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Conversation

‘Follemente’ conversazione con Paolo Genovese

Con 'Follemente' Paolo Genovese consolida la sua idea di cinema come meccanismo di coinvolgimento e identificazione

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paolo genovese follemente

Follemente di Paolo Genovese porta avanti un’idea di cinema che mette lo spettatore di fronte alle proprie fragilità. Talvolta venendoci a patti, altre volte, come nel caso di Follemente, superandole. Dal successo al box office nazionale al tour nelle sale di tutta Italia, con Paolo Genovese abbiamo parlato del senso del film ma anche dei meccanismi che lo rendono così vicino ai gusti del pubblico.

Follemente è prodotto da Leone Film Group con Rai Cinema e distribuito da 01 Distribution (qui il trailer)

Paolo Genovese e il suo Follemente

Il cinema d’autore ha nelle sue caratteristiche quella di sviluppare di film in film la propria poetica. Nei tuoi lungometraggi questo è molto evidente, ma in Follemente mi sembra richiamare da vicino modalità che da Perfetti sconosciuti in poi sono diventate quasi una costante. Penso per esempio all’unità di spazio e di tempo individuato dal condominio come luogo principe della vita comune.

Guarda, sicuramente c’è un filo rosso che unisce i due film. Al di là dell’ambientazione c’è il fatto che l’esplorazione delle coppie avviene attraverso il filtro di un luogo che di solito è inaccessibile agli altri. In Perfetti Sconosciuti erano i cellulari, qui è la mente, due elementi che oggi sono quasi coincidenti perché molte cose che abbiamo nella mente finiscono nella sim dei nostri telefoni. Forse la mente è ancora più inaccessibile perché non c’è un pin per sbloccarla. Insomma, la costante è l’idea di avere questo punto di vista privilegiato che solo il cinema ti può dare perché nella realtà questo non potrebbe succedere.

Nelle prime inquadrature di Follemente, così come succedeva in Perfetti Sconosciuti, emerge il desiderio dei personaggi  di lasciare il mondo fuori dalle loro vite per liberarsi dai limiti imposti dalla società. Da qui la dialettica tra la norma e il suo contrario presente in entrambe le storie. 

Quello che dici è assolutamente vero. Tant’è che se dovessi riscrivere Follemente eliminerei la parte iniziale iniziando la storia dall’ingresso di Piero nella casa di Lara perché entrare subito in un micromondo escludendo il resto dalle immagini diventa ancora più simbolico e rappresentativo di quello che si vuole narrare.

follemente paolo genovese

Il luogo

Peraltro il condominio come luogo della storia e l’amore come fattore scatenante dei rapporti umani fanno riferimento a qualcosa che conosciamo da vicino e con cui è più facile riconoscersi.

A me piacciono molto i condomini con tante abitazioni, sul tipo di quello filmato da Alfred Hitchcock ne La Finestra sul Cortile. Per un certo periodo della mia vita ho abitato anche io in uno simile a quello. Dalla cucina vedevo decine e decine di finestre, di luci, di vite che mi salvano il cuore e mi affascinavano per la possibilità di condividere ritmi e incontri all’interno di quello spazio.

La vita pulsante all’interno del condominio è sintetizzata dalla sequenza delle luci di casa che Lara accende e spegne alla ricerca della giusta atmosfera.

C’è una vita pulsante e una vita condivisa, perché quelle luci che cogliamo attraverso gli occhi di Piero chiunque le può vedere, come ognuno di noi può sentire il brusio di sottofondo, una televisione accesa, un bambino che strilla. Insomma, nel condominio ci sono dei rumori che rappresentano la vita.

Il cinema di Paolo Genovese con e oltre Follemente

Il realismo delle tue ultime commedie è mediato dall’introduzione dell’elemento fantastico che tu adoperi come faceva Fellini che arriva alla verità dell’esistenza tradendone il principio di realtà.

