Mubi Film
‘La Antena’ Il silenzio che grida ribellione
Cinema distopico che si rifà al linguaggio visivo di Georges Méliès
Published
1 giorno agoon
La Antena, un film che si muove tra mutismo e suono, tra incubo distopico e sogno utopico, fino alla reinvenzione del passato cinematografico. Un cinema che attinge dal linguaggio visivo di Georges Méliès e dall’espressionismo tedesco, attraverso un immaginario retro-futurista capace di criticare il potere mediatico. La Antena è ora su MUBI. É stata presentata per la prima volta all’ International Film Festival Rotterdam. Diretta da Esteban Sapir, il costruttore di una realtà in cui la voce e la parola contano più che mai. Tutto questo attraverso un imponente storyboard di oltre tremila inquadrature, realizzate in cinque mesi lavorativi.
Il mondo senza voce
Come può il controllo mediatico portare alla spersonalizzazione dell’individuo? Attraverso l’oppressione, più precisamente attraverso il furto della voce dei cittadini. È così che il dittatore Señor TV, interpretato da Alejandro Urdapilleta, riesce a detenere il controllo assoluto, lasciando la popolazione muta e dipendente dalla televisione. Le parole, un tempo strumenti d’identità e comunicazione, divengono oggetti fisici in grado di sorgere visivamente sullo schermo, senza emettere alcun suono. Una scelta visiva geniale, che rappresenta al contempo una potente metafora del controllo mediatico e della conseguente spersonalizzazione dell’individuo.
Togliere la voce non significa esclusivamente la privazione della capacità di comunicare, ma anche la limitazione del pensiero critico, che rischia di estinguersi, insieme alla possibilità di ribellione. Il film suggerisce che il silenzio imposto non riguarda solamente la parola, ma si estende alla mente stessa, divenendo la società muta, incapace di immaginare alternative. Risucchiata in un mondo in cui la televisione trasmette messaggi ipnotici e monolitici, dove il pensiero libero viene sostituito da una narrazione unica e totalizzante.
“L’unica cosa che può fermarci è la seconda voce”
Una dichiarazione mossa dalla paura, minaccia per l’intero sistema, che teme il risveglio del pensiero critico.
I sottotitoli come strategia narrativa
Uno degli aspetti più innovativi del film è l’utilizzo dei sottotitoli, non come semplice supporto alla narrazione, ma come elementi attivi della messa in scena. Le parole si muovono, interagiscono con i personaggi, si deformano e si cancellano. In una scena, il fumo di un sigaro si trasforma nella lettera “O” di una parola; in un’altra, le dita formano una “V” per completare la scritta “voz” (voce). Espediente che non rappresenta esclusivamente un gioco visivo, ma un modo per ribaltare la subordinazione dell’immagine alla parola tipica del cinema sonoro, dove le immagini generano le parole, e non viceversa.
Anche la struttura stessa del film suggerisce un vortice, un movimento ciclico che inghiotte i personaggi e lo spettatore. Il logo di La Antena richiama un turbine, un’onda che si propaga. Simbolo che si riflette costantemente all’interno della trama, in una città che sembra girare in un loop costantemente oppresso.
Un’estetica che sovverte il tempo
Sapir costruisce La Antena attraverso un’estetica in grado di richiamare il cinema delle origini: il bianco e nero, le inquadrature fisse, l’uso di iridi e tendine, gli effetti ottici e infine l’animazione delle parole. L’influenza di Méliès si manifesta nella teatralità delle scene e attraverso l’utilizzo di trucchi cinematografici artigianali, mentre l’ombra dell’espressionismo tedesco si staglia nelle scenografie artificiali, che ricordano le visioni di Murnau.
Questa estetica è lontana da qualsiasi velleità nostalgica. È un’operazione consapevole, che reinterpreta il passato per sovvertire le convenzioni del cinema moderno, dominato da logiche commerciali e da una crescente dipendenza dall’effetto realistico. La Antena non vuole ingannare lo spettatore attraverso la simulazione del reale, ma immergerlo in un universo visivo che è, al tempo stesso, familiare e alienante. Qui la messa in scena diviene un vero e proprio atto di resistenza.
Il ratto come simbolo di minaccia e degrado
Uno dei personaggi più inquietanti di La Antena è sicuramente l’Uomo-Ratto interpretato da Raúl Hochman, una figura oscura che si aggira nella città distopica, incarnando il lato più subdolo del regime. Il ratto, nella cultura occidentale, viene difatti spesso associato alla peste, alla sporcizia e al degrado sociale, rappresentando la figura dell’antagonista per eccellenza.
Come sottolinea Pauline Delahaye all’interno del suo studio sulla percezione dei ratti nelle città,
“Quando si parla di ‘ratti’, si parla di un ‘ratto simbolico’, che porta con sé tutti i valori semiotici, simbolici ed emotivi più negativi”
La scelta del regista di mettere in scena questo personaggio enfatizza dunque la natura parassitaria del potere, che si nutre della paura e della sottomissione altrui. L’Uomo-Ratto non rappresenta unicamente una figura minacciosa, bensì un promemoria dell’insidiosa capacità del sistema di infiltrarsi in ogni angolo della società.
La critica al capitalismo mediatico
Se Metropolis di Fritz Lang mostrava una società divisa tra élite e lavoratori ridotti a ingranaggi della macchina industriale, La Antena aggiorna questa critica all’era del consumismo e della comunicazione di massa. I cittadini vengono nutriti con biscotti industriali, i cosiddetti “Alimentos TV”, il cui impasto è prodotto con parole rubate. Una scena che rappresenta il ciclo di produzione-consumo, una trappola senza uscita, che rielabora la critica marxiana al capitalismo, dove il linguaggio stesso diviene merce ed il consumo si autoalimenta in una spirale senza fine.
Ma la speranza non è del tutto soffocata, c’è ancora una seconda voce capace di spezzare il silenzio ed è quella di un giovane (Valeria Bertuccelli), colui che non è ancora stato piegato, che non ha ancora interiorizzato la dittatura del suono imposto. Rappresenta il segno che un altro futuro possa essere possibile, che le nuove generazioni possono ancora sottrarsi al vortice e riscrivere una realtà differente.