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Taxidrivers Magazine

Master Blaster all’Italian Horror Fest

Incursioni nella cultura metropolitana. Rubrica a cura di MASTER BLASTER

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La camera delle bestemmie, nuovamente agibile grazie al refrigerio di Settembre.

Colonna sonora: “Liar” dei Sex Pistols.

Ok, ci risiamo!

Dopo tanto tempo, anche stavolta non so come iniziare l’articolo. E non perché le cose da dire siano poche, anzi semmai il contrario.

Il mio imbarazzo deriva dal fatto che per la terza volta consecutiva mi trovo a dover parlare di cinema nella mia rubrica, dopo aver detto il mese scorso che per un po’ mi sarei occupato di altro, e quel che è peggio, con la consapevolezza che anche il prossimo mese mi toccherà sconfinare nell’argomento, per un incontro che avevo promesso e preventivato da molto tempo.

So di non essere credibile, ma non lo sono mai stato e immagino che non servirebbe a niente dirvi che non è colpa mia: avevo infatti già preso accordi per un’intervista ai Bone Machine, quando sulla plancia dei contatti di Skype si accese la lucina rossa indicante un messaggio in arrivo da parte del grande capo in persona.

Il dialogo, se così possiamo chiamarlo, fu breve  – anche perché quando il demiurgo parla non è che ci siano molti margini di trattativa e qualunque protesta, proposta, invettiva, minaccia , obiezione o supplica è destinata inevitabilmente ad infrangersi sul sofistico ma granitico mantra che mette bene in chiaro quale sia il fluire naturale  delle cose nella redazione e  nell’ordine dell’universo – e si concluse con un pacato, minaccioso e intellegibile : “ma anche no….” in risposta al mio balbettio…

Appurato che la mia forza di volontà, al pari della mia affidabilità, è paragonabile a quella della gamba di un tavolino da campeggio, vi autorizzo a sputarmi nell’occhio il vostro catarro più denso, a patto che vi sbrighiate, perché adesso andiamo a incominciare.

Gli ordini pervenuti erano semplici e gradevoli, perché invece di mandarmi a seguire il Festival del Neorealismo Cingalese di Torpignattara, il grande capo, bontà sua, aveva deciso di inviarmi all’Italian Horror Fest, che quest’anno per la seconda volta ha tinto di rosso le acque antistanti il lido di Nettuno.

Confesso che probabilmente ci sarei andato lo stesso, come feci l’anno scorso, in veste di semplice spettatore, dato che partecipare ad un festival senza la responsabilità di doverlo raccontare dopo ti permette di seguirlo più serenamente, ma alla fine ho voluto io la bicicletta, quindi…pedalare!!

Appena giunto, la location mi leva subito dall’imbarazzo. Il successo avuto lo scorso anno sottrae il festival agli angusti spazi del Forte Sangallo per spargerlo su di una superficie almeno triplicata: ben due arene sulla spiaggia sono dedicate alle proiezioni che partono dal tardo pomeriggio per concludersi a notte fonda, cui si sommano vari stand di gadget, associazioni e cosplayers  ed uno spazio nel cuore storico della città per gli incontri letterari con autori e registi.

Decisamente un’organizzazione imponente, che ha fatto le cose in grande e poco ha da invidiare ai grandi festival storici che animano le piazze italiane di fine estate.

Il tutto, per usare le parole di Luigi Pastore, direttore artistico della rassegna, con il ben dichiarato scopo di crescere ancora, nel tentativo di trasformare Nettuno in una Cannes del cinema Horror e di genere.

Tra una proiezione e l’altra catturo Luigi per una piccola intervista e devo dire che accetta con lo stesso piacere che può dare una chiacchierata tra appassionati, nonostante la mole di impegni e il telefonino che non smette mai di squillare.

