Sono passati alcuni giorni dall’inizio della 75ª Berlinale, il che permette di intravedere possibili tratti distintivi che caratterizzano la selezione di quest’anno (Qui trovate il programma del Festival completo). Tra di essi, una particolare attenzione alla maternità sembra legare tra loro le narrazioni di molti film presentati alla kermesse, sia in concorso che non. Una tematica delicata, profonda, ma sicuramente non nuova per il mondo del Cinema. Motivo per cui non risultare lapalissiani, scontati e banali può essere tutt’altro che facile.
Non è questo il caso di If I Had Legs I’d Kick You di Mary Bronstein, in competizione per l’Orso d’Oro e già inserito tra le future distribuzioni A24. La regista americana, offre uno spaccato inusuale, dinamico, convulso e sofferto, con cui arricchisce l’imperituro dialogo attorno al ruolo genitoriale. Ruolo di cui Bronstein evidenzia i derivanti doveri e l’insita natura di reciproca assistenza, rimarcando consapevolmente la flebile, ma fondamentale, linea di separazione tra ciò che afferisce alla mera sfera dell’egoismo umano e ciò che invece attiene a una consapevole necessità di autotutelarsi.
Se non è già abbastanza convincente… quando vi ricapiterà di vedere Conan O’ Brien interpretare uno psicologo e A$AP Rocky un premuroso vicino di stanza di un motel? Probabilmente mai.
Trama
Straordinariamente frenetica, Rose Byrne interpreta Linda, psicologa e madre che dedica tutte le proprie energie al lavoro e alla figlia, affetta da una strana malattia. La crisi è dietro l’angolo. Improvvisamente si ritrova a dover affrontare una serie di imprevedibili problematiche. Quando una parte del soffitto di camera sua crolla è costretta a trasferirsi in un motel con la figlia. Una sua paziente scompare. Il marito non è mai presente e con le uniche persone che potrebbero esserle di aiuto, fatica a comunicare in modo costruttivo.
La pericolosa alienazione di una madre
If I Had Legs I’d Kick You arriva come un pugno tragicomico, pronto a colpire le retoriche populiste che semplificano le implicazioni etiche della procreazione. Diventare genitori significa prima di tutto condividere. Condividere una scelta, ma ancora di più condividerne le responsabilità. L’assenza di tale spirito familiare partecipativo può condurre alla totale alienazione di una delle parti. Linda dedica la propria vita all’altro: sia che i problemi la interessino direttamente, la malattia della figlia, sia che i problemi siano estranei alla sua vita privata, i suoi pazienti. Il tutto a discapito del proprio equilibrio. Perde quel senso di amore auto-conservativo. E quindi non trova la forza per chiedere al marito, colpevolmente assente, di sostenerla, preferisce riattaccare improvvisamente le telefonate. Non può prendersi una pausa dal proprio lavoro. Beve per riempire le notti quasi insonni. Annullato l’interesse verso se stessa, non può che precipitare in uno stato di burnout.
Persino chi avrebbe potuto aiutarla si rivela inutile. Le poche sessioni da uno psicologo (Conan O’ Brien) con cui allude a un rapporto speciale, non portano a un dialogo particolarmente efficace. Entra in conflitto con la dottoressa che segue sua figlia. Rifiuta l’aiuto di un vicino di stanza al motel (A$AP Rocky), trattandolo in modo irrispettoso. Ma è possibile fargliene una colpa? No. L’evidenza delle motivazioni ce lo impedisce. Mary Bronstein costruisce tutto in modo da empatizzare con la sua protagonista. Anche perché Linda non manca sicuramente di ironia, cinismo e sarcasmo. Aspetti che la rendono irresistibilmente disillusa, ma non prevalgono sul suo essere in tutto e per tutto una vittima.
Conoscere il mezzo può solo valorizzare il fine
Anticonvenzionale anche sul piano registico e fotografico, If I Had Legs I’d Kick You racconta un’odissea materna, definendone i particolari attraverso un funzionale dialogo tra forma e contenuto. L’oggetto su cui si focalizza Mary Bronstein è Linda. Nonostante i numerosi sottotesti individuabili, i riflettori narrativi si concentrano sulla protagonista. Non si tratta di un tipico film che vuole indagare sui rapporti intergenerazionali madre-figlia, ma una vera e propria analisi della figura materna, inserita in un contesto a lei totalmente ostile. Ed è anche il modo con cui ci viene mostrata la sua evoluzione, da uno stato nevrotico a uno psicotico, che constata una tale affermazione. Gli ossessivi primi piani, i movimenti dinamici di macchina, anche a mano, che seguono costantemente la protagonista, sono soluzioni che fanno tornare alla mente una tipica attitudine zavattiniana al pedinamento.
Lo stesso senso di solitudine che porta Linda al collasso mentale è reso con altrettanta efficacia attraverso una gestione particolare delle assenze e presenze, sia visive che sonore. Nel film ne emergono tre in particolare.
Una presenza-assenza: la figlia. È lei a dipendere da Linda, e proprio per questo l’aiuto che cerca non può risiedere in lei. Di lei non vediamo il volto, ma ne ascoltiamo solo la voce.
Un’assenza ingiusta: il marito. Non compare, ma la sua presenza si insinua attraverso le parole al telefono, cariche di ipocrisia e presunzione.
Infine, una presenza che diventa assenza, aggravando ulteriormente la condizione precaria della protagonista: una madre, o meglio, una madre-paziente che improvvisamente scompare, abbandonando il proprio bambino.
Allusioni e allegorie disturbanti
I “buchi” sono quasi per loro definizione fattuale elementi disturbanti. Interrompono il tangibile, annullano la materia. All’interno di If I Had Legs I’d Kick You, Mary Bronstein ne presenta due molto significativi, entrambi legati al concetto di trauma. Il primo è la voragine che si crea sul soffitto, causa dell’abbandono della casa, il secondo è il foro sull’addome della figlia, memoria visiva della sua malattia. Tormentano Linda. Riconducono visivamente l’uno all’altro. Sono qualcosa da riparare superficialmente, ma alludono a rotture ben più profonde.
A essere più paradigmatica e simbolica è proprio l’apertura creatasi sul soffitto. A volte appare come una finestra su un’altra dimensione, altre un pertugio il cui significato va forse ricondotto allegoricamente alla natività. Come la rottura delle acque, prima che si formi, senza una chiara spiegazione, dalle “crepe generatrici” sgorga acqua. Acqua che si accumula ai piedi della bambina e della madre, come quella che preannuncia il parto. La stessa natura disturbante della voragine può essere ricondotta alla generazione. Non è un caso che in essa, fissandola in preda alla disperazione, Linda ci veda il momento del ricovero della figlia. Colei che è stata generata nel più bel dolore è innocentemente collegata a uno dei motivi della grande sofferenza mentale della protagonista. Un paragone sottile e una lettura opinabile. Tuttavia, un cinema, capace di stimolare riflessioni oltre l’immediata impressione, rimane un cinema di valore.