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Le forme dell’Apocalisse: una lista di film sulla fine del mondo
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9 ore agoon
Quali sono le forme dell’Apocalisse oggi? E come vengono ritratte dagli occhi del cinema?
La storia ci dice che il senso della fine abbia in qualche modo a che fare con il presente che scorre e sfugge allo sguardo. Come nel finire del Novecento, quando davanti ai nuovi universi cyberpunk il cinema affondava nella distopia (Matrix, Strange Days). Allucinazioni che diverranno incubi dopo l’alba del ventunesimo secolo. Perché il crollo delle Twin Towers l’11 settembre del 2001 finirà per dire a chiare lettere, tramite le videocamerine del cittadino qualunque, che là fuori, l’orrore è reale.
E se è reale allora cambia anche il modo di guardarlo e di ripensare a tutte le apocalissi prima dell’attentato. Ma tutto questo non era già successo – viene da chiedersi – non era stato già Indipendence Day (1996) di Roland Emmerich a sfigurare i simboli della civiltà americana? Ecco, che il cinema si auto-esamina mentre rinegozia le forme lungo un intero immaginario. Il disaster movie degli anni duemila è la video-testimoninza senza tregua di Cloverfield (2008) di Matt Reeves.
Poi gli anni a seguire sono tempi di profezie – il calendario Maya insegna – fronteggiate col sentimentalismo (2012 di Roland Emmerich) o con la risata (Facciamola finita di Evan Goldberg e Seth Rogen), prima della più recente distopia globale che è l’era pandemica. Mai come nel post 2020 si fa strada la claustrofobia del luogo: nascono (ancora una volta) nuove forme e rappresentazioni del reale e il cinema diventa una tana che protegge e rassicura dal mondo fuori.
Di seguito una lista di film apocalittici, eccezionali, godibili e non, oppure semplicemente intriganti nell’esporre linguaggi e modi diversi di osservare la fine del mondo.
Forme dell’apocalisse
Bussano alla porta (2023) di M. Night Shyamalan
Bussano alla porta, sette volte i cavalieri dell’Apocalisse nella baita di Eric e Andrew e della piccola Wen. Con le arie di una loggia invasata da visioni oniriche sulla fine dei giorni li costringono a una scelta, un sacrificio per il domani dell’umanità. M. Night Shyamalan adatta La casa alla fine del mondo di Paul G. Tremblay in un film densissimo, nell’agonia di un bosco inarrivabile alla civiltà. Senza campo e nemmeno connessione, è qui che si consuma la morte oppure la salvezza, con il montaggio che interrompe lo sguardo un attimo prima dell’orrore, del sangue, della fine. Bussano alla porta (2023) sembra esprimere l’intolleranza e invece è un opera umanista sugli aspetti dell’anima. Si tratta di scegliere, l’amore, l’ego, il mondo.
Contact (1997) di Robert Zemeckis
Se il (cine)graphic novel Here (2025) è l’ultimo dei ritorni al futuro di Zemeckis – dalle mura di una casa, che, come il cinema, vede cambiare contenuti in mezzo a forme e frammenti – già ventotto anni fa Contact (1997) era un ricco testamento sul domani. Un tomo filosofico di immagini che ruota attorno al cosmo di pupille che sognano costellazioni. Jodie Foster è un’astronoma dalla fame di vita extraterrestre, e MattewMcConaghey un seducente umanista, devoto a Dio e agnostico della nuova società virtuale. Tutti gli umori del postmoderno – la digitalizzazione di Clinton, Cape Canaveral che sembra Woodstock e l’eterna dialettica tra le prove della scienza e il sentire della fede – si ascoltano scontrandosi in questa fantascienza dal respiro spielberghiano, con l’allievo Zemeckis che si mostra un grande teorico del mondo mutevole attraverso le virtù della forma cinema.