Una caratteristica fisiognomica che ho imparato a dare per buona seguendo i festival è che la robustezza fisica degli organizzatori è direttamente proporzionale alla loro capacità di far fruttare le risorse a disposizione e alla sagacia nel superare gli ostacoli. Anche in questo caso la mia tesi è stata confermata dai fatti, perché di ostacoli l’Italian Horror Fest ne ha dovuti superare davvero tanti. Sembrava infatti che l’iniziativa dovesse morire alla sua prima edizione, tenutasi ad Anzio, incappata nella maledizione di Cannibal Holocaust  e nell’ottusità di alcuni – e sottolineo alcuni – sedicenti animalisti che, animati da spirito inquisitorio, andarono a rovinare l’evento spaventando anche l’amministrazione pubblica.  Ignorando con un’ottusità  propria appunto della santa inquisizione, andavano a contestare un film figlio dei suoi tempi, quando una coscienza animalista era ancora lontana, colpevole solo di aver dichiarato apertamente quelle stesse cose che succedevano su ogni set,  non chiedendosi affatto quanti cavalli fossero morti nei film di Ford o in kolossal come Ben Hur.

Fosse stato solo un onesto mestierante, Luigi, come molti altri prima di lui avrebbe ceduto, invece con la testardaggine che è propria degli appassionati decise di insistere e trovò la complicità del sindaco di Nettuno Alessio Chiavetta, anch’egli cinefilo di genere.

L’anno dopo ci riprovano e infatti è un successo, le blande contestazioni di un gruppuscolo di irriducibili Torquemada  sono messe a tacere dallo stesso pubblico e non si deve nemmeno ricorrere al servizio d’ordine, presente in forze per l’occasione. L’affluenza di pubblico fu tale che i ristretti spazi della manifestazione si rivelarono insufficienti per ospitare l’odierna edizione; per questo motivo trovarne altri più consoni è stata la prima preoccupazione di quest’anno. Il target degli ospiti attirati è il secondo punto indicativo della crescita del festival che salta immediatamente agli occhi, oltre all’instancabile Sergio Stivaletti che come un pompiere dell’incubo corre con il suo staff di artisti/artigiani da una parte all’altra della penisola a supportare e nobilitare con il suo nome tutte le iniziative dedicate al cinema di genere, che in questa occasione ci regalano anche il making off del loro promettente prossimo lavoro.

Si registra l’ormai familiare presenza del maestro Deodato che, ormai rotto il tabù, non suscita più polemiche ma solo applausi.

Fa sgranare gli occhi l’arrivo a sorpresa di sua maestà Tom Savini, in grande forma fisica e mentale, un vero old boy che sfida inossidabile le sue oltre sessanta primavere.

Un’ovazione  – e credo di essere ingeneroso – accoglie un altro grande vecchio: Umberto Lenzi, venuto a presentare il suo ultimo libro giallo, il quale sopporta stoicamente nello stesso giorno tre lunghe conferenze, una premiazione e un’intervista col sottoscritto che dai promessi cinque minuti, si dilata fino ad oltre un’ora.

Poi ci sono anche Argento, Cozzi, i concerti di Simonetti e Frizzi a scaldare gli animi. L’amica Antonella Fulci, la cui conferenza , non avendo il dono dell’ubiquità, ho a malincuore perso, e il nostro Lomuscio che non manca di farsi e farci onore. Veramente un carnet ricchissimo, forse troppo per essere seguito tutto come meritava. Per dirla tutta è come se mi avessero messo in mano le chiavi di una pasticceria e io mi fossi trovato li, imbambolato, senza sapere cosa addentare.

Tuttavia, come in ogni rassegna cinematografica che si rispetti, oltre che sollazzare la mia ingiustificata prosopopea di giornalista andando in giro tra il meglio del jet set culturale, facendo finta di sentirmi perfettamente a mio agio, mi è capitato anche di vedere qualche film.

La sezione retrospettiva è di ottimo  livello, tuttavia dall’alto della mia arroganza do per scontato che voi pochi che siete così masochisti da leggermi,  conosciate titoli come Incubo sulla città contaminata, La notte dei morti viventi, L’aldilà, etc meglio dell’Ave Maria – che personalmente non recito da almeno vent’anni. Tralascerò quindi i grandi classici per parlare di qualche nuova proposta che ha lasciato il segno.

