Tra continuità e innovazione Il Gattopardo, diretta da Tom Shankland con la collaborazione di Laura Luchetti e Giuseppe Capotondi, si confronta con un classico della cinematografia italiana.
Disponibile su Netflix, la serie vede tra i protagonisti Kim Rossi Stuart, Benedetta Porcaroli, Saul Nanni e Deva Cassel.
Della serie Il Gattopardo abbiamo parlato con Laura Luchetti.

Laura Luchetti e Il Gattopardo
Il Gattopardo rappresenta per te una sorta di ritorno alle origini. Il tuo apprendistato cinematografico è infatti iniziato lavorando nelle produzioni cinematografiche inglesi.
In qualche modo sì perché Il Gattopardo è stato scritto e diretto da artisti anglosassoni, ma la produzione è frutto della partnership tra Indiana e l’inglese Moonage Pictures.
A proposito di ritorni al passato il quinto episodio della serie, quello da te diretto, è ambientato a Torino in cui avevi girato La Bella Estate. La conoscenza della città, ma anche la necessità di avere uno sguardo esterno rispetto a quanto fin lì raccontato nella serie legittimano la tua presenza tra i registi della serie.
Sì, è come se fossi tornata sul luogo del delitto. Il quinto episodio non è solo l’unico girato a Torino, ma anche quello che si prende più libertà narrative. Rispetto al libro, a cambiare sono la luce, i colori e l’atmosfera perché la capitale sabauda rappresenta quel mondo nuovo in cui vengono a galla verità famigliari che erano rimaste sotto la cenere.
Il quinto episodio
Il quinto episodio è una sorta di contro canto rispetto alla Sicilia borbonica e al paesaggio umano, geografico e politico che la caratterizza. La sua cesura dunque non è solo narrativa, ma anche estetica. Se il racconto siciliano si nutre di situazioni tipiche di serie storico sentimentali come Bridgerton quello ambientato a Torino rappresenta nella sua alterità la parte più propriamente italiana della serie.
Difficile risponderti perché dall’interno è più difficile accorgersi di certe cose. Di sicuro c’è che, così come la storia, a cambiare sono anche i registi perché per esempio il quarto episodio è stato diretto da Giuseppe Capotondi. Di certo la mia fortuna è stata quella di girare un episodio isolato, perché poi la vicenda si trasferisce di nuovo in Sicilia, quindi mi sono anche un po’ sbizzarrita potendo contare sulla conoscenza pregressa di Torino e dei suoi spazi, alcuni dei quali, su mio suggerimento, sono diventati parte della storia.
Racconti Il Gattopardo nel momento in cui il Principe si rende conto che il mondo a cui appartiene sta per essere superato dal nuovo che avanza.
Sì, raccontiamo il momento in cui calano le maschere. Il Gattopardo è un racconto sul potere familiare che diventa metafora di un paese che cambia, quello dove Concetta vede per la prima volta il vero volto di Tancredi e in cui Don Fabrizio si accorge com’è il matrimonio tra Tancredi e Angelica che lui stesso ha combinato. A cambiare è anche Concetta che, dopo aver vissuto all’ombra del padre, in un moto da femminista ante litteram si ribella a lui chiedendogli di poter vivere la propria vita, cosa che per un personaggio femminile di fine Ottocento è una sorta di rivoluzione. Il quinto episodio è un capitolo fatto di relazioni intime, di segreti e di sguardi in cui ho potuto raccontare quello che mi piace di più, ovvero la malinconia legata alla perdita dell’innocenza. Su tutti penso a quella di Don Fabrizio nella scena in cui Tancredi gli dice di essere a conoscenza del tradimento di Angelica di cui il principe lo voleva informare. Nella serie le interpretazioni hanno una parte fondamentale per la riuscita del progetto e questo mi ha dato modo di riservare gran parte del mio lavoro alla direzione degli attori che è una delle cose che amo di più.
Il racconto di Laura Luchetti ne Il Gattopardo
Se nei precedenti episodi le vicissitudini dei personaggi ruotano attorno alla centralità di Don Fabrizio nel quinto la crisi di coscienza del protagonista impone alla narrazione un andamento frammentario necessario a rendere lo spaesamento dei personaggi. Il fatto di girare molte sequenze di notte, con i personaggi costretti a muoversi nell’ombra come fantasmi, aumenta la sensazione di smarrimento che pervade il racconto.
Molte scelte nascono dall’ispirazione che ti trasmette il luogo in cui giri. Torino è una città austera che si fa portatrice di una visione del mondo diversa da quella dei protagonisti che infatti vi si trovano come se stessero dentro un acquario. Don Fabrizio e Concetta sono forestieri in una realtà trasparente in cui tutti li osservano. Rispetto all’opulenza del rosso e dell’oro della sabbia e della polvere siciliana qui si passa a una atmosfera più rarefatta in cui i colori dei costumi sono più scuri e dove la quantità di vetri e di specchi corrisponde alla trasparenza delle relazioni tra i vari personaggi.

