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Approfondimento

Zendaya : the actress’s journey

Come i suoi personaggi l’attrice americana compie un percorso, un viaggio di transizione da un universo all’altro, dal mondo Disney a quello crudo e puro del’adult-drama. In tutti tali processi creativi la Rue di “Euphoria” diventa diva senza esserlo veramente, abbracciando il circuito del mainstream d’autore come riconoscimento di uno spazio e senza essere mai stata una meteora di passaggio

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Zendaya

Zendaya, una delle attrici migliori del panorama mondiale, è ormai una certezza grazie alla sua ascesa con la trilogia di Dune di Denis Villeneuve e a Challengers del nostro Luca Guadagnino, per il quale ha sfiorato la sua prima nomination agli Oscar. Il percorso di Zendaya è interessante al pari dei suoi personaggi. Difatti, se si va a scandagliare la sua carriera dalle sue origini fino alla sua attuale filmografia, non si può non riconoscere un tratto evolutivo.

Un percorso quasi da monomito campbelliano che porta l’attrice americana a uscire indenne da alcuni meccanismi che avrebbero potuto sgretolare qualsiasi enfant prodige del cinema. Da starlette di Disney Channel, Zendaya abbraccia il blockbuster per definizione con i primi due capitoli di Spider-Man con Tom Holland. Una carriera che quindi sembra pienamente immersa nel personaggio comprimario di molti cinecomics. Invece Zendaya ottiene il successo e una credibilità vera e propria con la rischiosa serie della HBO Euphoria che dall’oggi al domani svuota la sua reputazione di starletta Disney.

Poi la parentesi Netflix con Malcolm & Marie fino alla situazione in cui la troviamo: il blockbuster e i dramedy d’autore con Guadagnino. Zendaya quindi appare una perfetta parabola dell’attore/attrice di televisione che cresce insieme alla serialità impegnata e alle diverse fasi del cinema. E l’attrice americana è il classico esempio di come la personificazione sul grande e piccolo schermo identifichi il processo dell’industria dello spettacolo in cui viviamo. Fragile e dipendente da attori anti-divi diventati sempre più divi.

La palestra-bolla Disney Channel – Zendaya

Zendaya poteva benissimo commettere l’errore di moltissime sue colleghe, da Miley Cyrus con Hannah Montana o Hilary Duff con Lizzie McGuire, cioè farsi trasportare dal successo e pensare che il mondo Disney fosse il punto di arrivo e non di partenza. In questo è aiutata dalla fortuna o da buoni consigli, e caso o fiuto manageriale le fanno ottenere una prima parte di carriera interessante dal punto di vista prettamente formativo. La star di Dune in questa ampia fase si muove, sempre sotto targa disneyana, tra cinema e televisione nella classica sit-com per ragazzi. La prima prova Shake It Up è sotto il profilo della situazione comica, genere di tutti i prodotti Disney, in cui Zendaya interpreta Rocky che assieme a sua sorella CeCe (Bella Thorne) sperimenta il sogno-realtà di diventare una ballerina affermata.

La situation comedy è una palestra al pari degli standard teatrali di Čechov o Gogol; Zendaya dimostra estro, personalità e forma un suo lato comico a tutto tondo riuscendo a muoversi perfettamente in vari lati, dalla performance alla musica e alla presenza scenica, un po’ come accadeva nel programma televisivo The Mickey Mouse Club importante per future star come Ryan Gosling e Britney Spears. In questa fase di rodaggio Zendaya entra brevemente nel meccanismo del mondo Disney, ritornando in coppia con la Thorne nel film tv Frenemies e nel suo vero primo film da protagonista Zapped sempre nel solco della commedia per ragazzi. Questo è il primo tempo per Zendaya, il suo mondo ordinario del quale è la regina indiscussa delle star bambine millenial.

Il cinecomics e il primo approccio con Hollywood – Zendaya

Il suo actress’s journey continua con una certa standardizzazione e nel contempo evoluzione con l’approdo nella Hollywood che conta, subentrando nel Marvel Universe grazie alla Sony e con l’ennesimo rifacimento di Spider-Man. Perché se da una parte Zendaya continua a rapportarsi con scritture convenzionali, dall’altra l’attrice americana muove i primi passi de-costruendo del personaggio tipo disneyano, e per molti versi l’Uomo Ragno è uno spartiacque fondamentale per la sua carriera.

