Parigi. La cometa di Halley si sta avvicinando alla terra, causando un’anomala ondata di caldo. Il retrovirus STBO, che “colpisce chi fa l’amore senza sentimento”, si diffonde rapidamente. Il profilo di una ragazza che sale su un autobus notturno attira l’attenzione di Denis Lavant; la stessa ragazza il cui volto verrà rivelato dieci minuti più tardi, incorniciato dall’inconfondibile caschetto nero, mentre si scosta la frangetta dalla fronte con un soffio.
È Juliette Binoche, nel secondo lungometraggio di Leos Carax del 1986, Rosso sangue.
L’attrice, con oltre quarant’anni di carriera alle spalle, presiederà la giuria del Festival di Cannes 2025, che si svolgerà dal 13 al 24 maggio. Il suo debutto al festival in un ruolo importante fu nel 1985, con Rendez-vous di André Téchiné.
“Nel 1985 ho salito i gradini per la prima volta con l’entusiasmo e l’incertezza di una giovane attrice. Non immaginavo di tornarci quarant’anni dopo con questo ruolo”.
L’arte è di casa Godard. Je vous salue, Marie (1984)
Juliette Binoche è figlia d’arte. Nata a Parigi nel 1964 da un padre mimo, regista teatrale e scultore e da un’attrice polacca, studia arte e successivamente si diploma alla Scuola Nazionale di Arte Drammatica di Parigi. La sua carriera è presto consacrata da un piccolo ruolo in Je vous salue, Marie di Jean-Luc Godard. Il film riceve un’accoglienza difficile da parte di organizzazioni cattoliche, e in alcuni paesi ne è vietata la distribuzione. L’attrice, in seguito alla scomparsa di Godard, ha raccontato di alcune difficoltà vissute durante questa loro unica collaborazione.
“Con Jean-Luc Godard era una doccia fredda. C’era una sorta di contrasto, come se cercasse qualcosa che non riusciva a trovare. E noi attori dovevamo essere disponibili in ogni momento. Non fu un rapporto facile”.
Je vous salue, Marie è la trasposizione nella contemporaneità degli anni ‘80 dell’Immacolata Concezione. Uno studio sulla sessualità e il suo rapporto con la fede, che propone un’origine dell’essere umano tanto divina quanto extraterrestre. La narrazione discontinua, il sonoro asincrono e la natura simbolica delle immagini – ben note cifre stilistiche del regista – nell’alternanza di paesaggi urbani e naturali, sono il risultato di un lungo periodo di studi e riprese, tra le più lunghe della sua carriera.
“Con l’immagine del sole al tramonto davanti al quale passa un aereo, trovò una metafora per la fecondazione di Maria”.
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Juliette Binoche in Je vous salue, Marie (1984) di Jean-Luc Godard
Rosso sangue. Il tormentato trigono Carax-Binoche-Lavant
Rosso sangue, noir quasi fantascientifico e grande omaggio al cinema muto, ha il temperamento di una fiaba che ha per sfondo il paesaggio urbano di una Parigi al neon; i suoi personaggi – compresa una diciassettenne Julie Delpy – si contendono l’antidoto al virus STBO, la versione romanzata dell’AIDS. Spesso ai dialoghi si accompagnano intensi primi piani, che concedono il giusto spazio alla mimica espressiva di Juliette Binoche; l’inquadratura indugia più volte e a lungo sul viso di lei.
Il piano sequenza della corsa di Denis Lavant sulle note di Modern Love di David Bowie, l’arte della ventriloquia che il personaggio sfrutta per esprimere il suo amore, il suo dolore e talvolta lo scherno, così come gli improvvisi spasmi all’addome per cui lo si vede contorcersi dal dolore, sono espressioni di un cinema sensoriale e corporeo che difficilmente esprime se stesso in modo così diretto. The Terry Theme, brano composto da Charlie Chaplin per Luci della ribalta, accompagna la scena in cui Lavant imita l’andamento incerto di un bambino che muove i primi passi; il personaggio di Alex (Denis Lavant), è un orfano alla ricerca spasmodica di amore e di un posto nel mondo. Si abbandona prima al trasporto di Lise (Julie Delpy), i cui primi piani in bianco e nero del suo struggimento rimandano all’espressionismo tedesco, per poi cercare invano significato nell’irraggiungibile Anna (Juliette Binoche).
