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‘The Substance’, la riuscita di un body horror POP
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1 mese agoon
The Substance è un body horror del 2024, scritto e diretto da Coralie Fargeat. Vince il Prix du Scénario al festival di Cannes, e concorre per la Palma D’Oro. Agli Oscar 2025 viene presentato con diverse candidature tra cui miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior attrice protagonista, e vince il miglior trucco.
“Ad ogni età possiamo trovare qualcosa di sbagliato in noi, che ci fa sentire dei mostri”
– Coralie Fargeat
The Substance: la scelta della fantascienza
Con queste parole la regista di The Substance, Coralie Fargeat, racchiude ciò che salta subito all’occhio nel film.
Siamo spettatori crudeli, tutti noi. Questo è il patto su cui si fonda l’efficacia del body horror e di The Substance in particolare: crudeli perché non ci sembra estraneo che una donna di cinquant’anni, per quanto bella, rimpianga la sua giovinezza. Siamo cittadini del suo stesso mondo, figli della stessa società. E in fondo, anche se possiamo ripudiare questo pensiero, sappiamo cosa significa l’ossessiva ricerca della perfezione, della versione migliore di noi.
Possiamo, nella migliore delle ipotesi, non essere schiavi delle dinamiche che racconta The Substance, ma non ne siamo lontani.
La scelta di Fargeat di utilizzare la fantascienza è azzeccata e chiara. Ce lo hanno insegnato gli antichi popoli che le metafore, i miti, nel loro essere extra-ordinari, hanno più chiarezza. Se cerco un momento di filosofia, di denuncia, perché non affidarmi allo strumento più vicino che è quello del metaforizzare e dell’estremizzare gli attori della mia storia, che diventano portatori di concetti oltre che personaggi? E la scelta di questa operazione è valsa a Fargeat il PRIX DU SCÉNARIO al festival di Cannes.
Nel body horror, questi concetti non solo ci appaiono chiari, ma ci scandalizzano e ci turbano come ogni trasmissione efficace di un pensiero scomodo: siamo noi i primi carnefici del film.
The Substance: Il paradosso dell’onnipotenza
Fargeat ha chiaro cosa vuole raccontare. Lei stessa dichiara di aver vissuto la condizione di chi non riesce ad accettarsi con il passare del tempo. Ma The Substance non parla di vecchiaia, parla della violenza che genera la rabbia dell’essere impotenti di fronte a se stessi, e della folle battaglia, persa già in partenza, contro l’impotenza. Ce lo insegnava Icaro: a volare troppo alto, ci si brucia.
Eppure cadiamo sempre nella ricerca di un paio di ali che ci possano almeno staccare da quel suolo di insoddisfazione su cui stiamo marcendo: questo racconta Demi Moore nella sua interpretazione.
Scomodiamo i greci perché nel film riecheggia il paradosso dell’onnipotenza: essere onnipotenti ci porta a creare qualcosa di migliore di noi, e che dunque ci riduce, ci distrugge. Il paradosso dell’onnipotenza ci racconta che nella stessa struttura logica non possono coesistere una certa affermazione e la sua stessa negazione, così come in uno stesso corpo non possono coesistere l’essere imperfetto e la sua versione perfetta.
Non si vince con l’illusione
Maestri del genere come Cronenberg, Yuzna, Carpenter, hanno condito il nostro immaginario con corpi mutilati da ideologie, ossessioni, ed il body horror è la metaforizzazione di dissidi interiori che diventano divoratori di carni. Il vero antagonista in questo film non è la bellissima e giovanissima Margaret Qualley, che soccombe altrettanto miseramente. Il vero antagonista è il desiderio, sbagliato. Possiamo avere successo finché i nostri desideri sono alla nostra portata, ma dentro al liquido che Demi Moore si inietta scorre solo illusione, e con l’illusione non si vince, soprattutto perché nelle storie vere, reali, non si vince facile.
Il film ci delizia con colori e montaggi di un cinema pop, che risulta trascendentale, come già in Neon Demon aveva fatto Refn: questo tipo di film-bomboniera che contengono orrori generano in noi spettatori un continuo e adrenalinico entusiasmo visivo che ci fa tornare all’esperienza filmica più vera, quella che prima di sfamare il pensiero, sfama la vista.
E sulla vista, Fargeat, non ci risparmia nulla. I corpi si distruggono, sangue e viscere fuoriescono, e l’essere mostro sembra totalmente abbandonato dal fiabesco per fare spazio al turbamento del possibile. La fantascienza non racconta l’irrealtà, ma gioca con noi visivamente sulle parti più estreme di una realtà che è a noi comprensibile e familiare: questo è il patto. Questo colpisce di The Substance: non dover ricorrere ad ornamenti nemmeno nei dialoghi, ma rimanere in un crudo minimalismo che fa dell’estetica il suo alleato principale.
“La gente spesso mi domanda se i miei personaggi sono caricature, e il mio primo istinto è di rispondere “sì”. Poi ci penso e dico “no, non sono caricature”. Purtroppo loro sono comportamenti che sono sempre esistiti e continuano ad esistere. Qui, vengono semplicemente messi in evidenza e rappresentati apertamente, cosa che nella vita reale non è sempre così ovvia ed esplicita”.
– Coralie Fargeat –
Una resa estetica sapiente
The Substance è da vedere per la sua concretezza, per il divertimento distorto della nostra condizione di spettatori dell’estremo inteso come qualcosa di conosciuto e non alieno. Demi Moore è mostro in quanto diventa la versione peggiore di sé, non nel suo costume cinematografico. E in un panorama che si sta aprendo nuovamente all’esplorazione dell’horror in ciò che conosciamo, The Substance riesce a farlo con una competente e ben studiata resa estetica. Il pop non stanca mai, e l’horror, quando fatto su basi concrete, risulta terribilmente efficace.
Ma è questo il gioco: essere pronti a sedersi su una poltrona al buio ed essere entusiasti di avere paura di noi stessi, mentre scorrono immagini che turbano i nostri sensi con maestria.
Il film è stato distribuito in Italia da I Wonder Pictures
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