Presentato nel 2024 alla Fondazione Cinema per Roma e allo Zurich Film Festival, About Luis, delicato e partecipe dramma sulle insidie psicologiche e sugli imperativi etici del bullismo, è un lungometraggio diretto da Lucia Chiarla, tra i nomi italiani di punta nel cinema tedesco, nata a Genova e attiva a Berlino. Dopo il corto The Chairs Game (2018) e la sceneggiatura di Primavera Duemilaventi (2021), la regista radiografa la disgregazione di un nucleo famigliare – madre, padre, figlio di dieci anni – quando un sopruso scolastico mina ogni certezza, innesca malesseri, inaridisce l’appartenenza alla civitas, in una dirompenza concatenata e virale.
Con una cinepresa sensibile al disegno dei personaggi e agilmente introspettiva, About Luis, tratto dall’opera teatrale The Little Pony di Paco Bezerra, è una penetrante, amara ma non disperata disamina politica del diritto del più forte nel capitalismo inesorabile, un dramma da camera semichiusa che avvince nella sua forza dialettica e nella tensione thrilling. Ma è anche la rappresentazione di un atto d’amore per un figlio e per il futuro, proprio e di tutti.
Un male oscuro nell’eterno presente
La tranquillità di una famiglia ordinaria viene turbata da una serie di angosciosi episodi scolastici a danno del figlio Luis, atti di bullismo per discriminazione di genere, scatenati da uno zainetto viola con il disegno di un unicorno. Per i genitori, Costanze e Jens (architetto lei e tassista lui, già soverchiati dal lavoro e da una passione ormai sopita) nell’umiliazione provocata al ragazzo risuona tutta la confusione interiore che li attanaglia inconsciamente e la cecità della strada da intraprendere, tra un preside e una comunità scolastica troppo ignavi per punire il responsabile e tutelare un minore in difesa della sua identità.
Costanze e Jens, sul taxi di lui, discutono e si confrontano, litigano e si rappacificano, sempre però in una girandola di contraddizioni che si arena nell’impossibilità di una riconciliazione. Se Jens si eleva ad alfiere della libertà personale sopra tutti i diktat ‘culturali’, Constanze predica una politica del compromesso per un quieto vivere. Divisi anche sulla consulenza legale e sul trasferimento in un altro istituto, un climax di svolte drammatiche impone una scelta finale irrevocabile.

About us
About Luis agguanta, nel suo intento di denuncia e riflessione civile, quel barlume di lucidità e di grazia che si affievolisce in opere più programmatiche, dispiega un affondo critico verso la deriva della comunità eludendo ogni retorica benpensante, in sinergia con la versatilità degli interpreti (Max Riemelt e Natalia Rudziewicz) in grado di interiorizzare tra sussurri e grida l’angoscia disarmante della propria insicurezza, nei labili confini tra giustizia e percezione collettiva, nell’abbandono delle istituzioni. Il bullismo è un fenomeno insito nel capitalismo, spiega la nonna alla figlia e al genero, in una lotta darwiniana senza evoluzione di sorta.
Il progresso economico e l’arricchimento individuale vengono enunciati in una logica di prevaricazione verso il prossimo che la regia scruta, disseziona, analizza in una serrata orchestrazione di dialoghi e primi piani, in una querelle di punti di vista e sensibilità opposte e complementari che si avvicendano all’interno di uno stretto abitacolo. Una lezione di messinscena dalla sottigliezza psicologica che non disdegna una presa emotiva di intrattenimento, perseguendo meccanismi da thriller dell’anima in interno giorno.
Il mondo salvato dai più piccoli
Tra Fassbinder e Polanski, Lucia Chiarla ricostruisce lo scacchiere di politicamente corretto, stato di diritto, libertà individuale, convenzioni, regole sottaciute, pregiudizi, che si riversa nelle dinamiche della coppia, in uno scontro di visioni e di sensibilità dove la crisi sentimentale intercetta una crisi storica più ampia e universale (come nel miglior Antonioni), nel naufragio di un Occidente dove si invertono vittime e carnefici, si persegue una giustizia fiacca e arrendevole e il potere si atrofizza nel suo volto più cinico e opportunista.
In un film molto parlato, si staglia il silenzio degli offesi, che trova una sua metafora nel piccolo protagonista, invisibile, defilato, in scena solo con la voce telefonica o citato dagli altri personaggi. Ed è in questa sfiducia nichilista verso il presente e il prossimo che la regista sferza un tocco poetico: un’inaspettata scena con i compagni di scuola, che proclamano a gran voce la verità come in un grido di rivolta, quindi di giustizia: l’irruzione di una coralità in un piano d’insieme che rompe l’alternanza di campi e controcampi per una deflagrazione armoniosa di speranza, in mano ai bambini.
In un’ideale rassegna europea di film su strada, percorsa in taxi, About Luis troverebbe la sua meritevole cittadinanza come un affresco intimistico che trascende la ristrettezza del suo spazio filmico per raccontare, in allegoria, una civiltà ancora allo sbando, di cui si raccolgono i singoli frantumi nelle storie dei comprimari che ruotano attorno ai protagonisti: i colleghi di Jens, la nonna, un avvocato. E ogni voce, ogni sguardo, seppur turbato in questa contemporaneità convulsa di cui il taxi è correlativo oggettivo, trova la sua posizione precisa in un’opera intellettualmente sincera che regala la sua morale in un finale sospeso e mestamente catartico.