Gli amanti del Pont-Neuf
Dopo Rosso sangue Carax dirige ancora Binoche e Lavant in Gli amanti del Pont-Neuf (1991), la cui travagliata realizzazione ha portato l’attrice a definire il regista, con cui ai tempi ebbe una relazione, “sadique”.
Per poter interpretare il ruolo di Michèle, una pittrice senzatetto, Juliette Binoche ha vissuto per strada per diversi mesi, trascorrendo le notti in un ostello di Nanterre. Durante le riprese ha rischiato di annegare, dopo essersi tuffata in acqua con quattordici chili di peso intorno alla vita. Oltre alle difficoltà dovute alla mancanza di fondi, le riprese vengono interrotte quando Denis Lavant si ferisce gravemente a una mano.
Straordinariamente evocativa è la sequenza cult in cui Michèle e Alex danzano, mentre i fuochi d’artificio per il bicentenario della Rivoluzione francese divampano nel cielo e si riflettono sulla Senna, e al brano Romance da Variazioni su un tema di Frank Bridge di Britten si sovrappone Strong Girl di Iggy Pop.
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Gli amanti del Pont-Neuf (1991) di Leos Carax
Fortunati adattamenti
In L’insostenibile leggerezza dell’essere (1988) di Philip Kaufman, adattamento dell’omonimo romanzo di Milan Kundera, Binoche affianca con disinvoltura Daniel Day-Lewis nei panni di Tereza, irrequieta fotografa che ritrae lo scenario tra la Primavera di Praga e la drammatica incursione e occupazione sovietica. La fotografia è curata da Sven Nykvist.
Nel 1992 ha occasione di recitare nel penultimo film di Louis Malle Il danno, adattamento dal romanzo omonimo di Josephine Hart, al fianco di Jeremy Irons.
“Quel film è stata un’esperienza difficile, non per colpa di Louis, ma per la tensione tra Jeremy Irons e me. Avevo molta ammirazione per Louis. È stato molto difficile per lui all’epoca perché era molto malato e penso che si sentisse piuttosto intrappolato dalla sua malattia, ma ha davvero cercato di trarre il meglio dalla sua situazione mentre lavoravamo”.
Il paziente inglese (1996), tratto dall’omonimo romanzo di Michael Ondaatje e diretto da Anthony Minghella, è valso a Juliette Binoche l’Oscar come attrice non protagonista e l’Orso d’argento come miglior attrice. “È l’attrice che ogni regista sogna”, ha detto di lei Minghella.
Tre colori: Liberté, Égalité, Fraternité
Juliette Binoche ha rifiutato di lavorare con Spielberg per ben tre volte. Inizialmente le propose un ruolo per Indiana Jones e l’ultima crociata, che lei rifiutò perché impegnata nelle riprese di Gli amanti del Pont-Neuf. In seguito, rifiutò una piccola parte in Schindler’s List perché incinta. Infine, non accettò il ruolo che poi andò a Laura Dern in Jurassic Park, perché impegnata con Krzysztof Kieślowski in Tre colori – Film blu (1993).
“Con Krzysztof abbiamo lavorato in modo abbastanza rapido e spontaneo. C’erano molte prove e lui faceva la messa in scena, ma non sempre sapeva quale labirinto percorrere per scavare all’interno del personaggio, ed è qui che siamo entrati in gioco noi attori”.
Le forme della libertà
Film blu è il primo capitolo della trilogia dei colori del regista polacco, dedicata alla Francia. I tre colori a cui fa riferimento la trilogia sono quelli della bandiera francese, a cui sono associati i tre concetti del motto rivoluzionario: libertà, uguaglianza e fratellanza. Nel film Juliette Binoche interpreta Julie, coinvolta in un incidente d’auto in cui perdono la vita sua figlia e il marito, noto compositore che lascia incompiuto il suo “Concerto per l’unificazione dell’Europa”.
Qui la libertà assume molte forme, a partire dalla libertà materiale come prima scelta della protagonista, che si libera delle proprietà di famiglia e comincia una nuova vita in un piccolo appartamento che divide con una famiglia di topi. Libertà dai vincoli morali, accentuata dal dolore del lutto e dalla conseguente emarginazione, grazie alla quale può stringere un’amicizia significativa con una prostituta che gli altri inquilini del palazzo vorrebbero allontanare. Libertà sessuale ed espressiva, dal momento in cui asseconda il desiderio ricambiato nei confronti di un collega del marito, con cui prosegue la stesura del concerto. La libertà intrinseca dell’arte, che porta un flautista di strada a comporre la stessa melodia del Concerto, senza ottenere il plauso del pubblico di passaggio.
