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Approfondimento

50 anni da ‘Profondo Rosso’: uno sguardo sul brivido tra architetture e spazi metafisici

Nel 1975 la svolta horror con la narrazione visiva e scenografica di 'Profondo Rosso'

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Profondo Rosso esce nelle sale italiane il 7 marzo 1975 ottenendo un impatto significativo nel panorama cinematografico dell’epoca grazie all’innovativa fusione di thriller, horror e giallo italiano che si intrecciano con l’uso efficace di effetti speciali  e l’iconica colonna sonora dei Goblin, sotto una regia stilisticamente audace e visivamente impressionante.

A 50 anni di distanza il film campione di incassi, resta, accanto Suspiria, Tenebre e Phenomena, uno dei capolavori del cinema horror anni ’70-’80.

La scenografia come protagonista

Incorniciata dai titoli di testa e dall’ormai famosissima musica metallica, già nel flashback iniziale la scenografia si rivela parte fondamentale nella costruzione narrativa della pellicola. Una sala da pranzo in clima natalizio è invasa da urla e ombre, poi rese plastiche da un coltellaccio insanguinato e innocenti scarpe mary jane. Un preludio importante che chiarisce fin da subito i caratteri del film: un’avventura thriller, risolta con un giallo all’italiana, condita da elementi horror che trovano espressione nelle atmosfere surreali di architetture inquietanti.

Dario Argento e lo scenografo Giuseppe Bassan fanno dello spazio cinematografico uno dei protagonisti del film. Sono infatti le scenografie che convogliano – e in un certo senso risolvono – la suspence in cui dilaga l’intera pellicola, tra l’urbanistica quasi gotica di Torino e l’antica monumentalità romana. Infatti, sebbene il film sia ambientato nella Capitale, dove hanno luogo quasi tutte le scene interne, gli esterni sono interamente girati nella città sabauda, con alcune scene di eccezione come il funerale di Helga Ulmann (Macha Méril) che ha per location il cimitero comunale di Perugia.
Argento, attraverso inquadrature e luci artificiali, utilizza spazi urbani che sembrano anonimi e che, proiettando lunghe ombre e contrasti netti, caricano le scene di tensione e mistero. Come per l’architettura, così per il design: specchi, sculture, quadri hanno un preciso scopo simbolico e diventano veicoli di terrore e terribili presagi maligni.

In occasione della retrospettiva dedicata a Dario Argento alla Cinèmathèque française del 1999, Jean-François Rauger scrive:

“I film di Argento accumulano scene nelle quali la violenza è resa rituale e sublimata da una regia che violenta i sensi imponendo allo sguardo la sensazione tattile di oggetti che diventano veri e propri feticci. (…) l’eroe (ma anche lo spettatore) ha male interpretato qualcosa che ha visto a inizio film. Ripensando verso la fine del film a quel momento, la scena apparirà con il suo vero significato.”

L’astrazione degli spazi reali

La ricerca delle location passa per luoghi già molto noti e particolarmente rilevanti nel loro valore storico. Ne è l’esempio il mausoleo di Santa Costanza del IV secolo a Roma, dove il freddo colonnato dell’architettura romanica si fonde con le note jazz, nella scena che apre il racconto. Un colonnato che strizza l’occhio a quello ben più razionalista di piazza C.L.N. a Torino – restaurata in epoca fascista da Marcello Piacentini – e che abbraccia la fontana del Po’, in un vuoto notturno dove non sembra esserci spazio per anima viva, se non per il protagonista Marc (David Hemmings) e il suo amico Carlo (Gabriele Lavia), avvolti nella fusione di un’eco grigia e cristallina.

Tra le location più celebri del film non può di certo mancare Villa Scott, edificio storico torinese progettato da Pietro Fenoglio in stile liberty neo-barocco. L’edificio, divenuto col tempo residenza  del collegio femminile delle Suore della Redenzione, perde la sua innocenza e viene trasformato dal genio visionario di Dario Argento nella lugubre Villa del bambino urlante, il luogo più tenebroso di tutto il film, prendendo in prestito lo stereotipo di casa dell’orrore dalla letteratura. La villa è simbolo di decadenza e malvagità, isolamento e mai come in questo film segregazione e dimora dei fantasmi del passato.