Comincio con un minicorto dal titolo “Dal profondo”, perché  in oltre due decenni che mi occupo a vario titolo di cinema, credo che questa sia stata la prima volta in cui ho sentito, a latere di una pubblica proiezione, dichiarare agli autori che il costo complessivo dell’operazione è pari a zero, anzi non proprio zero: zero più due casse di birra destinate agli attori, forse per renderli inconsapevoli di ciò che stavano facendo. Non è dato sapere nemmeno se la birra fosse di marca o di qualità discount, ma visti i risultati finali propenderei più per la seconda ipotesi.

Se a questo aggiungiamo la particolare confidenza sulle luci, ottenute colorando normalissime lampadine con dei pennarelli, posso dire di essermi trovato di fronte al film più punk che abbia mai visto in vita mia.

Altro film che mi ha lasciato parecchio perplesso è “Oblio”. Il dubbio sta nel non riuscire a capire se i registi Miccinilli, Joannes e Bulgarelli avessero in mente una colossale presa per il culo del  pubblico, un’operazione sul tipo “the great rock’n roll swindle” – ed in tal caso sarebbero delle menti superiori la cui opera dovrebbe essere citata nell’edizione aggiornata del Rondolino, sotto la voce “geniale” – oppure se avessero in mente un film serio, dai risvolti psicologici e qualche vezzo artistico, nel qual caso dovrebbe rivedere seriamente le loro priorità, la loro agenzia di booking per gli attori e direi anche le loro amicizie che  nulla hanno detto  in corso d’opera per impedire di portare a termine questa “heretica summa” della storia della cinematografia occidentale e contemporanea.

Immaginate una versione trasteverina dell’esorcista, ambientata tra il quartiere Coppedè e la sopraelevata del Pigneto, con un Maccio Capatonda de noantri, tormentato da amletici dubbi al posto di Linda, la piccola indemoniata, sostituite poi padre Merrill con un imitatore di Adriano Pappalardo addobbato in abito talare, aggiungeteci infine il sosia in carne ed ossa di Hermes di Futurama nei panni dell’angosciato migliore amico del protagonista in lotta contro le forze del male. Ora frullate il tutto in una trama inconsistente che non ha nessuno scopo logicamente rilevabile  a parte il volerci ricordare le bellezze della periferia Romana presenti nei fermo immagine degli “intervallo” della RAI e capirete il perché di tanti miei dubbi.

Dell’ottimo “Extreme  jukebox” invece non voglio parlare affatto, dato che l’ho già decantato nello scorso numero, e riconfermo quanto  ho scritto su tale capolavoro. Non mi ripeterò perché se dovessi lodarlo ancora, qualcuno potrebbe pensare che gli autori mi abbiano pagato…

Ora intendiamoci, se a qualcuno di voi, morti di fame,  venisse quest’idea, poco mi toccherebbe. Ma se per puro caso il dubbio che io abbia preso delle bustarelle dovesse sfiorare anche per un solo istante il grande capo, questi potrebbe persino chiedermi di portare il malloppo in redazione e smezzare i dividendi.

Tra i film in concorso degni di note positive potrei anche infilarci un onestissimo E.N.D., un atipico zombie movie ambientato una volta tanto in uno dei posti ritenuti più sicuri dal mitico “Manuale per sopravvivere agli zombie” di Max Brooks: gli asettici, claustrofobici interni di un’agenzia funebre.

Ottima la fotografia e dignitosissima la prestazione amatoriale degli attori.

Forse il livello complessivo dell’opera non meriterà menzioni particolari per quel che riguarda la competizione, ma di sicuro vale la pena di una visione per le idee divertenti che propone.

Altro target, decisamente più professionale, con i lavori di Ivan Zuccon , che ci proietta nell’universo di Lovecraft con un ben assestato trittico: “ Ninpha”, “Colour from the Dark” e “Wraths of the crow”.

Abituato alle produzioni straniere, il regista vola alto rifinendo egli stesso una fotografia accattivante e delle sequenze claustrofobiche che rendono bene, come raramente accade, le cupe atmosfere evocate dal Solitario di Providence.

Zuccon usa bene la carta della sua tipicità italiana, che in America è considerata un valore aggiunto per chi ha vezzi intellettuali,  trasferendo nel bel paese gli incubi lovecraftiani e innestandoli in allucinate realtà contadine isolate dal resto della civiltà urbana, mondi di un’alienata ed alienante ruralità nella quale tutto può accadere.