Zbigniew Preisner, storico collaboratore di Kieślowski, ha composto la colonna sonora del film.
Nonostante la parte fosse già assegnata a Juliette Binoche, Isabelle Adjani si propose comunque per l’ambito ruolo.
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Juliette Binoche in Tre colori – Film blu (1993) di Krzysztof Kieślowski
Due film di Michael Haneke: Storie – Codice sconosciuto
Storie – Codice sconosciuto (2000) è il sequel ideale di 71 frammenti di una cronologia del caso (1994). In Storie Haneke ripropone lo stesso schema di 71 frammenti ma invertendone lo sviluppo. Se nel film precedente le storie dei vari personaggi si ricongiungono nel finale, Storie propone lo svolgersi indipendente delle vite dei protagonisti, che si incontrano quasi distrattamente all’inizio del film. Il codice sconosciuto, inteso come difficoltà nella comunicazione, è rispecchiato dalla stessa composizione del film.
Il montaggio apparentemente sconclusionato richiama il modo in cui il punto di vista dello spettatore, così come ogni punto di vista esterno rispetto alla vita di una qualsiasi persona, è il risultato di contingenze a cui solamente il protagonista può dare significato. È centrale anche il tema della difficoltà nella comunicazione data dalle barriere linguistiche. Il regista ha espresso alcune considerazioni a proposito di questa sua prima produzione francese:
“Tutto è iniziato con Juliette Binoche, che un giorno ci ha chiamato e ci ha chiesto se potessimo lavorare insieme. La maggior parte del film è in francese, ma un terzo dei dialoghi è in altre lingue, rumeno, un dialetto africano parlato in Mali e in lingua dei segni. Come in tutti i miei film, il problema principale sono le difficoltà legate alla comunicazione interpersonale”.
Niente da nascondere
Niente da nascondere (2005), che ottiene il premio per la miglior regia al 58º Festival di Cannes, è la quarta produzione francese di Haneke. La sceneggiatura è stata scritta dal regista con l’intenzione di far interpretare il protagonista all’attore francese Daniel Auteuil. Le lunghe e statiche inquadrature, che inequivocabilmente si lasciano presagire come il punto di osservazione di un voyeur con ambigue intenzioni, contribuiscono a un silenzioso crescendo di tensione e disagio. Nel dubbio che stia o meno succedendo qualcosa, la composizione del film risulta ancora più straordinaria.
L’indisturbata quiete di Georges e della sua famiglia viene stravolta dall’arrivo di una videocassetta, che mostra l’ingresso della sua abitazione in un’inquadratura fissa. Nonostante l’inizio del film ricordi quello di Strade perdute di Lynch, il regista non ha mai fatto riferimento a un possibile omaggio al regista statunitense, di cui è un grande ammiratore.
“Ho scritto la sceneggiatura con Auteuil come protagonista maschile in fondo alla mia mente, analogamente a quello che ho fatto con Juliette Binoche per Storie. Sono stato estremamente felice che Juliette Binoche abbia voluto apparire nel suo ruolo in Niente da nascondere, anche se non è proprio una protagonista”.
L’indissolubile sodalizio con il cinema d’autore
Come nella maggior parte dei film di Abbas Kiarostami, il viaggio in macchina è parte essenziale della narrazione. Copia conforme (2010), un viaggio in Italia attraverso la campagna toscana – prima produzione europea del regista – è una riflessione sul rapporto tra originale e copia nell’ambito dell’arte. Lo stesso tema proposto dal personaggio di James Miller (William Shimell) nel saggio da lui scritto e ora tradotto in italiano, e presentato in una conferenza da Elle (Juliette Binoche), gallerista francese residente ad Arezzo. Elle e James trascorrono una giornata a Lucignano, durante la quale l’ambiguità del loro rapporto prende il sopravvento.
Il film è valso a Juliette Binoche il premio come migliore attrice al Festival di Cannes 2010.
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Copia conforme (2010) di Abbas Kiarostami
Cosmopolis (2012) di David Cronenberg è l’adattamento dell’omonimo romanzo di Don DeLillo, in cui Juliette Binoche interpreta una mercante d’arte che propone al milionario protagonista (Robert Pattinson) di acquistare un Rothko.
“Cosmopolis parla del nostro bisogno di procurarci denaro, sesso, potere e di mescolare tutto. Un gioco molto pericoloso”.
Il film è disponibile su RaiPlay.