Un po’ sì, nel senso che a volte è come fare un passo di lato e guardare il mondo con un punto di vista contaminato da un pizzico di surrealtà. Poi se tu riesci a fare un patto con lo spettatore all’inizio, facendogli accettare quella piccola magia, allora poi la visione ha qualcosa di magico, di interessante, di curioso. Per quanto mi riguarda questo non succede solo nelle commedie perché per esempio ne Il primo giorno della mia vita devi accettare il fatto che c’è un uomo che forse è un angelo e che ha dei poteri. Lo stesso si può dire per The Place e in parte per Immaturi con l’incubo di rifare l’esame di maturità che poi diventa realtà, ricollegando la fantasia alla vita quotidiana. Aggiornare sempre il punto di vista ti permette di ancorarlo ai cambiamenti della società e dunque di dare nuova linfa a tematiche che per forza di cose tendono a ripetersi.

Il tuo è un cinema coraggioso perché non ha paura di sfidare i limiti imposti dal fatto di ambientare le tue storie in un interno. Come già altrove anche in Follemente la restrizione dello spazio e la volontà di superarne i limiti fisici diventa uno stimolo creativo.

Lo spazio circoscritto è uno sprone alla scrittura. Io a volte ne ho bisogno, nel senso che quando il contenitore rimane sempre lo stesso sei costretto a fare a meno della varietà di immagini, di musica, di scenografie che il cinema ti mette a disposizione. A differenza di un film come Supereroi girato a Copenhagen, Marrakech, Milano, Follemente mi ha permesso di preoccuparmi solo della scrittura e di niente altro. Questo per me è uno stimolo, ma anche un rischio perché in un film di parole e attori se la sceneggiatura non funziona non va da nessuna parte.

La sceneggiatura

Quella di Follemente è una sceneggiatura regolata da un meccanismo a orologeria perfetta nel rendere lo sviluppo di un sentimento amoroso che nasce, si sviluppa e arriva a compimento in maniera naturale e non programmatica. In questo senso lo spazio circoscritto è in qualche modo garante della coerenza di questo processo o dunque un aiuto per farti rimanere attaccato all’essenza della storia oppure no?

No, anzi, lo spazio circoscritto rende difficile mantenere questa coerenza perché quando con le parole arrivi ai vari snodi della sceneggiatura non avendo cambi scena o di location puoi essere tentato a proseguire la strada data perché funziona. Follemente ha una parte finale che può piacere o meno, ma che comunque abbandona il divertimento continuo della prima parte per affrontare una riflessione anche profonda, seppur condotta sempre con i toni della commedia. Quando vedi che in termini di scrittura e di risate funziona tutto la tentazione è quella di andare avanti fino alla fine con quel registro, senza cambiare. Anche Perfetti sconosciuti nella seconda parte diventa un dramma e questo non è facile quando si lavora in un unico ambiente. È un passaggio molto delicato perché avendo a che fare con il tempo reale, con la stessa location e i medesimi protagonisti, scivolare dalle risate che riempiono la sala al dramma vero e proprio – come succede in Perfetti Sconosciuti e nel confronto delle parti in Follemente -, è più difficile perché non hai salti di tempo, salti di persona: soprattutto non hai quegli strumenti cinematografici che ti permettono di fare una cesura con quanto hai raccontato fino a quel momento per poi andare oltre. Io non amo parlare di film teatrali perché secondo me non vuol dire nulla, ma in questo tipo di film in cui il tempo della storia equivale a quello dell’azione reale i passaggi di tono sono molto più difficili. Quindi per rispondere alla tua domanda, in questo tipo di film la coerenza generale è molto più complicata.

In un film come Follemente i dialoghi sono nevralgici non solo perché concorrono a creare il ritmo interno del film, ma anche per il compito di arrivare allo spettatore in maniera da guidarlo all’interno della storia. Quelli di Follemente soddisfano questi requisiti in maniera brillante. Come ci sei riuscito?

