Come quando eravamo piccoli è l’esordio in solitaria dell’attrice Camilla Filippi, dopo la co-regia, assieme ad Andrea Bacci, del cortometraggio La casa di Andrea. Un esordio nel lungometraggio ben accolto ad Alice nella città 2024, e ora in concorso al Sudestival.
Il film è l’atto di amore della Filippi verso lo zio Egidio Bordiga, detto Gigio. Un intimo, colorato e appassionante documentario che ci rende partecipi di questo formidabile e indimenticabile viaggio familiare.
La sinossi di Come quando eravamo piccoli
Zio Gigio è nato in casa, e durante il parto ha subito una lesione cerebrale da forcipe. Che, tra le altre complicazioni, lo ha reso ipovedente. Per quarantadue anni ha lavorato come categoria protetta, e una volta raggiunta la pensione, decide di fare un viaggio/vacanza con i nipoti Michele e Camilla, i suoi ultimi due parenti.
Un viaggio itinerante che permette loro di conoscersi meglio, appianare storie di famiglia rimaste in sospeso, e soprattutto divertirsi, come fanciulli.
Road movie con affetto
Camilla Filippi ha una lunga carriera di attrice, e tra i molti film che ha interpretato ci sono Estate romana di Matteo Garrone, La vita che vorrei di Giuseppe Piccioni e Buoni a nulla di Gianni Di Gregorio. Attrice versatile, per il suo esordio dietro la macchina da presa ha scelto il documentario. Genere non facile, soprattutto se si sceglie di raccontare una storia di famiglia.
Documentare il viaggio che affronta assieme allo zio (e a Michele), non è soltanto un modo per condividere con gli altri un evento inaspettato e unico, di profondo candore umano, ma anche uno spunto per raccontare l’handicap fisico di cui è afflitto lo zio.
Una menomazione fisica, causata dalla negligenza sanitaria nei parti casalinghi, molto frequente nel passato. Ma ciò non ha privato lo zio Gigio di una vita sostanzialmente normale.
Come quando eravamo piccoli, con il titolo che rievoca una lontana infanzia, e che questo viaggio, in un certo qual modo, pare ricreare (risate, giochi, relax, ma anche diversi momenti di riflessione e/o discussione), appassiona proprio per quel ritmo vivace di racconto e nel mettere in scena l’intimo dei personaggi senza eccedere nel melenso e/o nel protagonismo.
Nel rendere denso e coinvolgente il documentario, Camilla Filippi utilizza anche materiale d’archivio personale. Vecchi nastri o diapositive che servono per riflettere anche sulla memoria. Eventi del passato – e soprattutto familiari – che sono ancora vivi perché immortalati dal video. (Ri)Guardare quel lontano materiale per i tre protagonisti significa (ri)confrontarsi con il passato, e avere conferma che ci sono stati anche molti momenti belli.
E a quel found footage riportato alla luce, si aggiunge questo nuovo tassello intimo, con cui la Filippi fissa in video un ulteriore lieto – e spensierato – evento della sua famiglia.
Tra l’altro, un viaggio itinerante, racchiuso nel formato documentario, che ricorda l’altrettanto vivace – e riflessivo – The Special Need di Carlo Zoratti.