Frammenti di un discorso amoroso. Progetti d’altri mondi con Claire Denis
L’amore secondo Isabelle (2017) nasce dalla volontà della regista di adattare i temi del saggio di Roland Barthes, con la collaborazione di Christine Angot. Il titolo della sceneggiatura fu originariamente Dark Glasses.
Il risultato è la storia di una donna sui cinquant’anni, pittrice e con una visione non poco disfunzionale dei rapporti amorosi. Alcuni dialoghi, al limite tra l’improvvisazione e una tensione snervante, trasformano l’ambita verosimiglianza in uno scambio di parole melodrammatico e plateale. Forse non il miglior film con Juliette Binoche come protagonista, ma senz’altro un sincero tentativo di restituire la dimensione amorosa attraverso personaggi che hanno superato la soglia della mezza età.
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Juliette Binoche in High Life (2018) di Claire Denis
High Life (2018) è un progetto antecedente a L’amore secondo Isabelle, ma Clarie Denis diede la precedenza a quest’ultimo. Il ruolo di Juliette Binoche fu assegnato inizialmente a Patricia Arquette.
Il film, di stampo fantascientifico, si svolge a bordo della nave spaziale n.7, il cui equipaggio è composto da Monte (Robert Pattinson) e da sua figlia Willow, nata durante il viaggio. Inizialmente l’equipaggio era composto da otto ergastolani, scelti per partecipare a una missione senza ritorno e con lo scopo di applicare il processo Penrose, secondo cui un buco nero può essere sfruttato come fonte di energia inesauribile. Tra loro la dottoressa Dibs (Juliette Binoche), impegnata a portare avanti gravidanze ectogeniche. Tuttavia, i feti non sopravvivono alle radiazioni cosmiche cui sono esposti, ad eccezione di Willow.
Juliette Binoche racconta della sua collaborazione con Claire Denis:
“A Claire piace molto vedere l’attore sul set prima di impostare la telecamera. Lavora come una ritrattista e ha bisogno di essere commossa da ciò che filma. Se un fotogramma non la commuove, continua a cercare finché non lo fa. Il nostro incontro è stato molto bello e naturale da quel punto di vista, ed entrambe siamo rimaste fedeli a noi stesse durante tutto il processo”.
Altri ritratti d’autore
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Catherine Deneuve e Juliette Binoche in Le verità (2019) di Hirokazu Kore-eda
Le verità (2019), primo lungometraggio di Hirokazu Kore-eda non in lingua giapponese, indaga il rapporto madre-figlia attraverso l’interpretazione di Catherine Deneuve e Juliette Binoche nei rispettivi ruoli.
“Aspettavo di lavorare con Kore-eda da anni. Realizzo oggi tutti i miei sogni perché nel film sono la figlia di Catherine Deneuve, ed io ero piccola quando mi innamorai di lei, simbolo della femminilità e grande attrice. Oggi è una vera consacrazione”.
A proposito della collaborazione con Kore-eda afferma:
“Mi è sembrato che nel fare film, Kore-eda abbia trovato un modo per parlare a se stesso e agli altri. Non sono sicura che Kore-eda sia così a suo agio nella comunicazione. Il suo bisogno di comunicare è così grande che non sa come farlo, quindi diventa ancora più forte”.
Nel 2023 interpreta la cuoca Eugénie in Il gusto delle cose, del regista vietnamita naturalizzato francese Tran Anh Hung. Tratto dall’omonimo romanzo di Marcel Rouff, il film ha vinto il premio per la miglior regia al Festival di Cannes 2023.
Eugénie lavora da vent’anni come cuoca per il famoso gastronomo Dodin Bouffant (Benoît Magimel). La costruzione delle pietanze, a partire dalla manipolazione sapiente degli ingredienti raccolti nell’orto, così come la ricostruzione degli elementi che compongono la complessa salsa bourguignotte, risultano sorprendentemente coinvolgenti. Talmente tanto da far passare in secondo piano l’aspetto sentimentale che dà struttura alla narrazione. Juliette Binoche garantisce che al termine di ogni ripresa:
“Tutto è stato mangiato, nulla è stato sprecato”.
Dopo aver rappresentato ogni possibile sfaccettatura dell’universo femminile, nel suo ultimo film Juliette Binoche interpreta Penelope, lo stereotipo più antico della donna nella cultura occidentale, in Itaca – Il ritorno (2024) di Uberto Pasolini, al fianco di Ralph Fiennes.
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Juliette Binoche in Il gusto delle cose (2023) di Tran Anh Hung