Per sua stessa ammissione l’autore trae spunto dalle atmosfere del grande Pupi Avati e delle sue fiabe esoteriche. Sopperisce poi magistralmente alla pochezza di fondi ripescando il vecchio trucco del visto e non visto, lasciando quindi che siano le ambientazioni surreali e l’intrico violento tra  testi e piani sequenza strettissimi a prendere per mano la fantasia dello spettatore e accompagnarla sempre più a fondo nei gironi dell’incubo.

Qualità davvero encomiabile, considerato il momento, in cui è erronea convinzione di molti che grazie alla computer grafica, un’orgia di dozzinali effetti speciali sia in grado di compensare le carenze stilistiche e narrative.

Che altro dire?

Ivan è indubbiamente preparato, bravo, competente circa l’immaginario che ha scelto di sviscerare, peccato che ormai, come quasi tutti i suoi colleghi più bravi, lavori all’estero. Possiamo benissimo definirlo l’ennesimo cervello in fuga, e di questo non dovremmo mai smettere di ringraziare le anime belle della politica che decisero di chiudere i rubinetti del finanziamento pubblico al cinema , usando in malafede, come casus belli il famigerato “Mutande pazze” di D’agostino.

Tra le anteprime assolute poi, come dimenticare il terrificante “Sharknado”? Terrificante, è bene precisarlo, non come film dell’orrore, ma bensì come orrore di film!!! Questo è indubbiamente il caso dell’anno, fattosi conoscere grazie alla rete come una pellicola di rara bruttezza.

Già ad una prima visione possiamo dire che ogni grammo di questa celebrità è più che meritata. Non c’è nemmeno la scusante dei pochi fondi, visto che effettacci grandguignoleschi e trombe d’aria cariche di squali hanno indubbiamente il loro costo.

Qui è proprio il film ad essere osceno per lo stile, le trovate, i luoghi comuni, insomma tutto.

Dal sosia di Capitan Findus, che contrabbanda zuppa di pinne di pescecane con la Yakuza giapponese, alla prosperosa tettona tarda (nel senso del quoziente intellettivo) erede di Sigourney Weaver,  i topos del grande film brutto si sprecano.

Confesso che nemmeno io che, modestia a parte, non ho mai toccato una cinepresa, sarei riuscito a fare di peggio. Nemmeno impegnandomi.

Un risultato del genere è pur sempre una vetta (il nuovo Carnosaur?) e comunque il film nel complesso riesce a tirar fuori quelle sane quattro risate di pancia a cui ogni trashone che si rispetti dovrebbe aspirare, quindi faccio tanto di cappello al maestro Anthony Ferrante.

Buona prova di sè la dà anche il claustrofobico “Doors” dell’amico Michele De Angelis, ma va detto che da lui, vista l’esperienza la lunghissima formazione nelle botteghe di grandi maestri come Fulci non mi aspettavo niente di meno, anzi visti i legami di stima e affetto confesso che non gli avrei affatto perdonato un lavoro al di sotto delle sue capacità.

Infatti non gli perdono di aver realizzato il proprio lavoro in lingua Inglese, quando almeno da un veterano navigato come lui pretendevo un film nella bella lingua che il sommo Dante ci ha lasciato.

Un evento in crescita come l’Italian Horror Fest non può non far riflettere sulla situazione del cinema di genere in Italia, a partire dalla sua rivalutazione iniziata ormai molti anni fa all’estero e che sta cominciando ad arrivare qui da noi, come al solito in ritardo.

Non dimentichiamo poi il tesoro che giace, in abbandono, nei nostri archivi cinematografici e rischia di essere perduto per sempre a causa dell’abbandono e dell’incuria; nonché del vuoto che ha lasciato l’assassinio deliberato di questa forma d’arte, compiuta dai nostri poco accorti governanti.

La riflessione giunge però anche all’entusiasmo di tantissimi giovani che, come forma di ribellione e rivoluzione culturale, hanno riscoperto ed omaggiato il cinema di genere, nonostante gli anatemi dei polverosi accademici e l’oscuramento ad opera della propaganda ufficiale, tutta preoccupata di smerciare il solito Pieraccioni, l’ennesimo cinepanettone natalizio e l’intera triste produzione nostrana, sfornata ormai con modalità meramente aziendali.

