Toxic Town è una miniserie drammatica britannica, scritta da Jack Thorne e diretta da Minkie Spiro. Presentata in anteprima su Netflix il 25 febbraio 2025, racconta la storia di un gruppo di madri coinvolte nel caso di rifiuti tossici di Corby, una cittadina industriale situata nell’entroterra dell’Inghilterra.
L’incipit e il caso Corby
La penna di Jack Thorne (JOY – The birth of IVF) costruisce una trama che trae ispirazione da eventi reali, raccontando uno degli scandali ambientali più gravi nella storia del Regno Unito. Siamo in un periodo compreso tra il 1985 e il 1997, quando il consiglio comunale di Corby, nel tentativo di bonificare l’area della Corby Steelworks, un’acciaieria che operava nella zona, ha contaminato l’ambiente con rifiuti tossici.
È proprio su questa base che prende avvio la narrazione.
I tre volti del drama
Sin da subito, la serie ci introduce ai tre macro-gruppi di protagonisti: la classe operaia, la classe dirigente e la città stessa. Quest’ultima viene presentata attraverso ampie inquadrature dall’alto, che ne mettono in evidenza le strade intricate, simili a grandi venature di un organismo vivo. Come se la città fosse un personaggio autonomo, con una sua pulsazione. Un’entità che, nel suo cuore industriale, porta con sé il segno di un cancro in metastasi, radicato nella sua filiera siderurgica, un male che si propaga silenzioso e devastante.
La classe dirigente di Corby, collocata nel consiglio comunale, si mostra attraverso ambienti asettici, dominati da una palette di colori tenui che riflettono la freddezza di un mondo privo di empatia. Uomini ben vestiti, intrappolati in una routine che segue un preciso copione: riunioni, inni, decisioni e interazioni formali. Negli incontri post-lavoro si raccontano di essere uomini onesti, impegnati nel perseguire il bene della società, in cui la velocità e la produttività sono principi irrinunciabili.
Eppure, lo spettatore avverte che dietro questa facciata impeccabile si nasconde una realtà più sfumata. Un clima sotterraneo, fatto di tensioni non evidenti a prima vista.
L’esplorazione del mondo della classe operaia, al contrario, si distingue per un ritmo più frenetico e talvolta caotico. I suoi protagonisti si muovono in un tempo segnato dal lavoro, dalle riflessioni sui propri limiti e dal costante esercizio dei propri vizi. Un racconto visivo intimo, immerso nelle dinamiche familiari e ricco del lume della fragilità. Qui la macchina sociale sembra oscillare tra la speranza di un cambiamento e la rassegnazione a un destino segnato.
Urge sopravvivere.
Urge respirare, a meno che, in questo caso, non sia una colpa?!

I figli del contesto
Lo spettatore discende nel contesto peculiare e autoreferenziale di Corby, una città che si può considerare una madre, con i cittadini come figli formati da questo ambiente.
La maternità è un tema centrale della serie. Cosa significa essere una buona madre? Susan, interpretata in modo ottimale da Jodie Whittaker (Broadchurch, Black Mirror, Doctor Who), si pone questa domanda. Lei incarna un gruppo di madri che affrontano una battaglia estenuante contro un sistema che sembra ignorarle, mettendo in gioco tutto ciò che hanno. Insieme a loro, percorriamo le sfide di essere all’altezza, la solitudine e la necessità di essere coraggiose.
Susan è come un Davide contro Golia. Ci viene raccontata con totale onestà: non è particolarmente intelligente né disciplinata, ha problemi di depressione e alcolismo, ma è una madre pronta a fare qualsiasi cosa per suo figlio.
Roy Thomas, interpretato da Brendan Coyle, è l’antagonista che rappresenta le scelte del consiglio di Corby. Incrollabile nelle sue convinzioni, considera il dolore della popolazione come il risultato della loro incapacità di comprendere l’importanza di mantenere in funzione la macchina dirigenziale. Come un “architetto del destino”, la sua visione è rigida e disumanizzata, compiendo azioni e decisioni con la convinzione che il fine giustifichi i mezzi. Il suo distacco emotivo e la cieca fiducia nelle politiche del consiglio lo rendono simbolo di una leadership che dà priorità agli interessi economici rispetto alla vita umana.
In contrasto con Roy, l’avvocato Des Collins, interpretato da Rory Kinnear, si distingue come un personaggio quasi utopico. Uomo di carriera, è mosso da un profondo senso di giustizia e moralità. Si dedica al caso delle madri non solo come professionista, ma anche come essere umano, diventando un simbolo di speranza. La sua figura incarna una luce che si riflette nella legge, tracciando un percorso verso il bene comune.
Ted, interpretato da Stephen McMillan, è un giovane neo laureato che torna a Corby per stare vicino al padre. Un po’ come il figlio prodigo, si aspetta di trovare conforto a casa, ma invece si scontra con un ambiente lavorativo tossico. La sua non è un’anima corrotta, e ciò che vede non lo lascia indifferente. Si chiede se sia giusto percorrere l’etica, restare fedele ai propri principi, o se scendere a compromessi, rischiando l’emarginazione, la propria psiche e il lavoro. Un personaggio che riflette le sfide e i dilemmi dei giovani di oggi, divisi tra il desiderio di integrarsi e il bisogno di rimanere fedeli a sé stessi.
Forse il personaggio più affascinante è Sam Hagen, interpretato da Robert Carlyle. Un consigliere comunale onesto e dedito al lavoro, ma mai davvero integrato o rispettato. Sembrerebbe solo un tassello insignificante nel grande puzzle, ma diventa un “cigno nero” quando riceve una busta misteriosa contenente documenti riservati, che cambieranno il corso degli eventi.

Un veleno nascosto in piena vista
La quotidianità della classe operaia a Corby si può riassumere in una scena. Dopo il parto, Susan e il suo compagno affrontano una realtà devastante: il figlio nasce malformato, un colpo che travolge la loro vita. La tensione cresce, il dolore è imprevisto, e lui, incapace di affrontare la situazione, prende una decisione vile: scappa. In un crescendo di conflitto, prende il borsone, inizia a litigare con Susan, poi sale in macchina e se ne va. La scena è sconvolgente, il ritmo è forsennato. La macchina del marito si allontana, dietro quest’ultima un’autocisterna non coperta che disperde nell’aria una nuvola di polvere arancione.
È una donna ormai rimasta sola, troppo impegnata nel suo dolore, troppo impegnata ad avere paura di un futuro. Non vede, non bada a questo male che pervade la città. Un mostro che si propaga, nascondendosi nella necessità di sopravivenza delle classi meno abbienti.
Una cecità bifocale: da un lato, la classe operaia, accecata dai propri limiti e dalla sofferenza quotidiana; dall’altro, la classe dirigente, intrappolata nel proprio ego, incapace di guardare oltre se stessa.
Solo lo spettatore, grazie alla macchina da presa, ha la piena consapevolezza del crimine in atto.
Toxic Town non si limita a raccontare un disastro ambientale che ha stravolto le vite delle famiglie di Corby, ma ci espone un concetto profondo sulla società: il male è intorno a noi, si insinua silenziosamente nelle nostre azioni quotidiane, e si muove nell’indifferenza che pervade le nostre scelte. La cecità non è solo fisica, ma anche morale.