In quella parte di racconto l’ego di Don Fabrizio deve cedere il passo a quello della collettività. Nei campi lunghi e lunghissimi i palazzi del potere statuale per austerità e grandezza assumono una prossemica rivelatrice della debolezza del protagonista, costretto a fare i conti con cambiamenti che non riesce a condividere.
Sì, con quelle inquadrature volevo dare conto della presenza di un potere politico più grande di quello presente in Sicilia e in qualsivoglia altra regione. Peraltro, se hai visto, siamo riusciti a girare dentro il Parlamento Subalpino. Leggere sugli scranni i nomi dei grandi politici della nostra storia mi ha molto commossa.
Una visione contemporanea
La diversità del tuo racconto è data anche dalla peculiarità di certe composizioni visive. Penso, per esempio, al mosaico di luci e ombre su cui costruisci la sequenza dell’incontro segreto tra Tancredi e Concetta, sottolineando il contrasto di sentimenti vissuto dalla ragazza.
È inutile dire che nella composizione delle immagini il nostro punto di partenza è sempre stato il girato di Tom Shankland di cui abbiamo condiviso il direttore della fotografia. Nella scena di cui parli ho immaginato Concetta come una specie di Cenerentola che va a cercare questo uomo per poi scoprire l’amara verità. Separarne la silhouette dal resto della notte mi sembrava la soluzione migliore per raccontare le speranze che precedono il momento della sua disillusione.
Per come lo avete interpretato la vostra versione del romanzo di Tomasi di Lampedusa ha delle connessioni forti con la contemporaneità. Rispetto ai leader dei nostri giorni il personaggio di Don Fabrizio interpretato da Kim Rossi Stuart ha un carisma e una sobrietà che lo mette al riparo dai comportamenti macchiettisti dei cosiddetti padroni del mondo.
Kim Rossi Stuart è un attore eccezionale per senso della misura. A questo ha aggiunto un grande lavoro sulla tonalità della voce e anche sulla sua corporatura, irrobustita da un notevole aumento di peso. Quando sono arrivata loro giravano da tanti mesi per cui con lui è stato facile essere coerenti con quanto di precedente era stato fatto. Il che non è scontato perché in una serie come Il Gattopardo agli attori è richiesto di mediare tra la creatività e la necessità di rimanere fedeli alla visione del progetto.

I personaggi
Il discorso con cui Don Fabrizio rinuncia alla carica di senatore è l’esempio dell’essenzialità di cui si parlava. La postura quasi immobile e la mancanza di gesticolazione delle mani trasmettono la dignità di un uomo sconfitto ma ancora in piedi.
Quella scena per me è stato il tripudio della bella recitazione. Amo girare con attori come Kim che devono fare poco per fare tanto. La mia fortuna è stata quella di poter girare con un cast eccezionale a cominciare dalla bravissima Astrid Meloni che purtroppo nel mio episodio è poco presente. E poi con Benedetta Porcaroli e Francesco Colella, bravissimi anche loro nel catalizzare l’attenzione senza mai eccedere e poi di ritrovare la “mia” Deva cresciuta e forte e con la quale ci intendiamo senza bisogno di parole.
Il Gattopardo racconta il declino di un leader e del suo mondo con uno sguardo rivolto al presente.
Il Gattopardo racconta la fine di un’era e in quanto tale è impossibile non ricollegarlo agli avvenimenti di oggi. Più che altro è incredibile come il libro di Tomasi di Lampedusa sia in grado di leggere il futuro attraverso una disamina attentissima sul potere familiare e pubblico. La sua analisi della Sicilia e dell’Italia si può adattare a qualsiasi nazione per le sue caratteristiche di universalità.
La ribellione di Concetta nei confronti del padre, ma anche l’assunzione di responsabilità verso il futuro della sua famiglia innescano il ragionamento sul fallimento dell’idea di famiglia patriarcale di cui tanto si dibatte.
Nel libro di Tomasi di Lampedusa il personaggio di Concetta era abbastanza sacrificato mentre qui esplode perché ci sono delle linee narrative poco espresse che vengono ampliate e attualizzate ragionando anche su un tema attuale come quello della famiglia patriarcale.