Aureliano Amadei ripercorre le sue origini, a partire dalla sua testimonianza e di quella degli altri “nipoti dei fiori” che, come lui, hanno dovuto sottostare alla scelta di una vita non convenzionale da parte dei genitori. Il suo terzo lungometraggio, il documentario I nipoti dei fiori (2024), in concorso alla 25° edizione del Sudestival, è un racconto corale intimo e familiare attraverso cui i ricordi di una generazione restituiscono una prospettiva inedita sulla controcultura hippie.
Il mito del viaggio
Le famiglie che negli anni ’70 aderivano alle comunità di figli dei fiori, appartenevano prevalentemente alla borghesia. Dall’Italia all’India in autostop, passando per l’Afghanistan; ospiti di famiglie locali marocchine o brasiliane; dal Canada al Perù. Nel ricchissimo immaginario dei nipoti dei fiori coesistono il pantheon indù e il Libro tibetano dei morti, lunghi viaggi attraverso il Sahara in condizioni estreme, così come la scena artistica degli anni ’80: Pazienza, Tamburini e Freak Antoni.
Da questi viaggi in giro per il mondo i nipoti dei fiori ereditano i loro insoliti nomi: Hiram come l’architetto del Tempio di Salomone, ma anche Ram, Yesan, Icaro, Arco, Amaranta, Tzaddi.

Fotogramma del documentario ‘I nipoti dei fiori’ (2024)
La comune come sostituto della famiglia nucleare
Il superamento della famiglia tradizionale era uno dei fondamenti del movimento hippie. Genitori-adolescenti che crescevano i propri figli al limite tra l’incoscienza e un’estrema libertà. Condizione che, come sostenuto dalla maggior parte degli intervistati, ha comportato una precoce responsabilizzazione di questi bambini. Un senso di auto-responsabilità che talvolta è sfociato nella difficoltà di porsi dei limiti.
Il film solleva così il dibattito sul significato di “età adulta”: il raggiungimento della maturità corrisponde allo sviluppo di un senso di responsabilità di sé, così come nei confronti dei propri genitori-adolescenti? Una delle differenze tra i nipoti dei fiori e i loro “normali” coetanei si trova nel capovolgimento del rapporto genitori-figli.
Dalla rivoluzione del consumo all’era digitale
Ram riflette su quali possano essere le basi di questo netto rifiuto della società occidentale da parte dei figli dei fiori: “Loro hanno vissuto una rivoluzione che magari è pari a quella che viviamo noi come genitori dell’era digitale”. La rivoluzione del consumo, così come l’idealizzazione della merce negli anni del dopoguerra come fonte primaria di benessere, potrebbe essere stata una delle cause di rottura con la società occidentale. È qui che idealmente potrebbero trovarsi i nipoti dei fiori: nel mezzo tra l’eredità anticonsumista e una forma di diffidenza nel processo di digitalizzazione.
Camilla racconta: “Ti svegliavi la mattina e controllavi che il tuo genitore respirasse; una volta preso coscienza di questo, scavalcando i corpi, andavi in cucina a cercare qualcosa per fare colazione”.
L’autonomia e il senso di responsabilità dei nipoti dei fiori era sicuramente fuori dal comune.
Amaranta racconta della sua solitudine di bambina: “Adesso tu non lasceresti mai un bambino di otto anni in casa da solo, di notte”. Solitudine compensata dall’ambiente creativo in cui era immersa: “Mio padre ha fatto il fotografo, il regista, il produttore musicale, l’editore. Abbiamo vissuto in dei contesti in cui l’arte e la cultura erano molto presenti”. L’imperante ruolo salvifico dell’arte, come pratica che nelle varie controculture è elevata più che mai a esercizio spirituale.
“Farsi un acido era quasi un obbligo morale”
Nell’eredità culturale dei figli dei fiori l’uso di droghe può dirsi fondamentale. Gli standard di libertà della comunità hippie erano difficili da superare, ma il movimento rave lo rese possibile. I rave party mantennero viva la pratica della psichedelia; se ne può parlare – come dal titolo di un libro di Tobia D’Onofrio – come dell’ultima controcultura.
“Il movimento techno era una bella commistione tra una visione punk della vita e uno spirito hippie del quotidiano”.
Dal punto di vista dei nipoti dei fiori, il movimento hippie è vissuto come un limite da superare; la reazione dei figli dei fiori alla rivoluzione del consumo non sembra poi così dissimile dal più recente “ritorno alla natura”. Chi persegue un ideale si scontra inevitabilmente con la disillusione di altri, ma se nella seconda metà del Novecento il fenomeno sembrava avere un andamento generazionale, attualmente i confini tra l’idealizzazione e il disincanto sembrano più sfumati. La mancanza di controculture di “opposizione” alla tendenza culturale predominante è sostituita da un’accozzaglia di definizioni che sembrano assumere sfumature diverse a seconda di chi dà loro voce.
I nipoti dei fiori, a loro volta genitori, si chiedono adesso quanto della libertà in cui sono cresciuti devono concedere ai propri figli. L’ombra del conformismo, ottenebrante nemico della libertà culturale, si scontra con la paura di far rivivere ai propri figli i sentimenti di esclusione ed emarginazione che hanno caratterizzato la loro infanzia e adolescenza. Forse i figli dei fiori sono stati una deriva culturale irriproducibile, nata in un contesto storico in cui la libertà non era ancora un diritto imprescindibile e scontato.
“In Italia vi furono guerre, omicidi e terrore, ma vennero fuori Michelangelo, Leonardo e il Rinascimento. In Svizzera non vi fu che amore fraterno, ma in cinquecento anni di quieto vivere che cosa è venuto fuori?”
Editing Giulia Radice.