlo un professore di filosofia che, come molti intellettuali, rischia di ragionare su idee sganciate dalla realtà.
Di sicuro c’è un retroterra di critica, o meglio, quasi di supplica, nel film, perché l’accademia esca dalla sua bolla e riprenda il compito fondamentale di mettere in discussione la strada e trasformare la realtà. Qualcosa di questo attraversa Marcelo, che insegna filosofia politica da anni, ma che mette davvero in pratica le sue idee quando mette il corpo a difendere ciò in cui crede, ovvero l’università pubblica.
Il professore è prigioniero di questa scissione. Nel film lo vediamo a suo agio nel tenere le lezioni universitarie e invece maldestro e poco pragmatico nella vita privata, quando si tratta di passare all’azione mettendo in pratica le idee.
Abbiamo puntato a costruire l’effetto comico attraverso un personaggio che è a suo agio e funzionale solo quando insegna filosofia ma che allo stesso tempo è completamente inutile nel mondo delle cose pratiche. È un padre maldestro, ha urgenze economiche, non sa come gestire i cambiamenti nella cultura e nel rispetto del genere che hanno avuto luogo nella facoltà di Puan negli ultimi anni.

Al contrario di chi lo circonda, penso alla moglie sindacalista, ma anche al collega che gli fa concorrenza, che riescono a essere anche pragmatici. Il tono del film è costruito sul contrasto di personalità tipico della commedia.
Proprio così. Sia la moglie che il suo rivale all’università sono esseri funzionali, ben inseriti nel ritmo e negli usi correnti. Marcelo, al contrario, è un modernista impenitente, che si rassegna all’accelerazione, all’iper-presentialità. Marcelo fa poche cose, ha obiettivi umili, non pretende di mettersi in mostra. È la testimonianza di un mondo nobile che sta morendo.

Alcune scene
Alcune scene che vedono Marcelo in difficoltà potrebbero essere addirittura esilaranti, ma il film riesce a rimanere sempre molto realistico. Penso alla sequenza in cui il protagonista dopo essersi macchiato i calzoni con la cacca del bambino deve gestire gli appuntamenti della giornata con i vestiti che emanano cattivo odore.
La comicità è sempre ridere a spese di qualcuno e Marcelo è un personaggio scritto per essere amato, ma anche per essere umiliato, e per trovare in quell’umiliazione una strana ilarità. I suoi incidenti lo umanizzano, lo avvicinano a noi, alla risoluta imperfezione della vita, all’impossibilità di fare tutto ciò che deve essere fatto per funzionare in questo mondo, e noi cerchiamo di ridere di tutto ciò.
La mancanza di enfasi con cui ritrai la morte del mentore di Marcelo è la stessa che accompagna le avventure del professore. Gli umori dei personaggi non sono prestabiliti, ma sono la naturale conseguenza del tragicomico che appartiene alla natura degli eventi.
Non c’è nessuna intenzione di tragedia nella morte di Caselli: è qualcosa di naturale. Non c’è solennità nel nostro film, abbiamo voluto evitarla perché stavamo parlando di argomenti molto seri, come la morte, la memoria, la crisi esistenziale di un’intera nazione. Tutto ciò avrebbe potuto essere triste, e lo abbiamo trasformato in commedia perché crediamo che per sopravvivere sia necessario ridere.

Dal punto di vista narrativo il film racconta la trasformazione del personaggio che dal pensiero passa all’azione. A raccontarlo bene è lo scarto tra due momenti: quello iniziale in cui l’uomo non riesce a cantare la canzone e quello della scena finale in cui l’esecuzione canora testimonia l’avvenuto cambiamento.
L’arco narrativo di Marcelo è dato dalla sua capacità di permettersi di sentire tutto ciò che il suo corpo sensibile è capace di sentire. Dopo aver messo il suo corpo nella lotta, ed essere stato arrestato dalla polizia, Marcelo sembra trovare, almeno per il momento, il suo posto nel mondo. Si conosce un po’ meglio, e finalmente si permette di attraversare il lutto per il suo mentore. E così riesce a cantare, e probabilmente, dopo aver cantato, riesce a piangere.