Grazie per i complimenti. Difficile rispondere. Ti posso dire che dedico tantissimo tempo alla sceneggiatura, forse anche in maniera un po’ maniacale, nel senso che il dialogo lo rileggo all’infinito, cambio una parola, cambio un aggettivo, un avverbio, lo recito ad alta voce. In un film il lavoro più grande lo faccio sulla scrittura e probabilmente la reiterazione continua di quel processo paga. L’ultima stesura di un copione, soprattutto quelli di Perfetti Sconosciuti, The Place e Follemente, è decisamente diversa dalla prima, mentre per film con più ampio respiro, penso a Tutta colpa di Freud, a Supereroi, a Il primo giorno della mia vita, la concentrazione è più sul susseguirsi delle scene, quindi sul senso che l’immagine può dare al film. In quel caso i dialoghi subiscono meno cambiamenti. Quando il lavoro è impostato solo sui dialoghi hai la consapevolezza che se quelli non funzionano devi buttare via il film. Un’opera come La parola ai giurati non ti stanchi mai di rivederlo e quando arrivi alla fine vorresti che continuasse. Al contrario ci sono film dello stesso genere da cui dopo solo mezz’ora stacchi completamente ed è finita la storia.

Scrittura e immagini

All’immagine affidi il compito di ingaggiare lo spettatore per farlo sentire da subito a suo agio all’interno del film. Ciò non toglie che il punto di forza del tuo lavoro risiede nella scrittura perché è lì che nasce la tua visione. A dirlo è anche il fatto che molti dei tuoi film sono la conseguenza di un libro che hai scritto in precedenza.

Hai colto perfettamente nel segno. Non mi sento un romanziere perché essere veri scrittori è un’altra cosa. Io ho cominciato a scrivere libri nel momento in cui facevo fatica a concentrarmi sulla sceneggiatura. Col tempo ho capito che la scrittura di un romanzo diventava per me un modo per scrivere tutto il film, comprese le parti visive. Il romanzo è fatto di parole per cui si pensa che una volta sul set diventi un’altra cosa invece per me raccontare il film senza le immagini mi fa arrivare alla stesura della sceneggiatura come se avessi già girato il film.

Qualunque autore o regista, senza eccezioni, se potesse rigirare o riscrivere un film già uscito cambierebbe sempre qualcosa. Scrivere un romanzo per me è come girare un film che però ho la possibilità di correggere quando vado sul set. In sostanza è come se lo girassi due volte.

La scenografia di Follemente di Paolo Genovese

In Follemente le scenografie concorrono a raccontare il fuori campo che per forza di cose rimane escluso dalla narrazione dialogica. Penso per esempio a come avete diversificato gli ambienti relativi alle emozioni dei protagonisti: quelle maschili caratterizzate da una dimensione pragmatica e burocratica e dunque organizzata come una sorta di archivio, quelle femminili in cui armadi e cassetti sono sostituiti da librerie piene di libri.

In questo film l’idea molto semplice e basica era di connotare visivamente e in maniera diversa le due teste, quella dell’uomo e della donna. Premesso che non era nostra intenzione dare al primo un’accezione negativa e alla seconda una positiva, entrambe dovevano far sentire la stratificazione degli anni tipica della vita vera. Con lo scenografo ci siamo detti che il cervello doveva essere una casa lontana dalle immagini asettiche che si vedono nelle riviste di design, ma un luogo dove si sono accumulati ricordi, cose e suppellettili. Per differenziarle ci siamo rifatti all’età dei protagonisti. A quella di lui, più vecchio di una quindicina d’anni, abbiamo dato un tono più vintage e disordinato mentre per quella di lei abbiamo pensato a un tono più fresco, frutto di un numero minore di ricordi.

Però per esempio la casa di Lara è piena d’oggetti proprio perché la loro presenza concorre a farla sentire meno sola.

Sì, in qualche modo è lei stessa a dircelo quando parla della funzione che hanno per lei i mobili. Sappiamo che Lara ha questo negozio di mobili vintage in cui il lavoro di restauro diventa come per molti un modo per non pensare ai problemi della vita. Di quei mobili si circonda cercando di immaginarne le storie e instaurando con loro un rapporto simile a quello che avrebbe con gli esseri umani.