Nei tre film a fianco di Tom Holland (Homecoming, Far frome Home, No Way Home), Zendaya non interpreta il personaggio tipo. Il reboot della Marvel, dentro la componente più teen di Peter Parker, rivisita la parte romantica di Spider-Man, Mary Jane, con una ri-scrittura caustica, inizialmente distaccata che in breve tempo le fa acquisire status di spalla e punto fermo nel franchise. Di certo nel corso dei tre film il suo personaggio si normalizza nella love story classica come fidanzata storica di Parker, ma è questo approccio di decostruzione del classico che diventa preminente per la svolta definitiva di Zendaya, da qui in poi.

La parte adulta, Euphoria  – Zendaya

Nel suo viaggio tra opportunità e talento, come in ogni classico heroine’s Journey, anche per l’attrice americana arriva il fatidico momento di lasciare il mondo ordinario per uno straordinario, cambiando per sempre rispetto a come ci era apparsa fino a quel momento. Con l’adult drama della HBO Euphoria, l’ex della tv dei ragazzi, divenuta icona agrodolce del cinecomics, abbandona per sempre i panni della starletta Disney per entrare in una nuova fase, quella della diva fluida della generazione Z. In due stagioni Zendaya interpreta Rue, la borderline tossica specchio-riflesso di un genere, quello teen, che capovolge e fa proprio. Nelle salde mani di Sam Levinson, Zendaya/Rue entra in una introspezione neorealista degna del migliore cinema indi applicato alla televisione.

È contorto il personaggio in preda agli eccessi e alle frenesie del suo inconscio, testarda e fragile nell’azione e nella metamorfosi del suo corpo. Così, molto rapidamente, Zendaya diventa non solo il simbolo dell’attrice contemporanea, ma soprattutto il punto più profondo della situazione odierna dell’industria hollywoodiana, pienamente dipendente da divi tragici che meglio di altri riescono a rappresentare la condizione di una generazione. Ma Rue riesce a essere anche altro, andando contro lo stereotipo del volto della televisione confinato a se stesso. Difatti è uno di quei pochi casi nei quali la serialità è un trampolino di lancio per le grandi produzioni hollywoodiane e non il suo contrario.

La guerriera di Arrakis e l’antieroina del tennis

Il suo viaggio, come stabilizzazione e conferma del suo spessore, continua e si radica con Dune di Villeneuve; Dune-Parte 2 è forse solo Chani: la ribellione, la Primavera del deserto della profezia in un ruolo femminile che si prende la scena molto più della figura annacquata di Chalamet. La donna fremen è l’unica che non crede al potere di Paul, piegandosi solo al campo di battaglia, e non inchinandosi di fronte all’eletto. Zendaya in Dune è un’ eroina a tutto tondo ma senza dimenticare il cinema d’autore vero e proprio dal quale proviene.

Con Challengers di Guadagnino ancora una volta l’attrice americana compie un’ennesima metamorfosi trasformandosi nella femme fatale del tennis, tenendo in scacco, nel gioco della competizione e della seduzione, due uomini oggetti delle sue trame. L’ex star Disney meritava a questo giro la sua prima candidatura ai premi Oscar solo per essere la tessitrice eterea e desiderata di uno schema erotico che inizia e finisce col suo sguardo.

Zendaya, nel suo anti-divismo, è la vera diva hollywoodiana degli anni ’20 capace continuamente di piegare la tv dei ragazzi, il cinema convenzionale e la serialità impegnata. L’attrice millenial è l’emblema di un prodotto dell’industria che è tale per il volto che la trascina. Così come negli anni Settanta i film erano direttamente collegati ai loro registi, nei nostri anni un po’ come accadeva negli anni Cinquanta, è l’interprete il vero mezzo per le fortune e le sfortune di ciò che esce dall’industria hollywoodiana. E Zendaya, con le sue mille maschere, dimostra proprio questo. Che cinema e tv sono inossidabilmente legati con chi riesce a rendere la finzione una realtà-prodotto.

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