Alcune persone guardano attraverso delle finestre, prese dai loro pensieri. La locandina di Another German Tank Story (Janniss Alexander Kiefer, 2024) riassume emblematicamente lo spirito dei personaggi che popolano il racconto. Il film, diretto da un giovane regista e dai tratti peculiari, ha aperto la quinta edizione del Festival del Cinema Tedesco a Roma.
Una serie (americana) sulla Seconda Guerra Mondiale
Another German Tank Story ha per protagonista un villaggio, Wiesenwalde, in cui tutto sembra uguale a sé stesso e, soprattutto, al passato. Susanne (Meike Roste), la sindaca, è alla costante ricerca di toppe per risolvere i piccoli problemi del luogo che ora si trova a dover affrontare una sfida più grande di lui. A Wiesenwalde, infatti, sono iniziate le riprese per una serie statunitense sulla Seconda Guerra Mondiale. Cosa succede quando l’occhio della macchina da presa americana filtra, ancora una volta, l’immagine della Germania e quella degli abitanti del piccolo villaggio?

L’identità di Wiesenwalde
Sin dalle prime inquadrature, Another German Tank Story sembra girato tra le strade di un villaggio in miniatura. Al loro risveglio, gli abitanti compiono azioni routinarie divenute abitudini meccaniche, in spazi che ormai li hanno inglobati quasi fossero oggetti d’arredo. Persone e stanze, come accurati diorami, paiono far parte di una medesima rappresentazione, in questo caso piuttosto grigia. A Wiesenwalde, infatti, da tempo manca la corrente e l’unica luce che illumina parzialmente gli interni è quella naturale che, però, non è sufficiente vista la costante coltre di nuvole che la filtra. Il villaggio ha l’apparenza di una heimat un tempo fiabesca ma vittima di un sortilegio da molto tempo.
Tutto è in ordine e pulito, ma Wiesenwalde è stantio, tanto che solo alcuni dettagli (ad esempio uno smartphone) consentono di collocare il film nel presente. L’identità del luogo è definita dal fatto che, secoli prima, il compositore Georg Philipp Telemann avrebbe ricevuto un miracolo lì, guarendo dalla sua malattia. Adesso, però, sono gli abitanti a desiderarne uno.

Il fascino del blocco occidentale
Il miracolo, o qualcosa di diametralmente opposto, arriva a Wiesenwalde quando vi approda una troupe americana. Si girerà l’ennesimo prodotto seriale dedicato alla Seconda Guerra Mondiale, “All Quiet in the East Germany?”. Ogni abitante si mobilita per ottenere il possibile da questa opportunità: guadagno, un posto di lavoro, turismo. Il set cinematografico e il cast rimangono però fuoricampo, perché in Another German Tank Story la narrazione della Germania in relazione al secondo scontro mondiale ha esaurito il suo fascino.
Ecco che l’anziana Rosi (Monika Lennartz) decide di sbarazzarsi di tutto ciò che possiede di quel periodo. Il giovane Wolfs (Alexander Schuster), invece, porta avanti una sorta di reenactment con la divisa da soldato tedesco che gli è stata regalata dopo aver lavorato come comparsa sul set. È il blocco occidentale ad affascinare ancora il villaggio, con le sue vaghe promesse di uno stile di vita all’insegna del benessere.

Un villaggio al microscopio
In Another German Tank Story i personaggi brulicano. Assegnando a ciascuno la propria identità estetica e storia da raccontare, il film sembra realizzare una “classificazione” che spesso si traduce in inquadrature frontali e simmetriche. Proprio per questo, la pellicola ricorda l’operazione di catalogazione compiuta cento anni fa dal fotografo tedesco August Sander. Uomini del Ventesimo secolo, infatti, raccoglie numerose fotografie in grado di restituire un’istantanea complessiva dei “tipi” della società tedesca degli anni Venti. Di lì a poco quella stessa società sarebbe stata segnata per sempre, ed è forse da qui che il film prende le mosse.
Se spazialmente il set è un luogo negato, cronologicamente lo sono le memorie della Storia. Non perché il processo di elaborazione non stia progredendo, ma piuttosto a causa dello sguardo esterno, in questo caso statunitense, che sembra incapace di proporre narrazioni alternative. Ecco, quindi, che Another German Tank Story rifiuta di dare voce e visibilità ai luoghi comuni per scavare più a fondo. Personaggio particolarmente interessanti è Tobi (Johannes Scheidweiler), il runner che detesta guidare. A una figura spesso ignorata sul set se ne affianca un’altra, quella dello stuntman Jojo (Philip Karner), l’unico della produzione a parlare a Tobi da pari.
Una coralità stonata
I punti di vista in Another German Tank Story sono molteplici e non sempre organici tra loro. Alcune vicende, ad esempio quelle dei giovani Tobi e Wolfs, risultano più incisive di altre la cui parabola sembra invece poco definita. Nonostante questo, però, l’amarezza di fondo delle storie dei personaggi è forse ciò che caratterizza la cifra del film. Nessuno di loro è perfetto e (quasi) nessuno persegue desideri che rispecchiano fedelmente il proprio sentire. I miracoli, poi, accadono, ma non sono quelli che ci si aspetterebbe o in cui si spererebbe.
Le radici dei personaggi sono profondamente legate alla terra di Wiesenwalde e al suo passato, amato e odiato. Ripartire è difficile quando la spinta al cambiamento non è sostenuta dalla comunità tutta. Intanto, però, possono verificarsi incontri speciali (e strampalati) fra uno stuntman e un runner, un’anziana signora e un ragazzo travestito da soldato tedesco. Il villaggio è ricco di piccoli miracoli. Quello più grande sarebbe l’impegno verso un obiettivo comune ma, al momento, si può ripartire da un ragazzo col suo coniglio bianco.

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