Senza farne il suo vessillo mi sembra che Follemente sia un film che in qualche maniera prova a superare gli schemi imposti dal #MeToo perché a differenza di quanto si vede in molti film americani il confronto uomo-donna propone una dialettica che porta a superare le differenze contemplandole nel medesimo spazio.

Il confronto uomo-donna c’è sicuramente, ma mentre quello del #MeToo è un rapporto patologico, quello presente nel film è invece fisiologico. È vero che in questo momento il rapporto tra i sessi sta cambiando velocemente. C’è uno spiazzamento sia maschile che femminile che ci spinge a ridefinire i comportamenti per cosa è giusto fare e cosa no. Senza voler essere un trattato teorico e con la leggerezza della commedia Follemente vuole ricordare che siamo tutti quanti in questa confusione, quella in cui non si sa chi tra uomo e donna deve versare il vino al ristorante, oppure se pagare il conto vuol dire essere maschilista o se farlo pagare a lei fa di te un approfittatore. Ridere dei nostri difetti come faceva la commedia degli anni settanta penso aiuti a farci sentire meno soli.

Un film (non) teatrale

Abbiamo in parte accennato al fatto che ogniqualvolta un film è ambientato in un unico ambiente c’è la tendenza a definirlo di stampo teatrale. Il fatto che i tuoi non vengano percepiti così pensi possa dipendere dalla presenza di attori abituati a lavorare in prevalenza nel cinema? Qual è la tua idea?

Sì, può essere che questo concorra a formare un certo tipo di percezione però penso che la differenza fondamentale tra la sensazione teatrale e quella cinematografica dipenda da quanto più il regista attraverso le inquadrature e dunque attraverso il montaggio, riesca a guidare lo spettatore facendogli vedere quello che vuole. Il teatro è un unicum, tu vedi e ti concentri su quello che vuoi. Nel cinema se voglio fare un primissimo piano costringo lo spettatore a vedere gli occhi lucidi della protagonista. Se faccio un totale obbligo lo spettatore a mettere in relazione la protagonista o il protagonista con l’ambiente e con gli altri. Se voglio fare un dettaglio lo costringo a guardare un determinato  oggetto. In Follemente penso che il montaggio e la grandissima quantità di inquadrature crea un ritmo cinematografico a cui lo spettatore si abbandona facendosi portare per mano dallo sguardo del regista.

Nelle proiezioni a cui ho assistito la sala era per la maggior parte occupata da un pubblico femminile. A questo proposito ti chiedo se Pilar Fogliati oltre a essere molto brava aveva la caratteristica di non entrare in competizione con le donne e dunque di essere l’attrice ideale per il pubblico del tuo film?

Questo è un buon tema perché ho sempre pensato che esistono attrici molto belle che non entrano in competizione con il proprio sesso e altre che lo sono altrettanto che invece scatenano una certa ritrosia. La morbidezza di Pilar e il suo atteggiamento da anti diva nel lavoro e nella vita la portano a non entrare in contrasto con le altre donne. C’è poi un altro elemento a suo favore, e cioè che lei pur essendo bella è anche molto buffa e divertente in senso positivo e questo genera un’inconscia simpatia da parte del pubblico sia maschile che femminile.

Paolo Genovese oltre Follemente

Parliamo del cinema che ti piace.

Apprezzo il cinema che ha la sua originalità nell’idea di fondo. Per questo ho amato molto Emilia Perez. Più in generale cerco un punto di vista originale, anche surreale, che però deve essere sempre credibile. Per questo ogni volta che il film fa un patto con me sono disposto a credergli sospendendo qualsiasi tipo di incredulità. Mi piace molto il cinema delle idee e ovviamente anche quello dei sentimenti. C’è stato un momento in cui gli Stati Uniti sfornavano commedie molto emozionanti ma anche ricche di idee. Ora purtroppo succede un po’ di meno.

Follemente

  • Anno: 2025
  • Durata: 98'
  • Distribuzione: 01 Distribution
  • Genere: commedia
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Paolo Genovese
  • Data di uscita: 20-February-2025