La nuova serie di Seth Rogen, attraverso l’infinitezza dell’inquadratura e la commedia degli equivoci, sottolinea il malfunzionamento dell’industria hollywoodiana: produttori invadenti e il cinema capitalista
È disponibile su Apple TV+ la nuova serie The Studio creata e interpretata da Seth Rogen (Cattivi vicini, The Interview). Prodotta da Perfectly Pleasant Productions, Point Grey Pictures, Lionsgate Television, la serie vede alla regia lo stesso Rogen assieme a Evan Goldberg. Nel cast oltre all’istrionico attore comico: Bryan Cranston, Catherine O’Hara, Ike Barinholtz, e Kathryn Hahn. The Studio si caratterizza per la presenza di varie guest stars; nei primi due episodi sono protagonisti celebrità del calibro di Martin Scorsese, Charlize Theron e Greta Lee.
Il TRAILER – The Studio
Sinossi – The Studio
Matt Remick (Seth Rogen) è un produttore in cerca della promozione della vita e della sua carriera. Quando viene nominato neo capo dei Continental Studio, Remick si trova a dover salvare una società piena di debiti mentre cerca di preservare il proprio spirito indipendente.
Il dietro le quinte – The Studio
La serie di Rogen,The Studio, abbastanza chiaramente si muove tra arte e commercio, satira velenosa su Hollywood e mockumentary. Lo show di Apple vira subito sulla scena concreta, ossia sul set, in cui il neo capo dello studio, interpretato da Rogen, ha il ruolo di buffo disturbatore e grottesco amministratore di una major in caduta libera. The Studio è l’esperimento riuscito di Aaron Sorkin . Pochi si ricordano del fallimento seriale con la compianta star di FriendsMatthew Perry; Studio 60 on the Sunset Strip si direzionava sullo stesso schema con l’iconico Chandler pronto a salvare le redini del Saturday Night Live. The Studio invece non sbaglia l’inizio decidendo per una critica ad Hollywood come industria alla deriva piena di satira e guest stars, componenti che aiutano lo show ad identificarsi e ad essere immediatamente riconoscibile nei confronti dello spettatore.
Perché nella serie Apple ci sono due gradi tematici abbastanza evidenti: la difficoltà a far passare un progetto indipendente attraverso la major e l’intrufolarsi da parte dei produttori nella realizzazione dei film. L’alterego di Roger, Matt Remick, vuole dare prova al presidente dei Continental Studio ( un sempre bravo Bryan Cranston) di poter far risorgere dalle ceneri la major e nel contempo rendere mainstream il cinema d’autore.
Così il percorso di Remick inciampa su se stesso, prima opzionando una sceneggiatura di Martin Scorsese per poi distruggerla, e dopo intromettendosi sul set del secondo episodio per sabotare involontariamente le riprese; Rogen fa quello che sa fare meglio attingendo al proprio repertorio demenziale e da slapstick comedy per rendere macchiettistico la figura del produttore calato dall’alto: laureati senza arte e ne parte con poca visione cinematografica nell’unico intento di mettersi in mostra.
Il set è un pianosequenza
Una caratteristica che salta subito in primo piano in The Studio , nel suo comporre l’elemento satirico del dietro le quinte di Hollywood, tra un set e un litigio con Scorsese, è l’ampio uso del pianosequenza. Tutti gli episodi sono girati interamente senza interruzioni, la regista del secondo, disturbata dal capo dello studios, applica in modo ossessivo il pianosequenza con tanto di steadycam, e lo stesso Rogen cita il film di InnarituBirdman per consigliare la regista nell’uso della ripresa a schiaffo per evitare l’interruzione attraverso il montaggio.
In The Studio si verifica ciò che Pasolini chiamava, nel suo saggio Empirismo Eretico, la lingua scritta della realtà come riproduzione del presente. E infatti, a vedere bene, lo show di Apple usa l’inquadratura infinita per un’operazione interessante a metà tra documentario e finzione, in una satira che vive della realtà delle situazioni e delle dinamiche goffe del suo interprete, e che per questo non possono essere interrotte da un elemento plastico come il montaggio.
Tra The Office e Boris
The Studio si inserisce nel meta-cinema sul mondo dell’intrattenimento affiancando il discorso sull’industria che nessun prodotto ha mai affrontato prima. Se da una parte la serie sviluppa la sede dello studios con tutte quelle dinamiche e rivalità tra colleghi proprie di The Office, la critica sul sistema industriale americano che The Studio fa l’avvicina alla nostra Boris. Ma lo show di Apple, col volto goffo, e sempre pronto al disastro comico, di Seth Rogen, mette nel calderone della satira una critica generale al sistema. In tale panoramica infelice hollywoodiana, la serie sottolinea la tendenza dell’industria americana a rifiutare il cinema indipendente (da parte delle major) e di sfruttarlo solo per meri fini economici.
Pone nel resto anche il tema inclusivo come prodotto da cui guadagnare e solo apparentemente come intenzione progressista di difesa delle varie comunità. Il personaggio di Bryan Craston, il proprietario dello studios, è palesemente l’emblema della finzione e dell’ambiguità dell’industria, che preferisce bruciare un grande autore come Scorsese invece di scommettere milioni di dollari in un’idea originale che in teoria dovrebbe muovere il cinema. La critica si fa feroce quando i personaggi impersonificano la realtà, basti pensare a Catherine O’Hara ispirata ad Amy Pascal, presidente della Columbia Pictures declassata nel 2015 a ruolo di semplice produttrice esecutiva.
The Studio si dimostra vincente fin dai suoi primi episodi per estetica, tono e per le tante critiche all’industria del cinema affrontate con ironia e irrefrenabile comicità. Tutto nello show di Apple sembra convincere, iscrivendosi sin dal suo esordio come uno dei migliori prodotti del 2025.