In occasione della proiezione del film Drømmer alla Berlinale abbiamo avuto l’opportunità di intervistare il regista Dag Johan Haugerud autore di una delle trilogie più affascinanti degli ultimi anni che trova qui la sua conclusione.
Il suo cinema, caratterizzato da un forte valore narrativo e un’attenzione quasi maniacale alla parola, ha conquistato il pubblico e la critica.
In questa conversazione, il regista ci racconta la genesi del suo progetto, il suo approccio alla regia e il rapporto tra il linguaggio cinematografico e la società.
Taxidrivers: Prima di tutto, grazie per questa intervista. Ho visto il tuo film e mi è piaciuto moltissimo. Già l’anno scorso a Venezia ero rimasto affascinato da Love, e guardando questo nuovo capitolo mi è venuta in mente una domanda: l’idea di fare una trilogia è nata perché volevi rendere progressivamente il progetto più completo e perfetto, oppure l’idea della trilogia era già chiara dall’inizio?
Dag Johan Haugerud: No, in realtà la trilogia era già pianificata prima ancora di iniziare le riprese. Avevamo tutto pronto fin dall’inizio, con le sceneggiature già scritte; abbiamo girato i film uno dopo l’altro nell’arco di un anno. L’idea era quella di realizzare tre film molto diversi tra loro, ma con temi comuni, in particolare il modo in cui parliamo di sessualità, amore e relazioni umane. Ho voluto raccontare queste tematiche attraverso personaggi e ambientazioni differenti, per offrire prospettive varie su un unico grande tema.
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Taxidrivers: Quindi avete girato tutti e tre i film contemporaneamente?
Dag Johan Haugerud: Più o meno. Abbiamo iniziato le riprese ad agosto e terminato l’anno successivo a giugno. Durante le riprese, abbiamo anche montato alcune parti, quindi è stato un processo continuo. Ma non abbiamo girato tutto insieme: prima abbiamo filmato Love, poi Dreams e infine Sex.
Un approccio rigoroso alla recitazione, ma senza improvvisazione
Taxidrivers: Nel tuo cinema si nota un uso preciso del linguaggio e della messa in scena. Mi è sembrato che il tuo metodo di lavoro fosse simile a quello teatrale, con ripetizioni e una grande attenzione al dettaglio. Quanto spazio lasci agli attori per improvvisare?
Dag Johan Haugerud: Non c’è molta improvvisazione. Il mio metodo prevede numerose prove. Scrivo i film pensando a specifici attori e, quando ho una prima bozza della sceneggiatura, la invio loro per ricevere un feedback. Dopo questa prima fase, rielaboro il testo e organizziamo una lettura collettiva. Anche in questo caso, raccolgo ulteriori suggerimenti e riscrivo alcune parti. Quando le sceneggiature sono definitive e iniziamo a girare, non ci sono più modifiche. Non mi piace l’improvvisazione vera e propria, ma gli attori possono suggerire piccoli cambiamenti nel modo in cui dicono le battute, purché restino fedeli al senso del dialogo.
Il linguaggio come strumento di evoluzione umana
Taxidrivers: Guardando i tuoi film, ho notato quanto sia importante il linguaggio. I tuoi personaggi parlano con una precisione che sembra quasi utopistica. In Italia, oggi, c’è un grande dibattito su queste tematiche: – sto semplificando ovviamente- alcuni sostengono che i progressisti diano troppa importanza a questioni come l’inclusività e il linguaggio, mentre i conservatori affermano che dovremmo concentrarci su problemi più concreti – cosa che puntualmente non accade-
Nei tuoi film, invece, il linguaggio è un mezzo per elevare l’essere umano.sembra che le persone siano perfette, riflessive umane.È una scelta consapevole?
Dag Johan Haugerud: In realtà, nella vita reale le persone non sono così precise nel linguaggio. È molto più difficile esprimere esattamente ciò che si pensa e si prova. Però, almeno in Norvegia, la comunicazione profonda è vista come un ideale: le persone cercano di parlarsi e di capirsi, anche se non è sempre facile. Non so se sia una caratteristica tipicamente scandinava, ma potrebbe essere il risultato di una società più libera e aperta. Tuttavia, anche da noi la politica sta cambiando: il prossimo governo sarà probabilmente di destra, e i venti conservatori stanno soffiando sempre più forti, proprio come nel resto d’Europa.
Un cinema intellettuale, ma anche emotivo
Taxidrivers: Il tuo cinema è intellettuale, ma ha anche una forte componente emotiva. Penso, ad esempio, al personaggio dell’infermiere in Love: la sua compassione e integrità mi hanno colpito profondamente. Mi è rimasto impresso come un esempio di umanità straordinaria.
Dag Johan Haugerud: Grazie. È bello sapere che i miei personaggi lasciano un segno nel pubblico. Per me, il cinema è un po’ come la pittura: cerco di dipingere ritratti di esseri umani che possano ispirare o far riflettere.
Taxidrivers: Nella vita reale, sei così preciso nel tuo modo di parlare come i tuoi personaggi? O anche tu, a volte, dici cose di cui poi ti penti?
Dag Johan Haugerud: (Ride) No, nella vita reale sono molto meno articolato! Mi capita di dire cose stupide e di non trovare sempre le parole giuste. Però quando scrivo ho il tempo di riflettere, di costruire un discorso e di dare coerenza alle idee. Scrivere mi permette di essere più preciso di quanto lo sia parlando.
Taxidrivers: Sei stato influenzato da altri registi scandinavi o europei?
Dag Johan Haugerud: È difficile dirlo con certezza, ma ho studiato storia del cinema all’università e sono stato molto influenzato da Éric Rohmer, tanto da scrivere una tesi su di lui. Mi piacciono molto anche i film di Terence Davies, che purtroppo ci ha lasciati qualche anno fa. Entrambi hanno avuto un impatto sul mio stile, ma in generale amo il cinema in tutte le sue forme.
Taxidrivers: Alcuni critici sostengono che il tuo sia un “cinema di parole” più che di immagini. Sei d’accordo con questa definizione?
Dag Johan Haugerud: No, credo che il mio cinema sia sia visivo che narrativo. Ovviamente, do grande importanza alle parole, perché sono uno scrittore prima ancora che un regista. Ma penso che la forza delle immagini sia fondamentale tanto quanto la sceneggiatura.
di Giovanni Battaglia