Forme dell’apocalisse
Zeros and Ones (2021) di Abel Ferrara
C’è una città invisibile e un ex militare che ne percorre le vie armato di telecamera. La usa per riprendere le sue verità credibili, nel deserto secolare della Roma pandemica. È l’apocalisse firmata Abel Ferrara, quella di Zeros and Ones (2021), che getta Ethan Hawke, spaesato nel buio di un Esquilino cyberpunk, mentre cerca le orme di suo fratello. Forse è il suo doppio – un predicatore cristologico, eretico del capitalismo della sorveglianza – o forse la sua nemesi. Nel caos della distopia non restano che i filmati, tracce digitali di attimi pieni nel respiro di un rec.
Le nostre vite violente sono sistemi binari, sembra dirci Ferrara: zero e uno, positivo e negativo, mentre le identità trovano riparo nella tana di uno schermo, anche quando il sole ritorna e le strade si rianimano. “Isolamento” si legge “sorveglianza” in questa nera favola pandemica: Roma è un’area computerizzata, Piazza Vittorio il bersaglio di un battaglione che mira al giubotto rosso di una bambina. È subito un cinema che ritorna su sé stesso mentre il (suo) futuro è sotto attacco.
Cercasi amore per la fine del mondo (2012) di Loren Scafaria
Chi è l’ultima persona che vorremmo vedere prima di un’annunciata fine del mondo? Come ci comporteremmo nei nostri ultimi ventuno giorni di vita sulla terra? Saremmo forse più spavaldi e passionali? Oppure soltanto più soli, ognuno con la sua malinconia?
Domande, queste, che vengono sollevate spesso tra le pagine degli script di molte produzioni, quando nel 2012 – sulla scia di una profezia Maya che presagiva la fine del mondo all’alba del 21 dicembre – escono in sala diverse commedie dallo sforzo di scacciare con l’umorismo i dubbi e il terrore globale che i Maya avessero ragione.
Ed è la stessa premessa su cui muove i passi Lorene Scafaria quando scrive e dirige il suo esordio Cercasi amore per la fine del mondo (Seeking a friend for the end of the world il titolo originale), delicata storia on the road di uno stralunato duo Steve Carrell – Keira Knightley per un mélo sugli ultimi giorni dell’umanità.
Tra deliri di massa, ultime cene erotizzanti e un po’ ridicole, si fa strada un incontro di affini solitudini, tra il cupo assicuratore Dodge (Steve Carrell in una delle prime prove fuori dal comfort dei tipi comici) e il bellissimo disordine di Penny. Sperano entrambi negli ultimi saluti prima dell’Apocalisse – vecchi amori, affetti lontani – e nella malinconia delle cose perdute si riscoprono vicini.
Mars Attacks! (1996) di Tim Burton
Siamo agli albori di una nuova era, spiega il presidente degli Stati Uniti sulla scoperta di dischi volanti attorno alla terra. Perché gli alieni stanno arrivando nel Mars Attacks! (1996) di Tim Burton, che fa il verso al B-movie fantascientifico anni 50’ (sin dal titolo di testa) nel suo lavoro più pensoso e surrealista. Satirico, perfino, perché la vita extraterrestre che sbarca nel Nevada condensa tutti i deliri di un’America speranzosa in qualche veduta messianica alle porte del duemila.
Ma è tutto rovesciato nella bartoniana invasione da Marte, dove Jack Nicholson è un incrocio tra Abramo Lincoln e Tutto in famiglia, i media si litigano interviste allo scienziato-divo della tv e i conservatori freak si armano alla volta di operazioni marziane. Poi, la passione tra l’esercito e il nucleare è un guizzo notevole, con il generale Decker che non perde mai occasione di suggerire, come un intercalare, Lanciamo la bomba atomica!. Gli alieni sono perfidi oppressori ma anche gli uomini non scherzano nel Mars Attacks! di Burton, che non risparmia nessuno – la Casa Bianca, gli attivisti per la pace, l’american dream, Las Vegas, i corpi speciali – tranne una voce giovane e una melodia umana, in questo zibaldone di caratteri che è l’America agli sgoccioli del secolo.