Torino, Cinema Massimo, Seeyousound sono alla seconda proiezione del documentario tributo ai Mogwai girato da Antony Crook, fotografo e regista newyorkese di origini inglesi, loro collaboratore di lunga data. L’anteprima è andata sold out come ci racconta Alessandro Battaglini, curatore della sezione Into the Groove. Il festival giunto alla sua undicesima edizione ha visto un successo di pubblico costante, indice ormai che in epoca avvolta da crisi economiche, sociali ma soprattutto culturali, le persone in sala si consolidano come i veri finanziatori di questo piccolo e pulsante gioiello di cinema dedicato alla musica di qualità. Ed è proprio in questa epoca di luci e ombre che i Mogwai segnano una linea di militanza emotiva che non li ha mai abbandonati, scegliendo un più puro contenuto indipendente a discapito delle lusinghe pop delle grandi case discografiche di oltre manica, creando su di loro una credibilità assoluta.
Erano gli anni dei colori abbaglianti dei My Bloody Valentine e il rumore bianco dei Sonic Youth
Eravamo sul finire degli anni ’90, in una Glasgow in pieno fermento artistico, quando la Chemikal Underground, grazie allo sguardo attento dei Delgados e John Peel, decise di firmare l’esordio di Mogwai Young Team (che nel 2018 diventerà anche una squadra giovanile della scuola elementare Saint Roch di Roystonhill, un distretto della città di Glasgow sponsorizzata dagli stessi Mogway).
Nel documentario le testimonianze di produttori, artisti e musicisti e semplici fan diventano il collante come per Come on die young fu il crepuscolare abbraccio dei Mogwai.

Se le stelle avessero un suono sarebbe quello dei Mogwai
Il “do it self” tipico di Stuart Braithwaite e soci li ha da sempre messi in connessione con un seguito di persone che prima di tutto sono stati fan affascinati dal loro sound calmo, intimista, nostalgico, nervoso, minimale che da sempre ha accompagnato chi li ascolta in un caleidoscopio di emozioni che si adatta perfettamente alla ricchezza e complessità dell’animo umano.
Nel documentario ascoltiamo un appassionato Alex Kapranos dei Franz Ferdinand ricordare come, folgorato dal loro talento, fu il primo ad invitarli a suonare dal vivo al 13th Note Café di Glasgow, riconoscendo in quel rumore infinito dei loro feedback stordenti il tramite magico e perfetto per esprimere l’anima taciturna della scena dell’epoca.
Una suadente voce radiofonica della BBC, sullo scorrere di un paesaggio urbano di Glasgow invita il pubblico ad acquistare e ascoltare il nuovo disco As the love continues e far si che dopo 25 anni, un disco indipendente e la band conquisti il primo posto della classifica inglese.
Dietro di loro, oltre la band rap Ghetts, che con una rumorosa azione di marketing con un carro armato gira il centro di Londra, ci sono dieci album in studio, infiniti live, una pandemia che li ha costretti a registrare isolati in uno studio nel Worcestershire, ma soprattutto le testimonianze che fanno sì che questo amore continui.
Sulle note di Dry Fantasy si susseguono le voci di due fans che con la musica della band hanno vissuto, pianto, creato legami, sciolto crisi esistenziali, e ripoterli abbracciare dal vivo è l’unica certezza per riprendere a vivere.

To The Bin My Friend, Tonight We Vacate Earth
Un impatto emotivo che va ben oltre hai risultati di vendita dei dischi, delle classifiche o delle recensioni patinate sulle pagine di giornali e riviste. È chiaro che questo è il segreto del legame intimo e viscerale tra il gruppo e il suo pubblico.
Le immagini si susseguono rapide, deflagrandosi spesso nello spazio circostante, nelle loro esibizioni, nei suoni, nelle testimonianze, in qualche intervista sparsa nel tempo spesso audio, tante le luci stroboscopiche e gli intrecci sonori, periferie urbane, inquadrature sgranate, momenti decontestualizzati come in un rumore in costante divenire, a tratti schizofrenico, che è Mogwai, commovente, irrinunciabile.
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Editing Giulia Radice.