Nella natura immensa del sud-est africano, tra zebre ed elefanti e gazzelle, la regista Cindy Lee racconta la storia di The last ranger. Nel 2024, mentre il fenomeno del bracconaggio continua a uccidere animali e uomini, la visione del film e delle conseguenze concrete di tale pratica, pone l’attenzione sul problema attuale.
Dopo la nomina agli Academy Awards come Miglior Cortometraggio, The last ranger, diretto da Cindy Lee e prodotto da Darwin Shaw, Will Hawkes, Anele Mdoda, Adam Thal, è stato presentato nella sezione Concorso Cortometraggi Africani al 34° Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina (FESCAAAL) il 25 marzo, presso la Cineteca Milano Arlecchino.
Scopri qui il programma del festival.
Tra bianco e nero, nero e bianco
Uccidere è male, farlo per soldi ancora di più. Ma il confine tra questo e il bene è sfumato. In mezzo, una vasta gamma di grigi annebbia e confonde la logica tendenza dell’uomo a distinguere i “buoni” da una parte e i “cattivi” dall’altra. Così, The last ranger affoga nel grigio delle tinte di cui si colorano le persone, i pensieri di queste e le azioni che portano, spesso, a risultati insperati.
Sul finale, bianco e nero si mescolano. Quello che era “bene” diviene per un attimo “male”, e viceversa, salvo poi fare ritorno a una sorta di equilibrio, nel quale però i due colori ritornano sporcati l’uno dell’altro.
La vita da ranger: una lotta continua per la sopravvivenza
La piccola Litha (Liyabona Mroqoza) vive insieme al padre e alla nonna nelle terre selvagge della popolazione Xhosa, in Sudafrica. Sterminati i paesaggi di verde e del giallo del sole che ne irradia le fronde e i cespugli secchi, tra i quali si rincorrono gli animali. Anche Litha ne possiede alcuni, ma è il padre a fabbricarli per lei, intagliati deliziosamente nel legno e usati dalla bimba come giocattoli per crearne storie dietro una tenda. Quando Litha incontra la ranger Khuselwa (Avumile Qongqo), una donna coraggiosa e ligia al dovere, per lei è un po’ come vivere una di quelle sue storie. Solo che gli animali sono più grossi e sembrano quasi parlarle. L’amicizia, il fascino e la bellezza di un esemplare di rinoceronte, battezzata Thandi la “gigante gentile”, attirano la giovane Litha, che con una videocamera prestatale da Khuselwa inizia a filmare tutto ciò che i suoi occhi vispi e indagatori riescono a scorgere.
Presto, però, Litha si renderà conto che la vita di un ranger non è semplice, né ricca di bellezza e meraviglia quanto avrebbe sperato. O almeno, non è solo questo. È anche una lotta continua per la sopravvivenza. L’innocenza di bambina le scivolerà di dosso e, una volta cresciuta abbastanza, con la mente e con il corpo, Litha indosserà le stesse vesti dell’ex “ultimo ranger”, che con tutta se stessa aveva protetto la propria “famiglia” dall’ingordigia e dall’avidità del denaro.

La ranger Khusalwa in un fotogramma del cortometraggio
Uomini che uccidono animali o animali che uccidono uomini
“Wild is good, it means you’re big”
In un mondo di selvaggi, gli animali non lo sono. Anche l’uomo con le sue armi, le sue idee e i suoi guadagni è alla pari di un giaguaro, di un serpente o di un rinoceronte. Ma il lato perverso dell’uomo, che lo allontana dal semplice e puro istinto animale alla sopravvivenza, è ciò che contraddistingue il modo in cui caccia. La brutalità è voluta, si cerca il sangue nell’illegalità di certe azioni che ad oggi, come denuncia la storia di The last ranger e di molte altre simili a lei, uccidono 10 000 rinoceronti e 1000 ranger.
“Wild is good“, dice Khuselwa, non è per forza male. Ma c’è grandezza nel selvaggio come c’è violenza e stupidità. Anche nella semplicità di The last ranger c’è la stessa grandezza, che in poche scene ben costruite, attente a un racconto lineare cadenzato dalle splendide musiche di John Powell, non esagera a esibirsi fuori dai limiti di una storia vera, genuina, toccante.
Le immagini di repertorio, i filmati e la testimonianza finale di una giovane ranger che dichiara la propria lealtà alla causa, si ergono a statue di pietra impenetrabile, durissime, protettrici di tutto ciò che la loro lunga ombra sfiora.