Approfondimento
‘Ratataplan’ – Un bicchiere d’acqua per piacere
Maurizio Nichetti, geniale e originale regista meneghino
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11 ore agoon
Ratataplan rappresenta un’inversione di rotta unica nel panorama del cinema comico italiano di fine anni ’70, così legato da sempre alla comicità di parola (da Totò e Sordi fino ai colonelli della Commedia all’italiana). Parola che in quest’opera si tramuta in rumore incomprensibile volto a rafforzare il caos e la surreale dissonanza che generano i corpi comici dei personaggi.
Si tratta, infatti, del film d’esordio di Maurizio Nichetti regista e comico che, come pochi altri, ha saputo porre l’accento sullo stato e sul cambiamento dell’immagine cinematografica nell’Italia degli anni ’80, mettendo al centro del suo discorso filologico la comica, il cartoon e il surreale.
Le disavventure del giovane Colombo
Maurizio Nichetti ci racconta con Ratataplan le disavventure del neolaureato Colombo, disoccupato milanese che si arrabatta per tirare avanti alle prese con il suo paradossale condominio, colloqui di lavoro decisamente singolari, una surreale compagnia di teatranti di cui fa parte, il suo impacciato rapporto con l’altro sesso e la sua irrefrenabile fantasia.
La “comica”
Ratataplan potrebbe definirsi a tutti gli effetti un film “muto” in un’epoca di cinema sonoro. Un metodo di (ri)lettura della comica come immagine vitalistica ed eversiva capace di minare i valori della società dei consumi che di lì a poco, proprio nella Milano che fa sfondo alle vicende del film, sarà incarnata e tramutata in linguaggio comune da Silvio Berlusconi.
Prima di affrontare quest’ultimo discorso bisogna soffermarsi sull’analisi che fa Maurizio Nichetti sul ruolo stesso dell’immagine comica. Come già detto, l’autore meneghino ricalca il solo espressivo tracciato dalle comiche dell’era del muto. Charlie Chaplin e Buster Keaton, oltre ad essere citati in alcune gag, sono addirittura mostrati in alcuni quadri appesi al muro dell’assurdo appartamento in cui vive l’improbabile compagnia di attori chiamata “Quelli di Grock”. Tuttavia, a proposito di comiche del muto in epoca di cinema sonoro, non si può neanche non notare il diretto riferimento a Jacques Tati nella scena iniziale. Gli uffici in cui il neolaureato Colombo (Nichetti stesso) svolge un test per essere assunto in un’azienda sembrano usciti da Playtime – Tempo di divertimento. Ad accomunarli non è solo la mera forma, bensì anche la forte e sotterranea satira che accompagna la gag (Colombo è l’unico a non passare il test perché ha troppa fantasia e immaginazione).
Lo scolapasta in chiesa o il bicchiere d’acqua in piazza Duomo?
Questa riflessione sul comico come linguaggio che opera Nichetti ci impone di ragionare sul meccanismo stesso della comicità.
Vincenzo Cerami,nel suo testo Consigli ad un giovane scrittore, descrive la comicità come un conflitto senza soluzione. La comicità nasce da «uno squilibrio incolmabile». Nel descrivere tale assunto cita come esempio l’immagine di uno scolapasta posto sull’altare di una chiesa. Il conflitto fra un oggetto appartenente alla quotidianità, alla normalità e alla vita comune (in breve “volgare”) e un altro legato al sacro, che viene deturpato, «violentato» e umiliato da un elemento estraneo al suo universo, genera l’effetto comico.
E se questo scolapasta si tramutasse in un bicchiere d’acqua e se la chiesa diventasse un vertice internazionale gestito da un manager in sedia a rotelle quale sarebbe il risultato? Forse la più celebre e riuscita gag dell’intero film di Nichetti e non solo.
Quel bicchiere d’acqua che Colombo, umilissimo cameriere di un piccolo chiosco sulla Montagnetta di San Siro, porta in giro per tutta Milano rappresenta l’amore sconfinato che il regista milanese nutre per la comicità stessa e di conseguenza, sui soggetti che quest’ultima racconta.
Il diverso e l’emarginato
Chi è il comico se non un “diverso”, un emarginato che anela al conformismo, ma che allo stesso tempo non riesce a raggiungerlo perché non riesce ad essere semplicemente “normale”, come tutti gli altri. Il cameriere Colombo non vuol fare altro che il suo dovere, portare un bicchiere d’acqua come gli è stato ordinato, e farlo nel miglior modo possibile, ma è l’intera città di Milano che gli si mette di traverso trasformando e modificando il contenuto di quel bicchiere. Vernice, mosche, piume di piccioni trasformeranno la limpidezza dell’acqua in una bevanda sui generis. Eppure, questa bevanda avrà il potere miracoloso di curare la disabilità del manager in sedia a rotelle. L’elemento comico non può che essere salvifico.
Vitalità senza scopi
Nichetti ci dimostra che la comicità è sì il nulla, la rappresentazione del vuoto cosmico in cui noi uomini ci illudiamo di vivere in eterno, ma è innanzitutto un grido di libertà e vitalità incomparabile, perché senza scopi. È l’espressione di una vita che non ha bisogno di nessun obiettivo per autodeterminarsi e sottolineare la sua forza.
«La vita è una risata e la morte è una battuta» canta Eric Idle dei Monty Python in Brian di Nazareth (Life of Brian, 1979). Dunque, non c’è tempo per rovinarci la vita dando troppa importanza a tutto ciò che la società dei consumi citata in apertura ci impone di realizzare: la ricerca di un lavoro per cui non siamo tagliati in una multinazionale, il dover apparire efficienti, sicuri di sé e affascinanti per colpire la persona da cui si è attratti (pensiamo alla sequenza del robot costruito da Colombo per attirare l’attenzione della vicina) etc. Come possono Colombo e i suoi assurdi colleghi teatranti, che devono mettere su un Magic Show nella provincia milanese e dare sfogo alla loro imbranata e surreale fantasia, raggiungere questi obiettivi? Sono emarginati, diversi, fuori posto e possono trovare sé stessi solo in un magazzino di stracci (luogo simbolico del riciclo, del riuso e dunque, dello scarto della società dei consumi) in cui ci si può innamorare della svitata condomina interpretata da Angela Finocchiaro, vivere il calore di un rapporto umano e ridere delle semplici imitazioni del mimo Nichetti. Un mimo gentile ed eversivo suo malgrado. Charlot ne sarebbe andato fiero.