Passeggiando per i vialetti del festival catturo i grandi maestri come Deodato e Stivaletti, per chiedergli se vedono la possibilità di una rinascita del cinema di genere in Italia.

La risposta è quasi unanimemente  sconfortante, seppur con varie sfumature.

Dal pessimismo cosmico di Deodato e Lenzi, che oltre all’irrimediabile confinamento del cinema di genere  nei ricordi del bel tempo che fu, dove loro addirittura pronosticano l’irreversibilità della crisi della settima arte a livello globale, arriviamo al pragmatismo di Stivaletti e Bava, che stimano impossibile qualunque rinascita con le risorse attualmente a disposizione nel nostro paese.

L’unica voce fuori dal coro è quella di Sergio Martino, inguaribile ottimista che comunque denuncia un gravissimo problema di formazione tra autori e maestranze.

La situazione è seria cavolo!

Decido quindi di fare una volta tanto di fare il mio lavoro di giornalista e vado a molestare il sindaco per parlare a tu per tu della questione.

Per fugare ogni dubbio di favoritismo è bene premettere che ormai da anni il sottoscritto si riconosce e milita negli ambienti dell’estrema sinistra, di contro il sindaco Chiavetta, da poco entrato nel suo secondo mandato, guida una giunta di centro-sinistra, indi per cui, chi mastica un poco di politica sa bene che le due aree a livello nazionale sono divise da distanze siderali e spesso sono su posizioni opposte.

È però doveroso dire che quando un lavoro di promozione culturale è ben fatto va sempre riconosciuto, sia per onestà politica, sia per responsabilità verso il bene comune.

Al sindaco Chiavetta va quindi dato il merito di una coraggiosa opera di restauro e recupero di un grandissimo pezzo del nostro patrimonio culturale.

Parla da appassionato più che competente, che conosce bene il terreno in cui si muove e non si nasconde un buco di oltre vent’anni nella nostra produzione cinematografica autoriale nel settore ed è indubbiamente onesto nell’ammettere che a livello nazionale, nelle alte sfere della politica, ci furono indubbiamente delle responsabilità o quantomeno delle trascuratezze.

Parla anche da amministratore lungimirante, confermandomi il progetto di far crescere sempre di più l’esperienza di questo festival e il tentativo di creare a Nettuno una Cannes del cinema Horror, farla entrare nel tessuto quotidiano e viverla non solo come una mera icona culturale, ma anche come una vera risorsa per il territorio.

La cura e l’impegno con cui l’evento è portato avanti la manifestazione è indice e della serietà e della buona fede dell’amministrazione…. però.

Già, c’è un però, non ce la faccio, la domanda mi preme sull’epiglottide e devo farla uscire:

Sindaco, ma lei sa che a Nettuno non c’è nemmeno un cineclub d’essai?”

La risposta è limpida e lineare:

Se è per questo non c’è nemmeno un cinema

Non posso fare a meno di fargli notare che questa non è una bella cosa e visto che ne conviene con me gli chiedo se non sia il caso di attivarsi per ovviare alla mancanza.

A questo punto – e devo ammettere che è l’unica volta – lo vedo titubare.

Capisco che c’è la crisi e che i soldi nelle casse dei comuni vanno pesati col bilancino, quindi accetto di buon grado il suo impegno a darsi da fare in qualità di appassionato.

Anche perché un appassionato che è anche sindaco, magari ha più mezzi per darsi da fare, che so, quantomeno nella ricerca di uno spazio, anche piccolo, utilizzabile tutto l’anno da destinare ai cinefili che in forma volontaria lo vogliano mandare avanti.

La butto lì, così, come un messaggio nella bottiglia, assicurandogli per altro, anche se piccolo e certo insufficiente, il sicuro e totale sostegno di Taxidrivers per qualunque iniziativa volesse prendere in tal senso.

Detto questo lo ringrazio per la manifestazione, per la disponibilità e insieme al resto della redazione e di tutti gli altri appassionati mi metto in fiduciosa attesa.

Colonna sonora: Jesus was a terrorist dei Dead Kennedys

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