A differenza dei classici crime sul serial killer, la serie di Paramount+ ci conduce dentro la psicologia criminale divisa tra il proprio lato oscuro e l’amore per una figlia
Su Paramount+Happy Face creata da Jennifer Cacicio(Your Honor) e basata su un vero fatto di cronaca tratto dal podcast di Melissa Moore e dalla sua autobiografia Shattered Silence. La serie è prodotta da CBS Studios e King Size Productions, ed è interpretata da Dennis Quaid e da Annaleigh Ashford.
IL TRAILER – Happy Face
Sinossi – Happy Face
Melissa(Annaleigh Ashford) , truccatrice per varie trasmissioni televisive, ha interrotto ogni rapporto col padre Keith(Dennis Quaid) in tenera età. L’uomo è uno spietato serial killer, condannato per vari omicidi e femminicidi, che non perde però la speranza di poter ricucire il rapporto con sua figlia. I due si rincontrano forzatamente a causa di una vittima del padre e a cui solo Keith può dare un volto e un nome.
La finzione dell’odio, la realtà dell’amore – Happy Face
La serie Paramount+, Happy Face, si distingue dal classico filone della caccia o indagine sul serial killer per un tratto sentimentale. La domanda che si pone Happy Face fin dal suo concepimento è la seguente: cosa succede alla figlia di un sanguinario assassino e quali sono le conseguenze sulla sua vita adulta? La serie, basata su una storia vera raccontata da Melissa Moore nel podcast omonimo, cerca di inquadrare luci ed ombre della psicologia umana.
Happy Face, nei suoi primi episodi, è divisa in un procedurale classico con la figlia del serial killer che cerca di dare un volto all’ennesima vittima del pluriomicida, e nella componente più emotiva che mira a scandagliare il legame indissolubile tra padre e figlia. Perché mentre Keith racconta i dettagli dei suoi omicidi cercando di dare una colpa morale a Melissa, l’interpretazione di Dennis Quaid è diretta a rendere umano il cattivo senza però discolpare l’uomo dalla bestia.
Tra procedurale e conti col passato
La serie riesce bene, nell’intervista che avviene nel carcere tra padre e figlia, a restituirci l’indistruttibile legame famigliare in un discorso psicologico che riguarda più Melissa che il padre. Perché la truccatrice improvvisatasi detective, mentre scandaglia la ricerca di verità per dare un nome all’ultima donna uccisa da Keith, compie un viaggio psicologico nella sua mente, chiedendosi se parte della mostruosità paterna non la riguardi in termini di colpe.
Di certo la serialità non è del tutto nuova a mettere in scena storie tra i carnefici e i loro figli, si pensi a Prodigal Son della Fox. Qui il discorso sembra però puntare più sui dubbi interiori di Melissa rispetto ai travagli dei crimini del padre. Perché se da una parte la protagonista cerca di allontanare il mostro, dall’altra non riesce a farne a meno, e man mano che gli episodi si susseguono, emerge la solidità del legame tra padre e figlia.
La verità e l’inganno
Happy Face , fin da quando Melissa mette piede nella stanza del carcere in cui è rinchiuso il padre, vive costantemente del dubbio della protagonista. Keith ha chiamato il programma televisivo per cui lavora la figlia offrendosi di rivelare il nome della vittima solo a Melissa. Un escamotage abbastanza macabro e terrificante per rivedere una figlia assente da anni e decisa a lasciarsi il passato alle spalle fino a quel momento. Ma mentre l’intervista procede in questo montaggio del ricordo tra resoconto degli omicidi e viale dei bei tempi andati, Melissa è costretta ad aprire un capitolo doloroso della sua vita e a chiedersi continuamente se questa donna esista o sia solo una menzogna del padre per rivederla.
La truccatrice quindi intraprende un viaggio psicologico dell’eroina che sostituisce l’immedesimazione nella madre in quella del padre. È questo discorso tra verità e inganno a spingere la protagonista, non solo a venire a capo della menzogna o della realtà, ma anche a provare a intravedere qualcosa di buono all’interno del padre assassino. In questo la serie risulta vincente e a suo modo innovativa rispetto ad altri crime, la ricerca di verità viene condotta su una ricerca d’amore che Melissa credeva di aver perduto verso il padre.
Il true crime è ancora vivo
Happy Face presuppone una costatazione quasi banale ma del tutto evidente, ossi come il crime e il true crime siano dei generi tra i più abusati nell’universo seriale odierno. E la serie Paramount+ su questo versante, va detto, non fa nulla di eccezionale. Se riesce bene a sviluppare i complessi rapporti tra i personaggi all’interno del family drama, la narrazione è però abbastanza regolare : un procedurale con i suoi casi del giorno incentrato nel duello emotivo tra padre e figlia. Happy Face si sostanzia anche nella propria convenzionalità registica con primi piani e colorazioni scure per esprimere il bivio morale dei protagonisti.
Quindi come struttura il crime segue uno schema abbastanza ridondante e ripetitivo. Ciò che invece risulta convincente è il percorso psicologico di Melissa che pone una riflessione attorno al ruolo dei parenti dei serial killer. Fino a che punto un assassino è solo tale e un omicida è anche un padre? Ed è qui che la serie Paramount+ cerca di costruire delle complicate risposte.
Happy Face racconta un true crime diverso grazie alla dimensione psicologica dei suoi protagonisti. Seppur la narrazione in molti punti appare fin troppo circolare, la serie indaga bene le perplessità e i sentimenti verso i legami famigliari. Un buon racconto di finzione e realtà che mette in luce vittime da sempre un po’ in ombra: i figli degli assassini.