Il film di María Alché e Benjamín Naishtat
A differenza di film come Trenquen Lenquen e I Delinquenti in cui la tendenza anti narrativa era giustificata dalla progressiva perdita di identità dei protagonisti il tuo film procede in maniera opposta. In Puan – Il professore la progressione narrativa diventa sempre più coerente mano a mano che Marcelo ritrova se stesso. È così?
Ci sono molte false antinomie nell’apprezzamento del cinema. Una di queste sostiene la possibilità di un cinema narrativo e anti-narrativo. Tutto è narrativo, perché tutto narra. Poi certo ogni esistenza è diversa dall’altra e questo nel cinema implica procedure diverse. Marcelo Pena non è un dilettante, non può permettersi lunghe deliberazioni esistenziali, queste accadono solo quando sente che la polizia lo sta per picchiare. Ci sono persone che vivono così, in particolare in questo tempo, in particolare in Argentina. Puan è forse il riflesso di una coordinata storica, ma non una posizione estetica verso questa o quella tendenza. Abbiamo narrato altre esistenze in altri modi prima, e domani sarà anche diverso, perché l’essenzialismo nel cinema sarebbe profondamente reazionario. Che cento fiori sboccino. Questo è il nostro augurio.
Il fatto di muovere il meno possibile la mdp riduce al minimo la manipolazione delle immagini. Questa scelta era anche un modo per invocare una chiarezza e un’onesta che invece sembra mancare a chi ha la responsabilità di governare il paese?
Questa è una domanda strana perché in Puan, la nostra direttrice della fotografia Hélène Louvart ha mosso molto la macchina da presa, quasi sempre per servire gli spostamenti di Marcelo, che deve correre da un posto all’altro. D’altra parte, prendiamo per valida la parabola proposta nella domanda, perché è vero, assolutamente vero, che gli attuali leader del governo argentino mancano di chiarezza e onestà. Al contrario, rubano, in truffe di criptovaluta molto grossolane, tra molte attività commerciali, e nascondono le loro oscure intenzioni, che sono quelle di servire l’agenda della plutocrazia nordamericana e dell’internazionale fascista che sta avanzando sulle nostre vite.

Le scelte fotografiche di Helene Louvart sono indirizzate a un’essenzialità che scarnifica l’immagine togliendole qualsiasi segno di artificialità. Anche in questo caso mi pare che avete ragionato in senso politico, nella volontà di far emergere la realtà così com’è, senza infingimenti. È così?
Ebbene, la domanda è paradossale, perché sarebbe estremamente ambizioso e pretenzioso puntare a mostrare la realtà così com’è. Chi può dire cos’è la realtà? Un politico argentino del XX secolo ha coniato una frase molto ingannevole, secondo cui l’unica verità è la realtà, e tuttavia c’è una volontà totalizzante in questa pretesa di onestà. La fotografia nel film è essenzialmente un riflesso delle sue condizioni di produzione, del suo budget limitato e del suo tempo di lavorazione. Il genio di Helene Louvart è quello di adattarsi a queste limitazioni e trasformarle in elementi positivi. È probabilmente la migliore direttrice della fotografia del mondo, in parte per la sua concezione politica del cinema, e in parte per i progetti che realizza e per come riesce a realizzarli.

Mi pare che anche il lavoro di sottrazione operato da Marcelo Subiotto vada in questa direzione?
Marcelo Subiotto è un attore estremamente attento, lavora per sottrazione, è un artista del minimo. E tuttavia la sua interpretazione è gigantesca perché complessa, le scelte di Marcelo sono magiche, perché riesce a riflettere nei gesti più piccoli l’infinita complessità della trama vitale. Questo è il suo talento, e non sappiamo come ci riesca, ma è perché lo ammiriamo così tanto che abbiamo scritto questo film per lui, solo per lui.
Volevo chiedervi qualcosa sui film che hanno ispirato il vostro cinema.
Per Puan – Il professore diremmo Maren Ade, Alexander Payne, Alejandro Doria, Blake Edwards.