Dopo dodici anni, Walter Salles torna nelle sale con Ainda estou aqui (Io sono ancora qui), presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Il film vince il Premio per la Miglior Sceneggiatura e conquista tre nomination agli Oscar 2025 (Miglior Film, Miglior Film Internazionale e Miglior Attrice protagonista).
Con Io sono ancoraqui, Walter Salles torna nel suo Brasile, chiudendo, probabilmente per sempre, la sua esperienza con il sistema produttivo hollywoodiano. Il regista di Central do Brasil e I diari della motocicletta, fa rivivere il suo cinema umanista, tenero, con una famiglia protagonista di una vicenda realmente accaduta, per intraprendere un viaggio alla ricerca della Memoria, della Storia e della Verità.
“Sono felice del successo di Io sono ancora qui. Dimostra che esiste un pubblico interessato alla sostanza civile e umanista dei film”.
Io sono ancora qui e le vittima del regime militare brasiliano
Per realizzare Io sono ancora quiWalter Salles si basa sul libro delle memorie, scritto da Marcelo Rubens Paiva. L’opera letteraria è incentrata sulla scomparsa del padre Rubens Beyrodt Paiva, un attivista politico scomparso durante la dittatura militare brasiliana. Quella di Rubens Beyrodt Paiva è la triste vicenda di uno dei tanti desaparecidas, vittima dei Gorillas, i militari al capo di un Governo autoritario in un ventennio (1964 – 1985) colmo di violenze e ingiustizie, troppo poco approfondito dalla storiografia ufficiale.
Con questa sua ultima fatica cinematografica, pensata e perfezionata in quasi otto anni, Walter Salles si immerge nel cuore di un tessuto familiare dove regna l’armonia e l’amore. Una serenità, però, fragile, minacciata da un rischio esterno che irrompe nella quotidianità dei Paiva come un fulmine a ciel sereno.
Il regista utilizza un linguaggio limpido, potremmo definirlo familiare, per esporre una dimensione di una famiglia che lui ha conosciuto realmente. Ha percepito la solidarietà, lo spirito comunitario di un padre, con i propri figli; di una madre che diventa il fulcro di una storia tragica, in cui le lacrime non possono scalfire la forza del sorriso, per inseguire una verità troppo a lungo celata.
Walter Salles e l’umanesimo
Questa donna è Euunice Facciolla Paiva, interpretata da una bravissima Fermanda Torres, candidata all’Oscarcome miglior attrice protagonista. Lei, dopo la misteriosa e inquietante scomparsa di suo marito, diventa l’emblema del nodo che si crea tra personale e collettivo, come viene notato dalla recensione di Diletta Ciociano per Taxidrivers: […] Intimo e politico, quando la propria vicenda personale e familiare diventa il motore per un agire politico.
Io sono ancora qui conferma la vocazione di Walter Salles nel ricostruire il vero. Questa è una caratteristica che attraversa la sua intera filmografia, iniziando da Central do Brasil, primo successo internazionale, incluso nella cinquina dei film stranieri candidati all’Oscar del 1999. Il regista ribadisce di essere un vero studioso dell’ucronia, esponendo il vero, attraverso la rielaborazione sul grande schermo, come in I diari della motociclettae On The Road. Il vero di Io sono ancora qui non mira semplicemente a restituire la realtà oggettiva su una delle pagine più cupe della Storia del Paese sudamericano, ma vuole offrire un’altra caratterista del cinema di Walter Salles: l’umanesimo.
Il punto di vista è sempre, o quasi, all’interno della famiglia Paiva e lo spettatore ha le stesse informazioni dei protagonisti del film. Ciò avviene perché il regista vuole trasmettere lo spirito umanista che regna nella famiglia. È su questo aspetto focalizza l’obiettivo della sua cinepresa, per sottolineare una moralità universale rivolta alla comunanza privata e civile dei Paiva.
Fernanda Montenegro e Fernanda Torres: mamma e figlia per Eunice Paiva
Tutto il resto non va assolutamente posto in secondo piano, tutt’altro. Assume, però, un significato che va ben oltre al tentativo di offrire un’interpretazione di una delle tante misteriose scomparse tra gli oppositori al regime autoritario. Le tre ellissi temporali, dal 1971 al 1996 e poi concludere nel 2014, sono usate magistralmente dal regista per attualizzare la vicenda e lanciare un allarme preoccupante sulla situazione politica di oggi.
Con Io sono ancora quiWalter Salles realizza un altro ritratto del suo amato Brasile e così chiude un cerchio, aperto nel 1991 con Arte mortale, il suo primo film di finzione. E non pare un caso che nel suo ultimo film ritroviamo Fernanda Montenegro, madre di Fernanda Torres. Le due attrice, famosissime in Brasile, interpretano entrambe il personaggio di Eunice Paiva mettendo in atto un simbolico e suggestivo passaggio del testimone, creando un coinvolgente cortocircuito tra presente e passato.
Fernanda Montenegro è Dora, la scrivana protagonista di Central do Brasil. Un’altra donna fondamentale per comprendere il cinema di Walter Salles, che già nel 1998 manifesta la sua tipica sensibilità, anche allora all’insegna di un spiccato umanesimo. Questa volta, emerge gradualmente in una Rio de Janeiro che ricorda un po’ la Roma di Ladri di biciclette e con il piccolo, tenero e tenace Jousè, interpretato da un giovanissimo Vinicius de Oliveira, scelto da Salles, qualche anno più tardi anche per Disperato aprile, e che assomiglia ai giovani protagonisti di Sciuscià.