Le tinte di Profondo Rosso

A rendere estremamente perturbante la sequenza al congresso di parapsicologia non sono solo il soprannaturale, i dettagli e le soggettive violente ma soprattutto le poltrone cremisi e le tende scarlatte del Teatro Carignano di Torino – in pendant con le lucide labbra della bionda sensitiva –  che prevengono la tinta di cui si colora la pellicola fino all’ultimo fotogramma.

E a proposito di consistenze e gradazioni, alla vernice rossa si accompagna la pelle nera che invece viene individuata come colore di definizione per il killer. Il nero è nei guanti – indossati da Dario Argento! – che affondano la lama, nel  trucco che adorna la palpebra assassina, nei mocassini che procedono velocemente verso le vittime.

Tra espressionismo, realismo e arte metafisica

Dario Argento, descritto da Jean-François Rauger come un pittore che racconta gli orrori di fine secolo, è in Profondo Rosso un architetto che modella e altera lo spazio. L’ambiente, colmo di dettagli,  diventa simbolo narrativo ed elemento emotivo a partire dalla psicologia dei personaggi che lo abitano. Lunghi corridoi, specchi, arredi modernisti e razionalisti, scale ripide e pareti inclinate sono tutti elementi del design che prendono la realtà e applicano su di essa una distorsione, trasformando la lucida quotidianità in un’atmosfera ambigua, misteriosa, infine allucinante. Argento forza la naturalezza degli eventi fino a renderli onirici, intricati, agghiaccianti, alla massima potenza della loro espressività.

“I suoi film sono realizzati avendo ben presente determinati passaggi della storia del cinema: l’espressionismo tedesco (o più precisamente il “caligarismo”), le produzioni di Val Lewton, i film di Hitchcook, di Lang o di Antonioni.”

Un esempio visibile di questa operazione è il Blue Bar che sorgerebbe, se esistesse, su piazza C.L.N. Il bar in cui lavora Carlo è una quasi perfetta ricreazione di Nighthawks di Edward Hopper, ricalcata non solo nelle forme ma anche nelle luci e nella collocazione urbana. Inoltre, come nel dialogo sotto ai portici tra i due amici, è assolutamente evidente l’ambigua disposizione di figure fisse ed immobili, che sembrano trascendere il tempo ed esistere come spazio.

Il richiamo metafisico non può mettere da parte un’inquadratura che più di tutte accoglie un dialogo fondamentale tra Marc e Carlo:

“Tu credi di dire la verità e invece dici soltanto la tua versione della verità.
A me accade spesso.”

Gli amici, che vestono abiti e ruoli complementari, sono piccoli e diametralmente opposti in una distanza essenziale, lucida, pulita, sormontata da un’enorme statua centrale. Una scena profetica che sembra richiamare Piazza d’Italia di Giorgio De Chirico.

Profondo Rosso come mondo onirico

L’approccio di Argento si rivela anticipatore di una visione cinematografica postmoderna, in cui l’ambiente non è semplicemente un contesto ma un assemblaggio di spazi familiari e sconosciuti, rielaborati in maniera da trasformarsi nel peggiore degli incubi. Questo modo di concepire lo spazio, lontano dalla ricerca di una rappresentazione realistica, contribuisce a creare un universo in cui la dimensione percettiva  prevale sulla realtà, il ricordo sull’oblio.

Banana Yoshimoto, scrittrice giapponese,  grande appassionata di horror e spettatrice degli incubi di Dario Argento:

“Il suo è il mondo degli incubi. Nei sogni non vi è una storia, la forza dell’inconscio ha l’intensità delle tempeste, delle slavine, degli tsunami. Gli uomini restano schiacciati. Per trasformare tutto questo in immagine, la storia non è importante. Si cerca di metterne in piedi una, ma sempre attraverso immagini estreme.”

Profondo Rosso si inserisce in un discorso più ampio sul cinema contemporaneo, dove il confine tra il reale e l’immaginario si sfuma, dando vita ad un cinema visivo che sfida la logica tradizionale del racconto.

Profondo Rosso

  • Anno: 1975
  • Durata: 127'
  • Distribuzione: Cineriz
  • Genere: Horror
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Dario Argento
  • Data di uscita: 07-March-1975

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