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C-MOVIE Film Festival

Intervista a Marine Francen, regista di ‘The Sower’

La regista francese ha spiegato le varie tematiche presenti all'interno del suo film, come la libertà e l’esplorazione del desiderio femminile

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Per la prima volta in Italia arriva The Sower, lungometraggio diretto da Marine Francen. Assieme a The Brink of Dreams e Oleg, l’opera è parte dei tre film, inediti nel nostro Paese, proposti dalla Kitchenfilm all’interno della rassegna del festival C-MOVIE di Rimini.

Dopo aver studiato letteratura e storia contemporanea, Marine Francen entra nel mondo cinematografico lavorando alcuni mesi per festival cinematografici e nella casa di produzione di James Ivory, prima di diventare assistente alla regia.

Il primo cortometraggio da lei realizzato è D’une rive l’autre, a cui seguono altri tre cortometraggi: L’Accordéoniste (2001), Céleste (2002) e Les Voisins (2009). Nel 2017 dirige il suo primo lungometraggio, Le Semeur.

L’intervista

La tua opera si basa su una storia breve: L’Homme semence di Violette Ailhaud. Cosa ti ha colpito particolarmente, tanto da basare un film su di esso?

Ci sono due cose che mi hanno particolarmente colpito di questo testo e che, quindi, mi hanno ispirato. Innanzitutto la forza poetica  dello stesso, la sua scrittura semplice. Poi è un testo breve, composto da una trentina di pagine. Per questo motivo, non è stato necessario andare a rendere specificamente delle cose, poiché era denso di elementi utili per una base su cui sviluppare questa storia, una storia che mi ha sicuramente esortato poi a rappresentarla in linguaggio cinematografico. Ho voluto rappresentare questa forma letteraria sul grande schermo.

Nel film molti elementi entrano in contrasto. Per esempio, l’ambientazione del film suggerisce un’idea di calma e serenità, che però viene spezzata dalla fisicità delle donne e dalla fatica con cui lavorano il grano. Inoltre, si può pensare al modo in cui vediamo l’amore rappresentato all’interno della pellicola: uno più passionale, carnale, l’altro più delicato, quasi puro. Nel nostro mondo le donne sono spesso viste come esseri angelici, oppure soltanto come semplici oggetti sessuali. Credi che queste dualità nel film riescano a rappresentare la complessità del nostro universo femminile?

All’interno del film ho voluto rappresentare in particolare questo aspetto: la diversità dell’età tra le donne. Questo è un aspetto che apprezzo di questa storia. Ho voluto dare, inoltre, una rappresentazione della donna nel suo tempo, quindi a metà dell’Ottocento, senza però attribuirle degli elementi borghesi che avrebbero potuto rendere più artificiale la sua figura. Ho voluto, quindi, rappresentare delle donne che lavorano la terra, che hanno una vita difficile e ruvida proprio perché si sporcano le mani, si sforzano tra di loro per vivere la loro intimità tra donne, che sia amore o amicizia, perché di fatto si sono trovate in una situazione critica, quella di lottare per potere avere un futuro attraverso quell’uomo. All’interno del film, dunque, troviamo diverse figure femminili con età differenti, che hanno visioni altrettanto eterogenee riguardo all’idea di condividere un uomo. Esse rappresentano anche un conflitto generazionale. Dunque, di fatto, quello che fanno queste donne è una vera e propria scelta politica che non può essere incasellata all’interno di un’ideologia, perché non esisteva all’epoca un partito che poteva incarnare la loro decisione politica, che vedeva loro tutelate dal disporre liberamente del proprio corpo.

All’interno di questa storia ho voluto dare importanza a questa visione del corpo femminile, un corpo attraverso il quale è possibile fare resistenza e schierarsi contro chi è opposto ad esso. Il voler reclamare una sorta di libertà sul proprio corpo e sulla propria vita sessuale è, per me, una tematica attuale. È possibile trasmettere attraverso il proprio corpo una visione politica. Il corpo, quindi, può essere visto come strumento di resistenza.

Credo che il tuo film sia pregno di uno sguardo fortemente femminile, facendo capire che a dirigere lo stesso fosse proprio una donna. La squadra che ha lavorato con te al film era composta unicamente da donne? Se la risposta è no, come siete riusciti a trasmettere questo imponente senso di femminilità all’interno della pellicola?

Se il film fosse stato scritto da un da un uomo sarebbe stato sicuramente molto, molto diverso e già quando ci si occupava della sceneggiatura si poteva percepire una prospettiva principalmente maschile. Sentivo uno sguardo maschile da parte di chi mi circondava. Ho anche potuto capire benissimo come ci fosse un certo desiderio da parte degli uomini di interpretare il personaggio maschile del film, perché in generale trovarsi nel bel mezzo di un luogo pieno di donne che desiderano soltanto un uomo rappresenta un sogno per gli uomini. Questo incarna naturalmente il tipo di desiderio maschile, che è prevalentemente sessuale.

Attraverso il film io ho voluto rappresentare come la donna può esprimere il suo desiderio. Facendo ciò, le donne hanno poi rotto dei tabù. Infatti, accordandosi tra di loro, hanno reinventato la loro organizzazione sociale per garantire il prosieguo della vita nel loro villaggio. Hanno creato un nuovo codice che ha portato alla rottura di tabù. Questo è molto importante come elemento.

Inoltre, volevo dire che quando è stato girato il film ci sono state molte donne attorno a questo progetto. Per rispondere alla tua domanda, gli uomini erano minoritari all’interno di esso ed è stata, infatti, molto percepibile questa solidarietà tra le donne.