L’influenza neorealista
Un film, dunque, che risente dell’influenza neorealista, evidente nei volti, spesso ripresi in primo piano, come nei primissimi minuti del commovente lungometraggio. Volti per nulla patinati, ma graffiati dalle rughe della sofferenza e della miseria, infastiditi da mosche attirate dal sudore che traspira nella pellicola, per centrare l’effetto della realtà, con una vicenda di fantasia, ma del tutto verosimile. E poi ecco un’altra constante del cinema di Walter Salles, accoppiata vincente insieme al suo tipico umanesimo, che raggiunge l’apice nelle commuoventi scene finali: il viaggio.
Dora, dopo vari tentennamenti, si fa impietosire da Jousè, rimasto senza madre e decide di accompagnarlo nella ricerca di un padre nullafacente e ubriacone. E cosi inizia un lungo viaggio in un Brasile attanagliato dalla miseria, anestetizzata da una popolana fede evangelica o da un uso eccessivo di alcol.
Il viaggio in Central do Brasil
In questo viaggio, non certo semplice, Dora e Josuè si scontrano e s’incontrano, in una specie di tira e molla, a volte anche ironico. In questo modo, volendo o meno, si ritrovano a costituire una propria famiglia, alla ricerca di un’altra famiglia, inseguita tra tante peripezie.
Le cose sono molto diverse da Io sono ancora qui, ma anche in Central do Brasil, il nucleo familiare venuto a formarsi, questa volta fortuitamente, viene utilizzato da Walter Salles per palesare il suo spirito comunitario, attraverso il quale si affronta una narrazione intima, ma di rilevanza universale.
Un bambino rimasto solo, senza più la mamma e con un papà chissà dove, diventa la cartina torna sole di Paese attanagliato dalla miseria e dalle ingiustizie. E così, con Central do Brasil, Walter Salles realizza uno dei suoi primi ritratti civili del suo amato Paese, conciliando intimo e pubblico, politica e sentimento.
I diari della motocicletta
Lo stesso meccanismo è messo in funzione in un altro suo successo internazionale, I diari della motocicletta. Come in Central do Brasilanche qui un viaggio diventa il pretesto ideale per esporre i nodi fondamentali del cinema di Walter Salles.
Questa volta il regista non si limita a realizzare un ritratto del Brasile, ma estende il discorso a tutta l’America latina, basandosi su Notas de viaje, scritto da Ernesto Guevara e Con el Che por America Latina, di Alberto Granado, che sono i protagonisti del film, interpretati da Gael Garcia Bernal e Rodrigo de la Serna. Le fonti letterarie aiutano, e non poco, a realizzare il senso di realtà, che non manca mai nella filmografia del regista, in una descrizione, un tantino agiografica, del Che.
Tornano, come un’ossessione, l’umanesimo e il collettivismo. Il senso di comunità attraversa l’intero lungometraggio, che spinge i due protagonisti a formare diverse dimensioni familiari, come la povera coppia di minatori o la comunità di lebbrosi. Poveri ed emarginati, spesso mostrati in una graffiante fotografia in bianco e nero, inserti di iperrealismo in un contesto di verità cruda e pura, utilizzata per sottolineare l’ideologia del futuro Generale.
La parentesi hollywoodiana di Walter Salles
Il viaggio torna prepotentemente in On The Road, che insieme a Dark Water costituiscono la parentesi Hollywoodiana di Walter Salles. In questo film, basato sull’omonimo romanzo autobiografico di Jack Kerouac, il regista brasiliano appare imbrigliato in sistemi realizzativi a lui poco affini. Il suo stile perde la propria spontaneità, risultando quasi sempre artefatto, per poi ritrovare il suo tipico stile solo nel finale, quando i protagonisti giungono in Messico. Lo stesso avviene con Dark Water, il suo primo film americano, un remake poco riuscito del giapponese Hideo Nakata.
Tra Dark Watere On The Road, Walter Salles si concede un ritorno nel suo Brasile. Linha de passe, con – diretto insieme a Daniela Thomas. Il film, in concorso alla 60esima edizione del Festival di Cannes, dove la protagonista Sandra Corveloni vince il premio come miglior attrice femminile, ripropone i temi cari al regista, ponendo l’accento sulla famiglia.
L’impegno civile
È una famiglia povera e disgraziata, con una mamma, sempre incinta, ma comunque indaffarata a mettere da parte pochi spiccioli per i suoi figli. Sono questi, d’altronde, i veri protagonisti di Linha de passe, attraverso loro, il regista ci trascina in diversi viaggi, questa volta, però, del tutto simbolici.
Un altro ritratto del Brasile, senza dubbio il più cupo. In questo caso anche la ricorrente vocazione umanista del regista sembra cedere il passo a una realtà crudele e cinica. Ciò che non manca è l’impegno civico nel denunciare una realtà senza pace per i più sfortunati, emarginati e destinati a un futuro senza speranza. Ma i giovani protagonisti di Linha de passe non si danno per vinti e lottano per un futuro migliore, tra il sacro e il profano. Lo stesso impegno civile lo troviamo in City of God, con Walter Salles in veste di produttore esecutivo. Il film, diretto da Fernando Meirelles e Katia Lund, è un viaggio in una favela di Rio, per puntare i riflettori su una realtà emergenziale.