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Bergamo Film Meeting

“Choreographies Towards Loss”, un requiem per gli animali estinti

Il film della norvegese Irene Margrethe Kaltenborn, presentato a Bergamo, rievoca in modo accorato la drammatica scomparsa dell’Alca impenne

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Un documentario fuori dagli schemi

In un’epoca che vede gli studiosi accapigliarsi su termini come “documentario”, “docu-fiction” e “cinema del reale”, la sezione Visti da vicino del Bergamo Film Meeting risponde all’annosa questione selezionando, a volte, oggetti filmici ancora più enigmatici e inclassificabili. Tale è a nostro avviso Choreographies Towards Loss, presentato il 10 marzo presso la Sala dell’Orologio alla presenza dell’autrice Irene Margrethe Kaltenborn. Per il così eccentrico lavoro della film-maker norvegese, che si divide tra Malmö in Svezia e i fiordi della costa scandinava (Tromsø, per la precisione), non è certo errato parlare di “documentario”, ma anche coniare definizioni più originali tipo “requiem per un animale estinto” renderebbe bene l’idea. Sì, perché il suo film va oltre la missione del documentario classico, inglobando alcune immaginifiche sequenze che assumono un timbro simbolico, speculativo, rituale, misterico.

Elaborando il lutto dell’Alca impenne

La dolorosa vicenda dell’Alca impenne o Alca gigante (Pinguinus impennis), al centro di Choreographies Towards Loss, può ricordare altre simili estinzioni avvenute in epoca storica per l’avidità, la rapacità e la crudeltà dell’essere umano: il Tilacino in Australia, il Dodo nelle isole Mauritius, il Chiurlo boreale (protagonista a sua volta di un accorato romanzo e di un non meno straziante film d’animazione, Last of the Curlews) nel continente americano.
Per quanto concerne questo meraviglioso uccello marino inadatto al volo, l’Alca impenne, un tempo esso era assai diffuso in tutta la regione artica, tra l’Europa e le Americhe, ma la caccia indiscriminata condotta dall’uomo con metodi particolarmente cruenti ne restrinse progressivamente l’areale, a partire dal XVI secolo. La sua scomparsa da Terranova, al largo del Canada, ha coinciso peraltro col genocidio compiuto dagli Europei ai danni dei Beothuk, nativi americani che pur cacciando tali animali – senza intaccarne di fatto il numero – avevano con essi un rapporto rispettoso, persino sacrale. Per la cronaca, con la morte nel 1829 di Shanawdithit, una donna non ancora trentenne che era anche l’ultima Beothuk vivente conosciuta, la popolazione fu considerata ufficialmente estinta.
Macabra ironia della sorte, non molto tempo dopo – ovvero il 3 luglio 1844 – gli ultimi due esemplari di Alca impenne vennero abbattuti a Eldey, al largo delle coste islandesi, da alcuni cacciatori e pescatori locali decisamente privi di scrupoli; e con la loro uccisione andò perso anche l’ultimo tentativo noto di riproduzione. L’avvistamento isolato di un esemplare nel 1852 è considerato da alcuni l’ultimo mai effettuato di un individuo appartenente alla specie.

Un monito per le generazioni future

Tutte queste e anche altre circostanze legate alla scomparsa dell’Alca impenne sono rievocate minuziosamente, scrupolosamente, da Irene Margrethe Kaltenborn, la quale nella parte più tradizionale del documentario fa visita a biologi, antropologi, tassidermisti, curatori di collezioni nei musei di scienze naturali, persino a un naturalista e scrittore che ha dedicato alla scomparsa di tale specie il suo volume più noto. Vediamo la regista fare capolino, come un folletto indispettito dalla malvagità umana, accanto a uccelli impagliati e a gigantesche uova ancora oggi perfettamente conservate.
Ma “l’elaborazione del lutto” non si limita a questo o alle riprese di altri uccelli marini (urie, puffin, svassi), “cugini” di quello a lungo perseguitato dagli uomini e immolato alla loro ingordigia. Nelle parti di sicuro più suggestive del film, vediamo la stessa Irene Margrethe Kaltenborn con indosso un costume cerimoniale dai colori bianco e nero, che possono rievocare la livrea del maestoso pennuto, stagliarsi assieme ad altre performer similmente vestite su affascinanti scenari nordici, talvolta in prossimità di piccole statue raffiguranti proprio l’alca. Sono momenti dall’impronta fortemente misterica, quasi sciamanica, che aggiungono pathos al racconto; e inevitabilmente accrescono il dolore per questa, come per tutte le altre perdite nell’ambito della biodiversità. Non a caso, proprio sui titoli di coda, compare una scritta che vale da monito per il singolo spettatore e soprattutto per la razza umana, poiché ci avverte che nel tempo impiegato a vedere il film si estinguono in media, nel mondo, ben sei specie o sottospecie animali. Ci sembra inutile aggiungere altro.

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