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Approfondimento

Edward Berger: decostruire il potere

Il regista tedesco ha una predilezione per la critica alle istituzioni. Nell’archetipo della guerra o in quello religioso, Berger cerca di ricostruire il genere incuneandosi nella modificazione della struttura-film

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Edward Berger

Edward Berger, candidato alla 97ª edizione dei Premi Oscar con ben otto candidature per il suo Conclave, nei suoi tre film (Jack, Niente di nuovo sul fronte occidentale e in ultimo nel film con Ralph Fiennes ), sottolinea con una certa arguzia non solo come i contenitori sociali e istituzionali siano, secondo la sua visione, alterati, ma soprattutto l’instabilità come diretta conseguenza della metamorfosi delle leggi etiche che regolano la nostra società. Che si tratti di religiosi corrotti, soldati avvelenati dal mito dalla patria o di minori rinchiusi dai servizi sociali, Berger instilla nello spettatore l’idea di perdita della morale pubblica e della mancanza di etica, proprio in quelle istituzioni che dovrebbero custodirle.

Jack, alla ricerca del bambino perduto – Edward Berger

Nel 2014 la prima opera di Edward Berger si ottiene il plauso della Berlinale sfiorando la vittoria dell’Orso d’oro. Il suo film d’esordio è il ritratto desolato di un bambino alla disperata ricerca della propria madre in una Berlino apparentemente accogliente, ma in realtà fredda e spietata nei suoi meccanismi burocratici. In Jack Berger tratteggia la fisonomia del bambino-adulto che ha sulle proprie gracili spalle tutto il peso della famiglia finché un evento, un incidente d’auto, non lo mette dentro le mani crudeli e spietate dei servizi sociali.

Già nella sua prima opera Edward Berger cerca di giocare con i generi passando dal neorealismo al road movie adolescenziale, caratteristica che si ripeterà con una certa evidenza nei suoi successivi film. Jack rappresenta per Berger l’opposizione al potere costrittivo, che il giovane protagonista contrasta mettendo in pratica una dinamica dell’azione spostandosi col suo fratellino da un posto all’altro di Berlino, da club notturni a piccoli ristoranti di doner kebap.

Molto vicino a Ladri di biciclette di Vittorio De Sica e a Alice nelle città di Wim Wenders, in Jack Berger si sofferma, con lo sguardo innocente dell’infanzia, sulla prigione delle istituzioni a cui il bambino tedesco si ribella provando a riunire la famiglia oltre l’asettico consenso della burocrazia berlinese.

La guerra giusta e ingiusta – Edward Berger

È però con Niente di nuovo sul fronte occidentale che Edward Berger si fa notare sul palcoscenico internazionale. Il suo secondo film, da outsider estero diventa uno dei titoli più importanti verso la corsa per gli Oscar del 2023 con ben 9 candidature, vincendo i premi per miglior fotografia, scenografia, colonna sonora e film internazionale. Niente di nuovo sul fronte occidentale è un’opera strana e contradittoria sul piano estetico per come si destreggia tra il war movie classico e l’acido thriller politico. Berger inizia qui la sua decostruzione istituzionale prendendo lo scenario militare e sottolineando l’atrocità della guerra usando gli occhi dei soldati, armi e vittime sacrificali di un terreno di gioco di cui non fanno parte.

Per il regista tedesco la guerra moderna non prevede eroismi e il suo scopo è quello di smantellare continuamente la struttura propagandistica dei soldati-ragazzi, strappati volontariamente alla propria vita per quell’idea di patriottismo che il futurista Tommaso Marinetti definisce estetizzazione della guerra. In fondo la guerra è bella proprio visivamente con i suoi carri armati, i suoi lanciafiamme, le sue flotte che certificano la supremazia visiva dell’uomo sulla macchina, in un ideale che mantiene il popolo unito.

E Berger per tutto Niente di nuovo sul fronte occidentale contrasta il positivismo guerrafondaio ponendo Paul, il giovane arruolato protagonista, dinnanzi all’idealizzazione della propaganda che man mano deve fare i conti con la realtà di essere solo una merce, un numero in mano ai generali dell’Alto comando tedesco. Recuperando e nel contempo contrastando il filone Why We Fight di Frank Capra, Edward Berger delinea il crollo psicologico dei soldati e la verità davanti agli orrori della guerra. In un documento di finzione e di cruda realtà che ha come drammatica constatazione la fissità delle trincee, sempre immutabili e in continua ripetizione.

La scacchiera del Vaticano – Edward Berger

In Conclave, con Ralph Fiennes e Stanley Tucci, Edward Berger sviluppa il più interessante incrocio tra i generi. Dopo la morte del Papa deve essere eletto il suo successore e il cardinale decano Lawrence, interpretato da Fiennes, deve giostrarsi tra trame e sotto-trame politiche che nulla hanno a che fare con i principi religiosi. Berger fa muovere il cardinale protagonista dentro un thriller-giallo in cui Lawrence veste i panni dell’Hercule Poirot di Agatha Christie. Nella scrittura di Edward Berger la fede è piena di dubbi e incertezze in un una lotta all’ultimo voto che trasforma il Vaticano nella stanza dei bottoni più feroce che si possa immaginare.

Dopo la critica militare del suo precedente film, il regista tedesco si occupa di scandagliare stereotipi politici rappresentati da cardinali abbastanza distanti dalla morale propria di comuni uomini di Chiesa. Conclave, a suo modo, rappresenta una trilogia bergeriana del potere; il militare, le istituzioni dello stato berlinese e di quello Vaticano, nella propria asprezza documentale sono accomunate da un personaggio osservatore, che in questo caso è il cardinale Lawrence, unico tassello immacolato, come lo erano il bambino in Jack e il soldato-ragazzo in Niente di nuovo sul fronte occidentale, di un contrasto all’immoralità delle istituzioni. Nei film di Berger quindi si riscontra sempre quell’archetipo osservatore e indagatore della cruda realtà del potere, condannato a rimanere in balia degli eventi e della mancanza di etica istituzionale.

Edward Berger, decostruendo la classicità dei generi, nei suoi tre film mette in luce le fragili fondamenta del potere. Nel suo cinema ogni regola non è mai insindacabile, rivelando l’instabilità di un potere forte solo nelle sue apparenze.