Vorrei dire una cosa riguardo alla mia ispirazione. Per fare questo film posso dire di aver preso spunto da Kelly Reichardt e da Jane Campion, di cui quest’ultima è importante la sua prospettiva sul corpo della donna. Kelly Reichardt, invece, mi ha influenzato nella regia e nelle misure, per cui ho scelto un tipo di formato che è quello di 4:3, cioè ristretto, che è in controtendenza con quello che sarebbe più indicato per questo tipo di film, essendo una pellicola corale. Si dovrebbe pensare a un film formato più esteso, che riesce a rappresentare meglio il panorama. Questa sarebbe la scelta più logica, ma invece ho deciso di mettere in risalto altri dettagli della mia rappresentazione. Nel film ho voluto rappresentare la complessità del desiderio femminile, che può essere materno o può essere di piacere fisico, mentre quello che si può dire del desiderio maschile è che è più collegato al piacere sessuale. Nel film ho voluto rappresentare le diverse sfaccettature che possono esservi nella sessualità femminile e nella sua espressione.

Inoltre, Sofia Coppola ha realizzato un remake di un film diretto da Don Siegel, in cui recita Clint Eastwood, L’inganno. In questo remake ha rappresentato una situazione analoga, dove le protagoniste sono un gruppo di donne, le quali si trovavano in un villaggio dove arriverà poi un uomo durante una guerra civile. Io ho voluto evitare volutamente questo tipo di rappresentazione dell’uomo che arriva e si prende gioco del desiderio delle donne. Io, invece, nella mia rappresentazione ho voluto fare vedere come il mio personaggio maschile si trovi ad essere poi subordinato alle donne, inizia a lavorare, a mettersi a loro disposizione nel campo, nel raccolto, cosa totalmente diversa dalla direzione seguita nel film di Sofia Coppola, dove succedevano anche cose violente nel rapporto tra le donne e l’uomo che arrivava.

Questa è stata la differenza sostanziale che ho voluto rappresentare tra i due film.

In The Sower c’è una scena dove un vestito da sposa viene bruciato. Inoltre, all’inizio del film una ragazza dice esplicitamente: “da quando tutti gli uomini se ne sono andati, mi sento morta dentro.” Si può dire che questo film sia, in qualche modo, un omaggio all’indipendenza e alla forza delle donne, facendo capire che la loro vita non dipenda assolutamente dalla presenza dell’uomo al loro fianco?

Questo è uno degli aspetti fondamentali del film e io ho voluto appunto rappresentare le donne come potessero costruire una forma di vita autonoma, diversa da quella che avevano conosciuto precedentemente, in grado di creare un nuovo tipo di vita senza la presenza maschile. Sono capaci di organizzare la loro comunità diversamente e, così facendo, ho voluto esporre questa loro capacità.

Questo può essere qualcosa di molto politico, senza che il tutto venga, però, incasellato in qualche idea politica organizzata. Resta il fatto che è necessariamente politica la loro scelta di autorizzarsi vicendevolmente ad avere a che fare, anche intimamente, con un uomo in totale libertà. Questo è un tipo di libertà che non avrebbero potuto sicuramente darsi in presenza di un uomo.

Inoltre, è interessante notare un elemento del film. Quando gli uomini tornano verso la fine della storia, si potrebbe pensare un ritorno alla vita precedente. Invece no, non è così. Proprio grazie al fatto che le donne hanno saputo organizzare una società diversa durante l’assenza degli uomini, nonostante il ritorno degli stessi, hanno acquisito un livello di libertà che permette loro di non retrocedere più alla condizione di vita precedente. L’intento di questo film è stato anche rappresentare questo desiderio libero della donna, ma non vuole essere un film contro la maschilità e l’uomo di per sé, affatto. Si vuole rappresentare come le donne possano costruirsi una vita diversa al di là delle frontiere imposte dagli uomini. Come possano quindi manifestare anche in maniera diversa il loro desiderio senza questi limiti imposti dall’uomo. Quindi ribadisco, non è un film contro gli uomini, ma si vuole fare capire come le donne senza gli uomini possano comunque organizzare la loro società. Inoltre, ho voluto rappresentare come vogliano e possano costruire una vita oltre il dominio maschile che è instaurato nella società da diversi secoli.

Nel film si può dire che c’è un capovolgimento sociale, ovvero sono le donne che capovolgono l’ordine della società e quindi dominano l’uomo. Ciononostante, non è comunque presente una dimensione violenta come invece c’era nel film della Coppola, dove invece sono le donne ad uccidere l’uomo. In questo film abbiamo le donne che hanno bisogno dell’uomo per andare avanti. Se ne servono, ma allo stesso tempo è l’uomo stesso all’interno della storia del film che decide di accettare le condizioni che gli si vengono presentate. È lui stesso a voler restare in queste condizioni.

Al giorno d’oggi, essere un regista è considerato un lavoro prettamente maschile, soprattutto in alcune parti del mondo. Potresti dare qualche consiglio a tutte quelle donne che aspirano a diventare registe?

Sì, il mio messaggio per le aspiranti registe è di avere sempre fiducia, nonostante gli ostacoli. È necessario lavorare duramente, guardare molti film e di vario genere. Inoltre, bisogna proteggere la propria peculiarità, cercando di non copiare quello che è stato fatto in passato, altrimenti diventa una ripetizione, e provare, quindi, ad acquisire uno stile proprio, dire la propria. Infine, si deve comprendere come funziona il sistema dell’industria cinematografica stessa, per poter poi creare la propria strada all’interno di esso, rimanendo sempre fedeli a sé stessi.

 

Per l’intervista al regista Juris Kursietis, ospite al C-MOVIE di Rimini, clicca qui.

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