La guerra di Mario (2005) è un film diretto da Antonio Capuano e interpretato da Valeria Golino e Andrea Renzi, ambientato in una Napoli inedita, divisa a metà tra povertà e borghesia e raccontata attraverso il mondo delle adozioni infantili.
È stato distribuito da Medusa Film, e prodotto dalla stessa insieme a Fandango e a Indigo Film in collaborazione con Sky.
Oggi, il film è disponibile su Mubi.
La guerra di Mario: la trama
Napoli. Giulia (Golino) e Sandro (Renzi) prendono in affidamento temporaneo Mario, nove anni, strappato al degrado della periferia partenopea. Non sposati, i due affrontano in maniera opposta l’arrivo del bambino: la prima diventa schiava di un forte impulso materno incapace di dire di “no”; il secondo si sente minacciato, messo da parte e non riesce a trovare punti di contatto.
Mentre intorno a lui gli adulti combattono per affermare cosa sia meglio per il suo futuro, Mario si rifugia in racconti di una vita di violenza primordiale mai vissuta, paradossalmente rassicurante perché comprensibile agli occhi istintuali di un bambino selvaggio e arrabbiato, non ancora educato…
Una città divisa in due
A quattro anni dal suo precedente film, Luna rossa – in cui aveva mischiato in modo originale l’Orestea di Eschilo al mondo della camorra, con Toni Servillo nel ruolo di Oreste che, come l’omonimo personaggio figlio di Agamennone, vendica la morte del padre uccidendo la madre – Antonio Capuano torna a rappresentare la sua città.
Il cinema italiano ha un’antica tradizione nella rappresentazione di Napoli, fin dai tempi del caos colorato della grande commedia all’italiana del secondo Dopoguerra, ma nuova linfa alla sua iconografia è stata donata da Gomorra, a partire dal 2008, con un forte focus sulla camorra.
“La guerra di Mario” si trova in qualche modo nel punto di contatto tra la vecchia e la nuova Napoli e mette proprio al centro della scena questo conflitto. Infatti, la Napoli del film una città divisa tra appartamenti sfarzosi di una borghesia invecchiata e le case popolari, due mondi incapaci di comprendersi.
«C’è chi ha scritto che la Napoli che ho rappresentato è profondamente laica. Credo che quest’ultima affermazione contenga un pezzetto di verità.»
(Il regista in un’intervista)

Tante guerre, una vittima
Nell’arena descritta, i quarantenni di inizio millennio, schegge impazzite e forse incapaci di costruire un futuro, si affannano. C’è la lotta delle famiglie, delle istituzioni, della burocrazia, perfino nella coppia che prende in affidamento temporaneo il piccolo.
«Mario è un genio!»
Giulia ne è convinta. Insegna arte all’università e vede nei disegni arrabbiati del piccolo uno spirito anarchico che non deve essere ingabbiato da regole, come invece crede la psicologa che segue il bambino.
Tutti sembrano sapere cosa sia meglio per Mario e per la sua educazione.
Insomma: la vera guerra, come suggerisce il titolo, è quella interiore del bambino, silenziosa.
I suoi enigmatici monologhi interiori rappresentano il filo rosso della narrazione, sia in senso figurato che letterale: sono dei momenti che scandiscono le scene tramite i tratti di pennarello o di pastelli, calcati con forza. Mario disegna la sua realtà interna mentre la racconta a sé stesso.
La vera vittima, in mezzo alla fallimentare confusione degli adulti, è lui.
Gli adulti non sanno indicargli una strada. E lui, in un gesto ripetuto che sembra preludere a un epilogo tragico, la strada la attraversa non appena scatta il rosso, in un moto di ribellione.
Mario porta con sé un bisogno intimo di guerra costante, proprio come gli adulti (di qualsiasi estrazione sociale) e la città di Napoli gli hanno insegnato.